“Una festa che tocca il nostro cuore” così è stata definita da Madre Lucia Bortolomasi, Superiora generale delle Missionarie della Consolata, la celebrazione della prima festa di San Giuseppe Allamano dopo la sua canonizzazione. La celebrazione si è svolta la mattina del 16 febbraio 2025 nella Chiesa e Santuario a lui dedicato nella Casa Madre dei Missionari della Consolata. Una celebrazione di famiglia tra missionari e missionarie, laici, amici, benefattori e fedeli che ogni domenica partecipano alla messa in questa chiesa. Presenti le due Direzioni generali, missionari e missionarie delle comunità di Torino e dintorni, i giovani in formazione e le novizie che hanno animato con canti in più lingue la celebrazione. La Messa è stata presieduta da Padre James Lengarin, Superiore generale dei Missionari della Consolata che nella sua omelia ci ha portati a guardare alla Parola annunciata da Gesù nella Sinagoga di Nazareth come Parola che si fa viva ed azione nella sua vita, ministero e missione. Una Parola che diventa vicinanza e attenzione a tutti ed in particolare ai più poveri e dimenticati. In questa Parola vi leggiamo anche l’invito per ogni missionario e missionaria nel vivere la nostra vocazione specifica alla missione nel segno della consolazione. Così è stata la vita di San Giuseppe Allamano, vissuta nella tensione costante alla santità che lui ha raggiunto nel compimento quotidiano del suo dovere, nel fare in modo straordinario le cose ordinarie e sempre con un profondo spirito di umiltà. La celebrazione odierna ha anche voluto avviare il cammino che ci porterà alla celebrazione del centenario della sua nascita in cielo e che celebreremo il 16 febbraio de 2026. Un cammino che vuole coinvolgere tutte e tutti e che sarà segnato da momenti di riflessione che devono innanzitutto trasformare la nostra vita personale e quella delle nostre comunità. Al termine della celebrazione Madre Lucia ha ringraziato per il dono del cuore missionario di San Giuseppe Allamano che invita anche noi a vivere e ad agire, aprendo il nostro cuore per accogliere tutti. Alla celebrazione era anche presente Suor Simona Brambilla, Prefetta per il Dicastero degli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica. Nel suo ringraziamento, partendo dalle parole di Paolo nella lettera ai Tessalonicesi, nella quale dice di essersi fatto amorevole in mezzo a loro, come una madre ha cura dei propri figli, così anche noi, guardando alla vita ed esempio dell’Allamano, siamo chiamati ad avere questa amorevolezza paterna e soprattutto materna verso tutti. Anche Padre Oscar Clavijo, superiore della Casa Madre, ha ringraziato tutti per la bella partecipazione e per la Famiglia della Consolata e dell’Allamano lì riunita in questo giorno di festa. La celebrazione si è conclusa presso la tomba di S. Giuseppe Allamano con la preghiera delle due Direzioni generali insieme a tutti i partecipanti, presentando a lui la vita dei nostri Istituti, le richieste a noi affidate e le realtà dei Paesi nei quali lavoriamo. È seguito poi il pranzo festivo di famiglia con tutti i missionari e le missionarie presenti alla celebrazione, nel refettorio c’è stato posto per tutti e si è così continuata la condivisione e la comunione che rendono vivo quello spirito che l’Allamano tanto desiderava e invitava a vivere nei nostri Istituti. Al Santuario della Consolata Il luogo in cui San Giuseppe Allamano ha vissuto il suo servizio sacerdotale, il luogo che ha abbellito e ingrandito, facendolo diventare un importante centro di devozione mariana, il luogo in cui ha maturato il progetto degli Istituti Missionari, in dialogo e preghiera con la Madonna, è il Santuario della Consolata. La Diocesi di Torino ha voluto ricordare la festa liturgica del nuovo Santo torinese con una celebrazione presieduta dall’arcivescivo, Card. Roberto Repole. Facendo riferimento al Vangelo domenicale sulle Beatitudini secondo il Vangelo di Luca, che rivelano lo sguardo e la presenza di Gesù nelle situazioni anche più dolorose della vita, il Card. Repole ha presentato San Giuseppe Allamano come l’uomo che ha saputo porre la sua fiducia in Dio: il grande sogno missionario dell’Allamano, che si realizza fino ad oggi, nasce dall’intuizione che questo sguardo di Cristo poteva continuare ad essere il nostro sguardo. Ha sentito il fervore della missione perché ha sentito la necessità di tanti uomini e donne di incontrare Cristo, il suo sguardo. Al termine della celebrazione, il Cardinale ha benedetto la nuova pala d’altare dedicata a San Giuseppe Allamano, in cui il Santo sacerdote è attorniato dalle Beate Leonella e Irene, il Can. Camisassa e il Beato Boccardo, suoi collaboratori, e San Giuseppe Cafasso. Nel presentare l’opera, Mons. Giacomo Martinacci, rettore del Santuario della Consolata, ha sottolineato che l’Allamano operò sempre insieme ad altre persone nel suo instancabile lavoro ecclesiale, per questo anche nel quadro votivo è attorniato da tante persone significative. In alto, la Consolata, la “sua” Madonna. E nella parte bassa del dipinto vi è una schiera numerosa di persone di tante culture differenti, a rappresentare i popoli che hanno accolto l’opera missionaria iniziata da San Giuseppe Allamano. Castelnuovo Don Bosco Santuario della Consolata e Casa Madre sono due luoghi importanti nella vita di San Giuseppe Allamano, in cui si è solennizzata la festa liturgica oggi. Ma anche a Castelnuovo Don Bosco, suo paese natale, si è celebrata la ricorrenza, preceduta da un triduo animato dai Missionari e dalle Missionarie della Consolata. I Castelnovesi hanno accolto con gioia e con orgoglio il loro quarto santo, dopo San Giuseppe Cafasso, San Giovanni Bosco e San Domenico Savio. Nella preghiera si è riflettuto sulla santità come chiamata per tutti, anche oggi. Padre Michelangelo Piovano e Suor Stefania Raspo
Novena a San Giuseppe Allamano – nono giorno
9° giorno: sia fatta la tua santa volontà di Dio “Così anche voi, ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla” (Gv 16, 22-23). O Padre nostro Dio, San Giuseppe Allamano, ad imitazione del tuo amatissimo Figlio, ha sempre fatto le cose che ti sono gradite (cf. Gv 8,29) e ci insegna che tu “intervieni in tutte le cose anche minime e le governi a nostro bene, chiedendoci di sottometterci cordialmente alle tue amorose disposizioni” (cf. Conf. IMC, II, 341; Conf. MC, II, 447). Mentre riconfermiamo la nostra piena disposizione a compiere cordialmente la tua santa volontà, non dubitiamo di continuare a chiederti, con immutata fiducia, di volerci concedere la grazia di… Con la forza della nostra fede cristiana, ti scongiuriamo perché tutta la famiglia umana possa riconoscere in Cristo l’unico ed universale Salvatore, che vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli eterni (cf. Gv 4,42). Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – ottavo giorno
8° giorno: sperare contro ogni speranza “Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Di che cosa ci vestiremo? […]. Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno […]Non affannatevi dunque per il domani (Mt 6, 33-34). O Padre mirabile nei tuoi doni, San Giuseppe Allamano, anche nelle circostanze più difficili della vita, ha saputo sperare contro ogni speranza (cf. Rm 4,18) e ci raccomanda di “allargare il cuore ad una viva speranza, ad una super speranza, perché quando si spera poco, si fa torto a te” (cf. VS, 232), che sei bontà infinita. Seguendo il suo mirabile esempio, vogliamo manifestarti la nostra incrollabile fiducia nella tua paterna generosità e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… Convinti che tu vuoi “che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”, (cf. 1Tm 2,4), ti imploriamo di mandare la luce dello Spirito, perché “ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2, 11). Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – settimo giorno
7° giorno: dalla fede l’audacia nel chiedere “Se avrete fede e non dubiterete, […]anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete” ( Mt 21,21), O Padre attento alle domande dei tuoi figli, San Giuseppe Allamano, per ottenere da te un aiuto, ha sempre dimostrato una indomita perseveranza e ci insegna che “per ottenere le grazie, bisogna domandarle con grande fede, con quell’audacia e confidenza da fare miracoli” (Conf. MC, III, 314, 316), e ci incoraggia con queste mirabili parole: “Coraggio sempre, avanti nel Signore” (cf. Pietre vive, 88). Animati dal suo insegnamento, ci rivolgiamo a te, sicuri della tua amorosa cura verso di noi e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… A nome delle persone di buona volontà, ti supplichiamo di radunare dall’oriente e dall’occidente i tuoi figli e figlie dispersi e di farli sedere a mensa nel tuo Regno (Mt 8,11).. Per Cristo nostro Signore. Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – sesto giorno
6° giorno: credo nella bontà del Signore “Se voi dunque che siete cattivisapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (Mt 7,11). Padre buono, San Giuseppe Allamano ha constatato che la tua munificenza è sempre sovrabbondante e ci assicura che “a te piace tanto che crediamo alla tua bontà” (cf. VS, 232; Pietre vive, 44), sapendoci “sollevare a te, anche nelle più piccole cose, e confidare in te solo, qualunque sia il corso degli avvenimenti” (VS, 244). Certi della tua generosità, ci presentiamo a te che sei infinitamente buono e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… Ad imitazione del tuo Figlio che, pur essendo di natura divina, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e si fece obbediente fino alla morte di croce (cf. Fil 2, 7-8), la Chiesa sappia impegnarsi sempre più in favore di quanti soffrono la povertà, la guerra e ogni sorta di ingiustizia. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – quinto giorno
5° giorno: nel Signore ho sperato “Cinque passeri non si vendono forse per due soldi?Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio.Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.Non temete, voi valete più di molti passeri” (Lc 12,6-7) Padre sollecito del nostro bene, San Giuseppe Allamano non ha mai cessato di sperare nel tuo soccorso in ogni necessità e ci ha esortato a “fare sovente atti di confidenza nel tuo amore”(cf. Conf. IMC, III, 267), “senza scoraggiarci, anche se non otteniamo tutto” (cf. Conf. IMC, II, 339), o “se talora tu ci fai attendere, per provarci e ricordarci che siamo poveri (cf. VS, 243). Con questa convinzione nel cuore, ti esprimiamo la nostra perenne confidenza nel tuo cuore di Padre e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… Per quanti non ti conoscono ancora, ti preghiamo di sostenere gli annunciatori del Vangelo, perché il tuo santo nome sia conosciuto e invocato su tutta la terra (cf At 2, 21). Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – quarto giorno
4° giorno: fidiamoci di Dio senza timore “Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà […]. Chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16, 23-24). Padre fedele alle promesse, San Giuseppe Allamano si è sempre fidato di te, che sei premuroso verso le tue creature, e ci raccomanda di “mettere tutto nelle tue mani, senza timore, perché tu non lasci mai le opere a metà” (Conf. MC, I, 52) e non deludi le speranze che i tuoi figli ripongono in te. Animati da questa certezza e sicuri che tu non lasci inascoltate le nostre implorazioni, ci affidiamo totalmente a te e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… In comunione con la Chiesa missionaria, ti preghiamo perché il tuo Figlio, che hai mandato perché il mondo si salvi (cf. Gv 3,17), sia riconosciuto da tutte le persone come il Buon Pastore e giunga presto il tempo in cui sulla terrà ci sarà un solo gregge e un solo pastore (cf. Gv 10, 16). Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – terzo giorno
3° giorno: speranza nella Provvidenza del Padre “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono; né ammassano nei granai;eppure il Padre vostro celeste li nutre.Non contate voi forse più di loro?” (Mt 6,26). Dio Padre provvidente, San Giuseppe Allamano, ogni giorno della sua vita, ha fatto concreta esperienza del tuo soccorso e ci assicura “che non speriamo mai troppo nella tua Provvidenza”(cf. Conf. IMC, II, 157, 339), perché “tu, che dai il cibo agli uccelli, ne darai certamente anche a noi con abbondanza” (cf. Conf. IMC, III, 188)”. Ci rivolgiamo a te nella certezza che sei sempre vicino e attento alle nostre necessità e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo con fiducia filiale la grazia di … In unione con tutti i battezzati, ti supplichiamo che la tua Chiesa si diffonda e cresca presso tutti i popoli e, come lievito nascosto, li trasformi con la forza del Vangelo (cf. Lc 13,20-21). Per Cristo Nostro Signore. Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – secondo giorno
2° giorno: confidenza in Dio che vuole aiutarci “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.[…] Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno Ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6, 7-8). Dio nostro Padre, San Giuseppe Allamano ha compreso pienamente la tua paterna sollecitudine per tutti i tuoi figli e figlie e ci garantisce “che non resta mai confuso chi confida in te” ( cf. Conf. IMC, II, 157), perché “tu puoi, sai e vuoi aiutarci” (cf. Conf. IMC, II, 157; III, 267). Incoraggiati da queste parole, ci rivolgiamo con piena fiducia alla tua bontà senza limiti e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di … A nome di quanti credono in te, ti imploriamo di estendere il tuo Regno di amore e di pace in tutte le parti del mondo (cf. Mt, 24,14). Per Cristo Nostro Signore. Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – primo giorno
1° giorno: fiducia illimitata nella bontà di Dio “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto;perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Mt 7, 7-8). Dio Padre buono, San Giuseppe Allamano, durante la sua vita, ha sperimentato il tuo amore misericordioso e ci incoraggia a pregare con grande fiducia, senza “paura di non ottenere quanto ti domandiamo” (cf. Conf. MC, I, 129), perché tu “tutto accordi a chi in te confida” (cf. Conf. IMC, I, 456; Conf. MC, III, 310). Con ferma speranza e filiale coraggio, ci rivolgiamo alla tua paterna benevolenza e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di … Come figli della Chiesa, ti preghiamo di mandare numerosi operai nella tua vigna a portare la tua Parola di salvezza fino agli estremi confini della terra (cf. At 1,8). Per Cristo Nostro Signore. Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
RUT E NOEMI: DUE DONNE E IL PANE
Il libro di Rut è il racconto di una vita che ha per protagoniste principali due donne… e il pane che diventa l’elemento attorno al quale si snoda tutta la vicenda delle due donne e il futuro della generazione, fino a Davide, fino a Gesù. Il pane elemento essenziale per la vita e che in Gesù diventerà Pane di vita! Il testo, infatti, inizia con una carestia: è la mancanza di cibo che coinvolge Betlemme a portare Elimelech alla decisione di mettersi in viaggio, con la moglie Noemi e i due figli maschi, in cerca di condizioni migliori, verso un paese straniero: Moab. La ricerca del pane spinge Elimelech a portare la sua famiglia fuori dalla terra di Dio, verso la terra dei pagani, quando invece ogni israelita sa che è solo un’illusione pensare di poter trovare la felicità lontano dalla terra promessa. In quella terra straniera, dopo la morte di Elimelech, i due figli si sposano con due donne moabite: Orpa, e Rut. Ma non c’è gioia in terra straniera se si è lontani da Dio e anche Maclon e Chilion, dopo dieci anni muoiono, lasciando le loro mogli senza figli e la loro madre, sola. Nel colmo della sua sofferenza (1,6) Noemi decide di tornare nella terra dei Padri perché “il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane”. È ancora la ricerca del pane che spinge a mettersi in cammino, e anche se amareggiata e insicura su ciò che l’aspetta, Noemi ha la forza di additare un futuro alle proprie nuore: “Andate, tornate ciascuna alla casa di vostra madre” (1,8). Pur nel pianto, Orpa ascolta la suocera e torna indietro. Spesso Orpa è considerata colei che non ha coraggio ed abbandona, essa invece manifesta un altro tipo di amore: quello di chi si sente dire “vai” ed è capace di lasciare, di andare, pur nella sofferenza e nell’incertezza. Orpa è capace di guardare oltre, verso un futuro che le si prospetta nuovo, anche se nell’incertezza. Anche Gesù domanderà ai suoi discepoli fedeltà diverse, perché ad alcuni dirà “seguimi”, mentre ad altri comanderà di tornare a casa e di restare nelle loro quotidianità. Orpa, Rut e Noemi ci rivelano modi diversi di declinare l’amore e la fedeltà nella loro sapienza femminile. La risposta di Rut è diversa: sulla strada del ritorno Noemi non sarà sola perché una delle sue nuore ha scelto di camminare con lei. “Dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio” (1,16). Rut rischia sulla possibilità di scoprire la vera natura di quel Dio che Noemi percepisce come colui che si accanisce su di lei. Nella vita di ciascuno ci sono situazioni in cui si espone al pericolo di perdere la fiducia in Dio. Noemi come Giobbe, fa questa esperienza. La sua fede è ferita dalle sofferenze passate; la vita l’ha aggredita togliendole il marito e i due figli, e lasciandole il bruciore del dubbio sul coinvolgimento di Dio nel male subito. Noemi però non affronterà il suo futuro da sola. Rut, le rimane accanto, come una figlia, nonostante tutto, nonostante il lutto che avrebbe potuto spezzare il legame, nonostante ‘l’assenza’ di Dio, nonostante il fatto che se per Noemi quel viaggio è un ritorno, per lei è ‘un esodo’, un’uscita dalla sua terra, dal suo popolo – come già fu per Abramo e Sara – per entrare nella terra d’Israele. Il libro di Rut è stato scritto in un contesto che assomiglia al nostro: un’epoca di crisi in cui non appaiono né angeli, né visioni e non ci sono profeti ad aiutare nel discernere il cammino. C’è solo l’affiatamento che nasce fra due donne, un affetto che salva, che lenisce il dolore, fascia i cuori spezzati ed è balsamo per le ferite. Noemi e Rut arrivano a Betlemme “quando si cominciava a mietere l’orzo” (1,22), quando la messe è matura, e così Rut andò a spigolare e vi rimase “fino alla fine” (2,23) cioè circa tre mesi. Rut accetta la fatica, lo scorrere monotono e pesante del tempo; esercita con tenacia la sua volontà di rimanere, nello sforzo, fedele agli impegni e alle scelte, mentre il tempo che trascorre fa sì che le persone, le cose e le situazioni maturino. Rimane accanto a Noemi, condividendo con lei il cibo e la casa. L’esperienza di questa fedeltà che salva, permette a Noemi di desiderare per Rut la felicità di una nuova unione, di una nuova vita e a Rut di fidarsi dei consigli della suocera ed aprirsi a un futuro nuovo con Booz. Rut aveva scommesso sul Dio di Noemi: “il tuo Dio sarà il mio Dio”, un Dio che ha imparato a conoscere negli avvenimenti della sua vita, leggendo il suo ‘visitare il popolo’ nelle lunghe giornate di silenzio, piegata nello spigolare. Rimanendo ferma nella sua lealtà, ha sperimentato la fedeltà di Dio che accompagna nel riconoscere il Dio dell’abbondanza, il Dio della comunione e dello ‘stare accanto’, e il Dio della vita. Leggendo Deut. 4,18-22 si dice che Davide discende da Peres: Peres generò Chesron, Chesron generò Ram, Ram generò Amminadab, Amminadab generò Nacson, Nacson generò Salmon, Salmon generò Booz, Booz generò Obed da Rut la Mohabita, Obed generò Iesse e Iesse generò Davide da cui discende Gesù. Rut ha rotto il cerchio della legge del Deuteronomio, ha spezzato il giogo del precetto. Rut è entrata nella comunità del Signore, ha offerto a Noemi il pane guadagnato con la fatica e con il sudore, dopo aver fatto il suo ‘esodo’ e grazie al frutto del suo ventre, Israele avrà il re Davide e Gesù il Salvatore. Dio continua a visitare il suo popolo anche attraverso il volto, la vita, la tenacia e la fedeltà e di una donna straniera, basta avere il coraggio di tornare, di mettersi in cammino fino a Betlemme, la casa del pane. Rut aveva fatto del Dio di Noemi la sua dimora e Dio ha dimorato in lei e, attraverso di lei, nelle generazioni seguenti fino a incarnarsi per dimorare con l’umanità e
Comunicazione ed evangelizzazione: nuovi orizzonti e gli impegni di sempre
Cammino sul Lungotevere, dopo un’intensa giornata vissuta al Seminario Professionale per Comunicatori della Chiesa, promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce di Roma. Nel cuore risuonano tante idee e intuizioni ascoltate durante il giorno, così tante e ricche che il cuore sembra traboccare. Alzo lo sguardo all’orizzonte, ed ecco: un paesaggio che nessun artista potrebbe inventare, se non il nostro Creatore: il cielo del tramonto è colorato da infinite tonalità che vanno dal tenue giallo al blu profondo. Su questo sfondo magnifico si staglia in controluce la Basilica di San Pietro, con la sua cupola svettante, e più vicino Castel Sant’Angelo, illuminato da luci arancioni, gioca con l’acqua del fiume, creando forme morbide e cangianti sulla superficie del fiume. Bello, semplice e allo stesso complesso nella sua ricchezza. Proprio come il tema che abbiamo trattato nel Seminario, nei giorni che precedevano il Giubileo della Comunicazione. Condivido alcuni spunti che considero significativi per il mio cammino di comunicatrice e di missionaria. Ma parliamo di Dio? Fin dal primo intervento, realizzato da Mons. Fisichella, organizzatore degli eventi di Giubileo, è sorta una domanda: noi comunicatori parliamo di Dio? Questa domanda è stata rivolta a comunicatori della Chiesa Cattolica. La risposta sembra ovvia, ma non lo è: nel mondo secolarizzato parlare di Dio non è di moda, o comunque non è un trend tra i temi da trattare. Per avvicinarci al pubblico e ai suoi interessi, possiamo scivolare nello sbaglio di parlare del più e del meno, a seconda del tema in voga, e dimenticarci di essere credenti e praticanti. Secolarizziamo il nostro piano di contenuti. Ognuno farà il proprio esame di coscienza. Mi rimane nel cuore questa idea: quando parliamo di dialogo vero, non stiamo dicendo che dobbiamo tacere la nostra identità, i valori e la fede per rispetto all’altro. Piuttosto il dialogo consiste nel presentare chi sono, in cosa credo e allo stesso tempo accogliere con rispetto la condivisione dell’altro. Risveglio della spiritualità Un’altra idea ricorrente è stata la constatazione che c’è un risveglio della spiritualità, della sete e nostalgia di Dio. Ci sono studi che lo dimostrano, e basta girarsi attorno per capirlo. Le strade di questa ricerca e le mete che si raggiungono forse non coincidono con la nostra idea – piuttosto istituzionale – di Chiesa e di fede. Va da sé che davanti alla sete di Dio (che dal punto di vista di un’antropologia cristiana è caratteristica della creatura verso il proprio Creatore) noi possiamo offrire un bicchiere d’acqua oppure lasciare che la persona cerchi un altro pozzo. I nuovi mezzi di comunicazione legati al mondo digitale offrono spazi e strumenti per poter rispondere a questo bisogno profondo. Lo hanno dimostrato due impresari di alto livello che, spinti dal desiderio che altri potessero fare esperienza dell’incontro con Gesù, hanno inventato l’app Hallow, che spopola in tutto il mondo, e che offre materiali e strumenti per questa esperienza spirituale. Così è successo anche al fondatore dei gruppi Alpha, che portano persone lontane dalla fede a incontrare il Signore. Comunicazione ed evangelizzazione Guardo estasiata questo paesaggio meraviglioso che solo Roma può regalarmi. Dopo un attimo di contemplazione pura, prendo in mano il cellulare e scatto una, due foto. Arrivata a casa, metto la migliore come sfondo del desktop del mio portatile, per ricordarmi che le cose più belle hanno allo stesso tempo una ricchezza traboccante, una semplicità disarmante e un’armonia che non è opera umana. Un po’ come questa meravigliosa vocazione di essere missionaria e comunicatrice. Anche io ho sentito sempre forte il desiderio che gli altri potessero incontrare Gesù, e da questo incontro trovassero la gioia, la pace, il senso alla propria vita. Questo desiderio si concretizza proprio in un cammino di comunicazione che diventa evangelizzazione. Non tanto a parole, quanto con l’incontro e lo scambio sincero. Papa Francesco lo ha affermato con molta chiarezza nell’incontro con i Comunicatori in Aula Paolo VI, sabato 25 gennaio: ”Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!” Buon cammino e buona missione a tutti i comunicatori e comunicatrici! Tra nuovi orizzonti e gli impegni di sempre… Suor Stefania, mc
Missionarie della Consolata: 115 anni di vita e missione
Il 29 gennaio è un giorno molto caro agli Istituti missionari della Consolata: nel 1900 il sacerdote torinese Giuseppe Allamano si trovava in condizioni gravissime, e guarì miracolosamente, promettendo obbedienza al suo Vescovo che gli aveva detto:”Fonderai tu l’Istituto missionario!”. L’anno dopo, alla stessa data, iniziava la sua vita l’Istituto Missioni Consolata. Il 29 gennaio 1910 veniva fondato, nel silenzio e quasi nel nascondimento, l’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata: La notizia ufficiale venne data al pubblico senza rumore. Sul periodico La Consolata del mese di febbraio 1910, figurano poche righe, che non accennano ad una “fondazione” ma la lasciano supporre: “La Direzione della rivista riceve spesso domande di informazioni da persone che vorrebbero prendere parte come suore nelle missioni della Consolata. Avvertiamo che per questo si rivolgano alla Direzione Istituto Missionarie, corso Duca di Genova, 49 – Torino”. Tutto qui, secondo lo stile dell’Allamano! (dal libro “Un uomo per la missione”). “La Fondatrice è la Consolata!” San Giuseppe Allamano insisteva con una certa forza che la Fondatrice era la Madonna Consolata, e non lui. A noi piace pensare (e lo sentiamo) che abbiamo una Madre e un Padre, una Fondatrice e un Fondatore, come due sorgenti da cui sgorga il Carisma delle Missionarie della Consolata. Un Carisma di consolazione per la missione ad gentes Chiamate dallo Spirito Santo a partecipare al Carisma, dono di Dio a Padre Fondatore, offriamo la vita per sempre a Cristo, nella missione ad gentes, ossia ai non cristiani, per l’annuncio di salvezza e consolazione. Il Carisma qualifica la consacrazione, anima la spiritualità e si esprime attraverso ogni aspetto della vita personale e comunitaria. (Costituzioni, n.3) Dopo 115 anni, la ragione d’essere delle Missionarie della Consolata è sempre la medesima: il primo annuncio di salvezza e consolazione. Anche quando non si può parlare apertamente di Cristo. Perché l’annuncio si realizza con la vita, la carità e una vita intensa di preghiera e incontro con il Signore, che traspare anche nei gesti più semplici e ordinari. Ringraziamo Dio per il dono di questa famiglia religiosa missionaria e continuiamo a pregare, come nostra tradizione: Proteggi, o Padre, la tua Famiglia e mantieni in essa il tuo spirito!
Consolazione a doppia corsia. Missione in Alabama
Intervista a Suor Claudia Gavarini, missionaria della Consolata italiana, vive a Birmingham, in Alabama (Stati Uniti). In questo stato, segnato da una storia di segregazione razziale, le Missionarie della Consolata vivono la missione di consolazione da circa 50 anni.
Comunicare la speranza. Un’altra informazione è possibile
Una mostra per il Giubileo 2025 nell’atrio dell’Aula Paolo VI, iniziativa promossa dalla Società San Paolo e dalle Figlie di San Paolo, con il patrocinio del Dicastero per l’Evangelizzazione e del Dicastero per la Comunicazione. «Gli obiettivi del giornalismo sono due: proteggere la democrazia e aiutare le persone ad affrontare la quotidianità. Le inchieste sono importanti, ma anche la proposta di soluzioni a ciò che non funziona». Questa splendida frase che riassume in poche parole il senso del giornalismo, specie in tempi in cui il quotidiano è così funestato da terribili eventi in ogni latitudine, è il mantra di Styli Charalambous, co-fondatore del sudafricano Daily Maverick, una testata avviata nel 2009 da una start-up di cinque persone (oggi diventate più di cento), che sta avendo un grande successo. Ragionando su questi temi, nell’occasione dell’apertura dell’Anno Santo il cui motto recita “Pellegrini di speranza”, i giornalisti Francesco Antonioli e Gerolamo Fazzini, si sono interrogati su come il giornalismo, al di là della giusta denuncia, possa anche comunicare fiducia, attesa di un futuro migliore, e su cosa abbia da dire il Giubileo appena cominciato al mondo dei comunicatori e dei media. Da queste domande è nata l’idea della mostra “Comunicare la speranza. un’altra informazione è possibile”, un’iniziativa promossa dalla Società San Paolo e dalle Figlie di San Paolo con il patrocinio del Dicastero per l’Evangelizzazione e del Dicastero per la Comunicazione, e affidata per la realizzazione all’agenzia Mediacor, sotto la regia di Paolo Pellegrini e Simona Borello. La mostra verrà esposta per la prima volta nell’ingresso dell’Aula Nervi in Vaticano il 25 gennaio prossimo, in occasione del Giubileo del Mondo della Comunicazione. Una seconda copia sarà da subito esposta presso la Basilica di Santa Maria Regina degli Apostoli, centro significativo per gli Istituti della Società San Paolo e delle Figlie di San Paolo, per poi diventare itinerante nei mesi successivi (sarà anche possibile prenotarla per iniziative presso istituzioni, centri culturali, parrocchie e realtà associative). L’iniziativa vede anche il patrocinio di COPERCOM (Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione), FESMI (Federazione Stampa Missionaria Italiana), FISC (Federazioni Italiana Settimanali Cattolici), associazione METER, UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana) e WeCa (Associazione WebCattolici Italiani). In 24 agili pannelli presentati con una grafica accattivante, la mostra lancia agli operatori della comunicazione, sulla scorta degli inviti di Papa Francesco, un forte appello alla corresponsabilità. La mostra – fruibile in più lingue, tramite un apposito QRcode – chiede a ciascuno di ripensare al proprio ruolo a servizio della collettività, così da rinsaldare la dimensione civile della professione del comunicatore, a maggior ragione se si rifà ai valori cristiani. I pannelli sono pieni di dati, notizie, storie, statistiche aggiornate. Tra i molti spunti interessanti che emergono scorrendoli, c’è quanto segnala il Digital News Report, lo studio più autorevole sull’andamento dei media e dell’informazione condotto annualmente dal Reuters Institute for the Study of Journalism. L’edizione 2024 ci restituisce un panorama in profonda trasformazione in cui si delineano alcuni trend: la sensazione in molti utenti di un eccesso di informazione, difficile da gestire; l’insistenza sulle bad news da parte dei media e un problema di credibilità degli operatori dell’informazione. Il tutto provoca l’inquietante fenomeno noto come “news avoidance” l’allontanamento dall’informazione da parte di un segmento crescente di pubblico, un dato che presenta preoccupanti ripercussioni in ordine alla qualità della democrazia. La mostra cerca di far luce sui motivi di disaffezione del pubblico verso le news e nel contempo punta a evidenziare altri modelli possibili di comunicazione positiva. Dà voce ai tanti esempi di figure di giornalisti e giornaliste del lontano e vicino passato, noti o meno, che si sono distinti come testimoni credibili, a volte a prezzo della vita, per la loro passione per la verità e per la ricerca instancabile della giustizia – da Walter Tobagi a Ilaria Alpi, da James Foley a Maria Ressa– così come a esperienze e figure in grado di esaltare un giornalismo costruttivo. Comunicatori che, al di là di appartenenze, fedi, orientamenti e provenienze geografiche, sono capaci di diffondere speranza grazie a un giornalismo orientato alla ricerca di soluzioni, non solo concentrato sulla denuncia di ciò che non funziona. «Per partecipare pienamente alla celebrazione del Giubileo del Mondo della Comunicazione – afferma l’equipe di lavoro della Società San Paolo e delle Figlie di San Paolo – i nostri Istituti si sono uniti per realizzare alcune iniziative tra cui questa Mostra itinerante che intende mettere in evidenza l’attualità del tema del Giubileo – Pellegrini di Speranza –. È un nostro contributo per sottolineare l’importanza teologica e pratica della speranza nell’affrontare le crisi contemporanee. La Mostra itinerante cerca di dare risalto all’impegno di tanti che hanno vissuto i valori della professione giornalistica, anche a costo della vita, diventando agenti attivi di speranza, incarnando la misericordia e la giustizia nel loro importante servizio di informazione alla società e alimentandone la coscienza etica». Il percorso si conclude con la riscoperta della feconda eredità di don Giacomo Alberione e suor Tecla Merlo, fondatori e ispiratori profetici nel loro tempo, figure il cui messaggio merita di essere riletto e riproposto anche oggi. «L’impegno per una comunicazione di speranza – dichiarano i due giornalisti Francesco Antonioli e Gerolamo Fazzini autori dei testi – è una passione che supera il confine tra credenti e non credenti. È passione civica per la ricerca della verità, per la difesa convinta della democrazia: proprio per questo è un giornalismo in piedi, onesto, imparziale, capace di accompagnare al futuro perché in grado di distinguere con autorevolezza i fatti dai commenti. Con questa chiave di lettura abbiamo proposto alcuni testimoni del secolo scorso e del tempo presente che hanno provato a vivere e testimoniare questi valori». Le iniziative paoline del Giubileo continueranno a partire dal pomeriggio di sabato 25 gennaio alle ore 15.00 presso la Basilica di Santa Maria Regina degli Apostoli alla Montagnola, in uno dei panel ufficiali della giornata. Il convegno intitolato “Dalla competizione alla collaborazione: new media come vettori di speranza per i giovani in un mondo conflittuale”, si soffermerà in particolare sui nuovi media, sul loro futuro e sulla loro influenza nella società attuale. Moderati dal direttore di Famiglia Cristiana
Per andare in profondità
Gli eventi importanti della vita vengono a volte vissuti e raccontati con una certa superficialità, magari anche toccante e commovente, ma solo a distanza capiti davvero in profondità. Capita anche per le vicende del tempo del Natale, passato da non molto tempo. I primi racconti, pur seri e profondi, si prestano di più a un ritratto oleografico, toccante ma un po’ banale, come in fondo è capitato che diventassero. Solo qualche anno dopo un altro autore evangelico provò a riflettere più radicalmente su che cosa era accaduto, regalandoci una pagina certamente difficile ma anche capace di farci gettare uno sguardo come sull’abisso da un’altezza prodigiosa. Il vangelo è quello di Giovanni, e la pagina che riflette sul Natale, senza peraltro citarlo, è quella iniziale, il prologo (Gv 1,1-18). Una parola intraducibile? A chi conosce lingue diverse dalla propria piace dire che una certa parola è proprio intraducibile, che questo sia vero o no. Succede qualcosa del genere con una delle prime parole del vangelo di Giovanni: logos. Uno studente del classico potrebbe rispondere che significa “parola”, e avrebbe ragione. Ma spesso succede che una parola abbia tantissimi significati. Logos non indica soltanto la “parola”, ma anche la “logica” (che infatti deriva da lì), il “principio logico”, il “ragionamento”, addirittura il “senso che sta sotto alle cose”. Giovanni parte dal logos e dall’”in principio”, che ovviamente ci fa pensare all’inizio della Genesi. In un versetto solo ci parla di Bibbia e di ricerca filosofica, di ebraismo e paganesimo, di Gerusalemme e di Grecia. E, un po’ a sorpresa, non parte da Dio. Parla dell’”in principio”, che non è soltanto all’inizio ma è anche ciò che c’è in profondità, come fosse il “principio fondante”. E ci fa pensare, a ragione, che anche per le persone più religiose all’inizio non c’è la ricerca di Dio, ma del nostro fondamento, di ciò che ci fa vivere una vita sensata. Può sembrare blasfemo, ma non lo è, ricordarci che se Dio non ci facesse vivere bene, non lo cercheremmo. In principio non c’era Dio, ma il logos, che è più importante di Dio stesso. Il principio unificante, la logica di fondo, il senso del vivere. Ma questo principio era presso Dio, dalle parti di Dio, addirittura tendeva a Dio. Anzi, Dio era esattamente questo principio. Ciò che il mondo della filosofia aveva cercato, ciò che Genesi aveva colto nella creazione, dopo Gesù è più chiaro vederlo in lui, che è Dio (Gv 1,1). E quindi? Anche se spesso Giovanni sembra stare fermo e ripetere ciò che ha già detto, di fatto a ogni passaggio sul già detto procede un poco oltre, come a spirale… Ad esempio, il v. 2 sembra ripetere il già detto, ma mette all’inizio un pronome (“lui, questo”) che è una ripresa di logos (che è parola maschile, dunque tutto torna…) ma che intanto comincia a lasciare intuire che questo logos non è qualcosa di impersonale, ma è qualcuno. E poi si dice che tutto è stato fatto tramite quel logos (ovvio, se è il principio di fondo di tutto; ma se si comincia a pensare che si tratta di un “qualcuno” il discorso si fa più intenso…: v. 3), che in lui c’era la vita per gli uomini (v. 4) e che la vita era la luce degli uomini. L’immagine è interessante. La luce non ci dice che cosa dobbiamo fare, semplicemente ci fa vedere, per poter decidere liberamente e in sicurezza. La vita, dice Giovanni, non è lo scopo degli uomini (è vero, molti nella storia hanno rinunciato addirittura alla propria vita per uno scopo più nobile) ma è ciò che permette loro di muoversi, di decidere… Un passo avanti Il prologo è ampio e ricco e si arricchisce di stimoli interessanti ma che ci farebbero andare troppo per le lunghe. Vale la pena fare un salto avanti fino al v. 14: «E il logos divenne carne». Se fossimo dei filosofi greci, faremmo un salto sulla sedia. Come? Il logos, quel principio di fondo, quella logica… non si limita a restare qualcosa di teorico, di vagamente intuibile, ma entra nel mondo. E non entra nel mondo come un ologramma, etereo e sfuggente, ma si fa carne. Si fa concretezza pesante, esposta al limite, alla malattia, ai condizionamenti, persino alla morte. Un’idea può non morire, la carne no, morirà di certo. Dire che il principio di fondo del mondo si sia fatto concreto al punto da esporsi alla morte può essere un’idea spaventosa, allucinante. Ma non è un impoverimento? Non si contaminerà? E Giovanni non si ferma: «e si attendò in noi». La tenda era un ricordo piacevole e scomodo, per gli ebrei. Nelle tende ricordavano che i loro padri avevano vissuto durante i quarant’anni di peregrinazione nel deserto, che erano stati un tempo di povertà e in fondo castigo, ma a strettissimo contatto con un Dio che provvedeva a loro, chiaramente, ogni giorno. La tenda, riparo prezioso ma fragile, diventa un facile simbolo del corpo, fuori dal quale non viviamo ma che è anche tanto debole. In questa fragilità, debolezza, precarietà entra il logos, entra Dio, attendandosi “in noi”. Vuol dire in mezzo a noi, ovviamente e come giustamente ci dicono le nostre traduzioni: entra nelle nostre consuetudini, costumi, relazioni. Come ogni bambino che entra nel mondo, anche il logos, Dio, deve imparare, e questo ci ripete ogni anno il presepe. Ma entra anche, addirittura, “in noi”. Diventa non solo uno di noi, ma diventa come noi, identico a noi. Il che significa che l’essere umano può prendere dentro, comprendere, Dio, il senso ultimo e profondo del mondo, delle cose, della vita. Non avremmo potuto immaginarlo, finché non avessimo visto Dio prendere tenda in noi. «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito lo ha rivelato». Tutto questo (e altro ancora!) è sottinteso in quel bambino avvolto in fasce. Angelo Fracchia
Le Benedizioni di Dio: San Paolo agli Efesini
Nel Nuovo Testamento troviamo alcuni inni a volte per noi un po’ più difficili da seguire, perché non sono delle storie o delle definizioni teologiche, ma che rappresentano le più antiche preghiere cristiane (solo il “Padre nostro” è più vecchio ancora…). Anche se ci sarà forse da faticare un pochino, può diventare davvero interessante andare a leggere e capire delle reliquie così antiche ed importanti. Una di queste si trova all’inizio della lettera di san Paolo agli Efesini. La lettera In realtà non dovremmo insistere troppo sul titolo dello scritto. Tra le lettere attribuite a Paolo, infatti, questa suona molto strana come lingua usata (molto più ampollosa e solenne del suo stile consueto) e come temi, che vanno molto nella direzione della “Chiesa” intesa come complesso universale o addirittura cosmico e non come comunità locale, e verso considerazioni mistiche che sono interessanti ma non erano una questione particolarmente cara a Paolo. Tra l’altro, non è neppure così sicuro che davvero sia uno scritto destinato agli abitanti di Efeso, città il cui nome compare solo all’inizio, ma che nei manoscritti più antichi manca o è stato aggiunto dopo. D’altronde, mancano anche i saluti personali, così tipici di Paolo, il quale pure aveva lavorato a Efeso per anni, per cui non dovevano mancargli di certo legami e persone care. Con ciò, questa si riduce, alla fine, a una questione da specialisti. Può darsi che non fosse una lettera per gli efesini e che non l’abbia scritta Paolo, ma comunque è un testo cristiano antico che riflette su temi solenni e mistici (la Chiesa) ma anche quotidiani e concreti (i legami familiari). Chiunque l’abbia scritta e per qualunque destinatario e motivo, è una riflessione che può essere utile anche per noi oggi, e che la seconda generazione cristiana ha ritenuto importante e degna di essere conservata e tramandata. L’inno L’inizio della lettera è molto consueto (e, se lo si fosse voluto, facile da imitare). Come si faceva sempre nelle lettere nell’antichità, si parte dal mittente (Paolo, apostolo di Cristo), si indica il destinatario (i santi che sono in Efeso) e si aggiunge un saluto, che nelle lettere paoline si incentra su Dio e a volte si fa molto lungo, mentre qui cita semplicemente il Padre e il Signore (Ef 1,1-2). Semplice, secco, diretto. Poi inizia l’inno, che sembra potersi dividere in quattro momenti. Non dobbiamo pensare alle strofe ben organizzate, ritmate e rimate della nostra tradizione poetica italiana, ma non corrisponde neanche alle abitudini delle poesie greche antiche. È più un discorso di taglio poetico, che di tanto in tanto sembra fermarsi solo per respirare e poi riprendere. Anche noi usiamo questa divisione in strofe per semplice comodità, così da respirare anche noi nella lettura. Il progetto del Padre (vv. 3-6) Si parte benedicendo il Padre e spiegandone il motivo: perché ci ha benedetti (v. 3). Non c’è l’approccio normale, anche per le preghiere, di una lode da suddito a imperatore, lusinghiera e servile, fosse pure per riuscire a ottenerne favori. C’è piuttosto un rapporto quasi alla pari: benediciamo perché ci ha benedetti. È l’approccio cristiano, che sa benissimo che l’umanità è inferiore a Dio, ma sa anche, in Gesù, di essere stati chiamati a vivere con Dio in comunione, in amicizia, alla pari, come si chiarirà già in questa prima strofa. Si precisa che questa benedizione del Padre è spirituale (sempre v. 3), non mira cioè a farci ottenere chissà quali beni mondani o salute o potenza, ma guarda al nostro spirito, al nostro intimo, alla profondità del nostro essere. Ed è una benedizione che ci arriva non direttamente, ma tramite “Cristo”. È però una benedizione che non è una novità, non è un piano che al Padre sia venuto in mente all’ultimo, ma l’ha in testa da sempre: fin dalla fondazione del mondo siamo stati chiamati a essere perfetti (v. 4), perché già eravamo destinati a essere figli del Padre, alla pari con lui, come Gesù, con la sola differenza che Gesù lo è per natura, noi per adozione (v. 5). Ecco perché l’inizio dell’inno non era presuntuoso e davvero potevamo trattare Dio faccia a faccia. Non per merito nostro, ma per la «benevolenza del suo volere», perché semplicemente il Padre ha voluto così, generosamente, perché ha un desiderio benevolo. Da sempre ha deciso, senza essere per nulla costretto, che noi umani fossimo come Gesù, in quella stessa comunione intima con lui. Passiamo da Gesù, ma siamo resi come lui. Public Domain Media – Letter of Saint Paul to Timothy Pacificazione in Gesù (vv. 7-10) Seguono quindi tre strofe che si incentrano tutte su Gesù, partendo da un “nel quale” che sempre parla di lui. Anche la prima strofa, d’altronde, parlava del Padre e di noi eppure doveva sempre passare dal Cristo, che è l’unico nostro tramite con Dio, in quanto è diventato come noi, uomo fino alla morte. E di morte di Gesù, del suo sangue, parla in effetti la seconda strofa, che non può che passare da lì ma non si incentra su quello. Non si può non parlare della croce, che dice da una parte, simbolicamente, il sacrificio che ha rimesso i peccati, cogliendo però che si tratta di un sacrificio fatto una volta per sempre, che implica la nostra “redenzione”, ossia il nostro essere riscattati, restituiti a libertà, non più schiavi, passaggio che non deve ripetersi ogni volta, ma è dato una volta per tutte. La croce mostra fino a che punto Dio sia disposto ad amare l’umanità: fino a morire, da parte del Figlio, e fino a lasciare morire colui che ama, da parte del Padre. Abissi irraggiungibili, estremi. Non si può davvero chiedere di più. E nello stesso tempo, siccome tecnicamente quello di Gesù sulla croce non è un sacrificio (non uccide sull’altare nessun animale), quel “sacrificio” suo personale dice che in realtà i sacrifici non serviranno più. E allora in Gesù scopriamo ciò che Dio da sempre aveva sognato di fare, ossia vivere nella piena comunione con gli esseri umani (v. 9). A
100 anni di missione in Somalia. Lo stile martiriale
Continuiamo a fare memoria grata per il dono della missione in terra somala, ricordando i 100 anni dall’arrivo delle prime Sorelle. La missione in Somalia ha avuto uno stile martiriale: di testimonianza con la vita e di sacrificio offerto con amore agli ultimi. La speranza è stata una virtù coltivata e cresciuta nelle Missionarie. Decine e decine di sorelle si sono consumate come incenso offerto a Dio, nella preghiera, abnegazione, sacrificio, per tracciare un solco nel deserto. Hanno offerto la loro vita per il popolo musulmano con la testimonianza silenziosa di vita evangelica, nel servizio della carità e nel rispetto di ogni persona. Un servizio donato con amore in umiltà, in silenzio, senza pretese, senza attese, fiduciose nella bontà di Dio, rispettando i suoi tempi. Il Fondatore voleva le sue figlie” Sacramentine”, cioè adoratrici, sempre in unione con Dio, pur donandosi generosamente ai fratelli. Dalla vita di unione con Dio scaturisce la vita e la vitalità della missione. In questa terra somala bisogna vivere di speranza: ma come? Dagli scritti di Suor Paola Rossi: Credendo alla forza creatrice delle parole di Gesù: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi “e vi ho mandate. Una missionaria scelta e mandata che vive fino in fondo la sua vita consacrata, evangelizza con la sua stessa vita. Ella diventa annunzio quando è segno e lievito di giustizia e di amore.. Sperare, sempre sperare, non aver paura di sperare troppo, non solo sperare, ma super sperare, diceva il Padre alle sue figlie. Come sperare quando l’apostolato è sterile, quando addirittura è rifiutato e impedito? Il seme che costantemente e silenziosamente si getta nei solchi aridi, certamente non andrà perduto, perché è un seme divino irrigato dal sudore di tante sorelle che per anni ed anni con serena speranza hanno umilmente gettato senza chiedere risultati. La speranza sia l’anima del lavoro di ogni missionaria in Somalia sostenga la loro fatica perché possano offrire con gioia sempre nuova i sacrifici e le sofferenze di ogni giorno. L’amore apostolico in Somalia consiste in un umilissimo servizio che conosce i fremiti del dolore, che sopporta pesi sudori e fatiche indifferenze durezze di ogni genere. Il messaggio evangelico può essere solo annunziato mediante l’esempio più eroico, senza parole, con una carità profusa in atti concreti, che il più delle volte non hanno contraccambio. In Somalia bisogna amare come Gesù “dare la vita” . Dagli scritti di Suor Paola Rossi