Nel Continente africano camminando per le vie delle città, come nei viottoli che solcano villaggi e paesini s’incrociano uomini, bambini, donne, quest’ultime in particolare, vestite di “colori”. Stoffe sgargianti fregiate da disegni, arricchite da volti, che narrano eventi politici, sociali, religiosi… o da frasi, tra le più svariate, che esprimono i sentimenti di chi le indossa. Perché, l’abbigliamento in Africa, allo stesso modo del cibo, narra del luogo e della cultura alla quale i singoli appartengono ed è considerato una vera e propria manifestazione di significati profondi che vanno al di là della sua funzione concreta, quella di coprire e adornare un corpo.
I tessuti in Africa, in qualsiasi epoca, anche oggi, sono un mezzo di comunicazione importante. A seconda della zona geografica, del periodo storico e del contesto sociale, il modo di vestire cambia di pari passo con la cultura del popolo a cui appartiene.
Un tempo, i tessuti servivano anche come moneta di scambio, erano portatori di messaggi, ma soprattutto rappresentavano, per via delle decorazioni che li arricchivano, una sorta di documento dove si poteva trovare impressa l’identità sociale e religiosa del proprietario, raccontavano la sua storia, specialmente, se era una persona in vista nella società.
Ogni regione, ogni località, ogni piccolo Stato, aveva elaborato delle decorazioni diverse, spesso geometriche e l’abito funzionava come uno “stemma araldico”, a volte, era lo stesso regnante che creava il disegno e sceglieva i colori del suo “casato”, oppure attribuiva ai suoi dignitari alcuni colori particolari in modo da poterli distinguere individuandone le funzioni a corte.
In Ghana, per esempio, gli Ashanti, uno fra i più importanti gruppi del Paese che formò un Impero che si estese dal Ghana centrale fino al Togo e alla Costa d’Avorio odierni (la monarchia Ashanti continua ad esistere insieme ad altre unità sotto-statali tradizionali riconosciute dalla costituzione, all’interno dell’odierna Repubblica del Ghana), producevano grandi tessuti in seta, chiamati “kente”, con disegni geometrici molto colorati che differivano da una famiglia all’altra. Queste decorazioni non erano create dal nulla, ma facevano riferimento alle antiche tradizioni, quelle che si esprimevano attraverso racconti, leggende e ricordavano gli avvenimenti “storici” che avevano marcato la vita della famiglia, del clan, o del sovrano.
Altri “segni” grafici utilizzati in diversi Paesi africani, per decorare tessuti, stuoie, pareti domestiche, statue di antenati e maschere svolgono un ruolo pedagogico. Si tratta di segni che “parlano”, citano proverbi e detti popolari, interrogano e propongono rebus, fanno memoria dei miti e, in questo modo, “insegnano” ed “educano” chi li guarda. Sono segni che tramandano un “sapere”, che ricordano i valori della tradizione, e invitano a rispettarli.
Anche oggi, in Africa, nella vita quotidiana, la simbologia nascosta tra i colori, i disegni, i fregi, i volti di un semplice indumento è molto ricca. La piramide, ad esempio, indica la consapevolezza di una gerarchia sociale: alcuni per ricchezza, fama, saggezza, potere… si elevano sopra gli altri e illuminano la strada da percorrere; la chioccia con i pulcini, invece, rappresenta il ruolo fondamentale di una madre all’interno della famiglia, sia in termini di coesione tra i vari membri che in termini di protezione verso i piccoli da accudire.
Oltre ai simboli tradizionali, ne sono subentrati dei nuovi come le lettere dell’alfabeto, per indicare la scolarizzazione dell’individuo che indossa il tessuto, oppure elementi di modernità come l’automobile, la televisione, il cellulare. Esibire un vestito con dollari variopinti, poi, è simbolo di affermazione economica, e le spighe di mais confermano la ricchezza e l’abbondanza.
Durante le campagne elettorali, è molto facile riscontrare volti di leader politici sui capi d’abbigliamento. A Yaoundé, in Camerun, per esempio, è consuetudine stampare il viso del Presidente sugli abiti. I candidati distribuiscono alla gente il tessuto gratuitamente, allo stesso modo con cui, in altri Paesi del mondo, regalano ai loro sostenitori le proprie spille elettorali, T-shirt… Non mancano, poi, le stoffe “religiose” dove l’immagine più popolare è quella di Gesù Bambino. Anche il volto del Papa in cima al Vaticano, o i volti di Santi, sono soggetti molto usati e solitamente vengono abbinati alla scritta: “Pregate per noi”.
A volte, le donne usano i tessuti come alleati per trasmettere i propri messaggi, e comunicare emozioni, desideri, successi… perciò, l’abito non viene scelto in base alla fantasia dei colori, oppure al tipo di cotone, ma piuttosto per la “frase” che si trova impressa sul telo. Una ragazza tanzaniana o kenyota che desidera riappacificarsi con un amico può indossare una “kanga” con la scritta “Nilijua yatawakera sana”, che significa “Ho saputo che sei molto arrabbiato con me”, oppure più semplicemente “Penzi haina shirika”, “L’amore non ha limiti”. È una questione di stile, ma non solo: mentre in Europa e in America s’inviano messaggi d’amore cifrati, via sms, col proprio cellulare, in Africa esiste un canale in più, per esprimere i propri sentimenti e gli stati d’animo: le stoffe multicolori con frasi adatte cucite addosso e indossate senza vergogna.
suor Maria Luisa Casiraghi