(Giudici 11,29-40)
La vicenda della figlia di Iefte si colloca in un momento preciso della vita del popolo di Israele, tra l’uscita dall’Egitto e la prima Monarchia: il tempo del nomadismo. Si tratta di circa duecento anni in cui le dodici tribù di Israele si organizzarono con efficacia; ogni gruppo/tribù si dotò di un apparato militare e un gruppo di saggi, ed elesse una figura carismatica, il Giudice, che radunava in sé il potere legislativo, giudiziario ed esecutivo. Si trattava di un vero leader chiamato a guidare la propria tribù: in tempo di pace era una figura di garanzia fra le parti, ma in tempo di guerra diventava capo supremo dell’esercito.
Tra i molti giudici delle dodici tribù di Israele ne emerse uno, un uomo d’armi; il suo nome era Iefte; Iefte, da guerriero esperto attraversò Gàlaad e Manàsse, passò a Mizpa di Gàlaad e da Mizpa di Gàlaad raggiunse gli Ammoniti. Iefte fece voto al Signore e disse: «Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti, la persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l’offrirò in olocausto». Quindi Iefte raggiunse gli Ammoniti per combatterli e il Signore glieli mise nelle mani. Egli li sconfisse da Aroer fin verso Minnit, prendendo loro venti città, e fino ad Abel-Cheramin. Così gli Ammoniti furono umiliati davanti agli Israeliti.
Poi Iefte tornò a Mizpa, verso casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia, con timpani e danze. Era l’unica figlia: non aveva altri figli, né altre figlie. Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: «Figlia mia, tu mi hai rovinato! Anche tu sei con quelli che mi hanno reso infelice! Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi». Essa gli disse: «Padre mio, se hai dato parola al Signore, fa’ di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca, perché il Signore ti ha concesso vendetta sugli Ammoniti, tuoi nemici». Quindi, la giovane disse al padre: «Mi sia concesso questo: lasciami libera, per due mesi, perché io vada errando per i monti a piangere la mia verginità, con le mie compagne». Egli le rispose: «Va’!», e la lasciò andare per due mesi. Essa se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità. Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli fece di lei quello che aveva promesso con voto. Essa non aveva conosciuto uomo; di qui venne in Israele questa usanza: ogni anno le fanciulle d’Israele vanno a piangere la figlia di Iefte, per quattro giorni.

Le Sacre Scritture parlano al nostro cuore e alla nostra volontà; ma, mentre le parole di Gesù ci appaiono, con immediata evidenza, buone e degne di essere accettate, spesso le parole dell’Antico Testamento suonano al nostro orecchio: forti, dure e lontane. Il Vangelo ci invita al perdono, alla mitezza, alla pace, l’Antico Testamento, molto spesso, ci parla di guerre, di vendette, di condanne a morte, quindi è abbastanza diffusa la tendenza ad escluderlo dalla riflessione religiosa. Salvo poi che nella nostra condotta pratica ci comportiamo come Iefte che, ignorante sulla volontà di Dio, immolò la sua unica figlia.
Abbiamo il dovere di confrontarci con tutta la parola di Dio, comprese le pagine più dure. La lettura di Iefte, come dice il biblista Paolo De Benedetti, fa da ”contravveleno a una concezione intimistico-spiritualista di Dio”.
Ci sconvolge l’episodio della figlia di Iefte, sacrificata dal padre per il voto fatto a Dio di offrirgli in sacrificio chi fosse uscito da casa sua al ritorno dalla vittoria sugli Ammoniti.
Nel sacrificio di Isacco è Dio che chiede il sacrificio che alla fine non si compie, mentre nel caso della sfortunata figlia di Iefte il sacrificio si compie e viene proposto da Iefte stesso.
Iefte, nella sua ignoranza, che proviene, possibilmente, da una vita intera dedicata alla guerra, si rivolge ad un dio che non è quello dell’Alleanza ma ad un dio fatto ad immagine e somiglianza dell’uomo, un dio che, secondo Iefte, avrebbe accettato lo scambio tra la vittoria ed una vita umana.
Là dove l’uomo si fa un’immagine di ‘dio’ secondo il proprio pensiero e i propri interessi, si predispongono le prime tracce del fondamentalismo, e, come conseguenza immediata, si giunge all’assassinio. E quale assassinio: la stessa figlia! Nel nome di questo dio inferiore, che assomiglia molto all’uomo, non si può esitare nemmeno nella distruzione del proprio popolo, della propria gente, dei propri stessi cari… .
I fatti di cronaca di tutti i giorni parlano di questi fatti, dove il braccio armato del terrorismo internazionale immola i suoi stessi figli, raccontano la stessa drammatica vicenda. C’è un piccolo uomo con una coscienza piccola ed un dio assetato di sangue.
Il fatto è che questi ‘dei’ prodotti dall’uomo sono potentissimi; parlano e convincono le menti al successo e alla prevaricazione, alla violenza e al potere. Sono i frutti della estensione della coscienza malata dell’uomo. Mi pare di vedere molta attualità nella vicenda religiosa di Iefte, uomo che non sa niente di Dio, del suo amore, della sua misericordia, della sua tenerezza ma lo immagina così come è fatto lui: un dio grande, che può tutto, sta sopra gli uomini, vede, scruta, un dio esigente.
Iefte non ha conosciuto una vera esperienza di fede e di apertura al trascendente, ma una semplice esperienza religiosa verso un dio frutto della sua coscienza: si tratta di una esperienza religiosa bugiarda eppure tanto comune oggi nella nostra società.

L’ignoranza su Dio crea divinità mostruose assetate di sangue. L’ignoranza su Dio uccide la propria discendenza. L’ignoranza su Dio arma la propria mano contro il fratello, l’ignoranza su Dio è discriminante ed egoista.
Oggi, dove la comunicazione è efficace e velocissima, dove un’infarinatura generale sulle “cose della religione” è facilmente fruibile dalla T.V. dai libri e da internet, rischiamo di essere come Iefte, certo non assassini cruenti ma mortificatori delle speranze delle persone e in particolare dei giovani.
La dove un uomo o una donna totalmente dediti al lavoro, al successo alla scalata sociale, dove un uomo e una donna, spezzano il proprio tempo al guadagno e ai soldi, inevitabilmente il loro Dio diventa un dio inferiore ed è di lui che parleranno ai loro figli: un ‘dio’ piccolo, peggio se di carta come il denaro. C’è una forma di “omicidio” incruento della gioventù oggi, quando ad essi viene consegnato un dio identificato con cianfrusaglie: telefonini, computer, cose, cose, cose. Una caricatura del divino che non riempie il cuore e la vita…
Preghiamo il salmo 115
L’unico vero Dio
O Dio Tu sei l’unico Dio!
Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo.
Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano.
Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano;
dalla gola non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida. Israele confida nel Signore: egli è loro aiuto e loro scudo.
Confida nel Signore, chiunque lo teme: egli è loro aiuto e loro scudo. Vi renda fecondi il Signore, voi e i vostri figli. Noi, i viventi, benediciamo il Signore ora e sempre. Amen
Sr. Renata Conti MC