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Il regalo più grande della mia vita

Suor Hannah Wamboi, missionaria della Consolata keniana, da più di vent’anni vive in Argentina. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei e ci ha rivelato che il dono più grande che ha ricevuto nella sua vita è stato l’incontro e la condivisione con i popoli nativi in America.

Suor Hannah, parlaci della tua missione con i popoli nativi in Argentina.

La mia esperienza con i popoli originari è il regalo più grande che ho ricevuto in tutta la mia vita. Mi ha permesso di connettermi non solo con loro, con la loro cultura, ma anche con le mie radici. La missione è dialogo interculturale e interreligioso: uno dà quello che è e riceve dagli altri. Conoscere gli altri è anche conoscere sé stessi

La cosmovisione andina ha degli elementi matriarcali molto forti, così come la mia cultura di origine. Allora sono potuta arrivare anche alle radici della mia cultura. Se non fossi stata con il popolo andino, forse non avrei scoperto le mie radici…

Quindi un’esperienza che ti ha cambiato e ti ha aiutato molto!

L’evangelizzazione non è tanto un “andare a portare”, ma è un dialogo: scopriamo insieme chi è Gesù: Dio è già presente nelle culture. Si tratta di scoprire come Dio si è fatto presente, si è manifestato a questo popolo particolare.

Ho imparato tanto dal popolo Kolla, nella convivenza culturale. L’esperienza, la relazione con la Madre Terra (la Pachamama) è il centro della loro spiritualità, attorno a cui tutto gira.

Il cammino con il popolo Kolla come ha cambiato la tua relazione con Dio?

Tutti abbiamo un’immagine di Dio: per il popolo Kolla è la Pachamama. Ho potuto riscattare l’immagine femminile di Dio, è stata una grande scoperta. Dio è padre e madre: allora oggi quando leggo la parola “Dio Padre” aggiungo sempre anche “Madre”. La mia esperienza personale è iniziata con un Dio Padre, anche perché ho avuto un’esperienza molto significativa con mio papà. Il Padre è una figura positiva nella mia vita. Ma il popolo Kolla mi ha aiutato nel mio cammino personale di riscattare e rivalutare il volto femminile di Dio.

Sono più di 20 anni che vivi in America Latina. Quando sei arrivata, qual è la cosa più distante dalla tua esperienza e cultura che hai trovato?

Quando sono arrivata, mi sono ritrovata in un mondo totalmente diverso dal mio. Ero una “grande novità” per la gente: sono stata la prima Missionaria della Consolata africana arrivata in Argentina. Allora la gente mi guardava e mi voleva toccare. E mi chiedeva di parlare, per sentire come era la mia voce. Non avevano mai visto una persona africana, se non nella televisione! Ma non mi sono mai sentita discriminata, era solo curiosità. Nei primi anni avevo difficoltà a parlare lo spagnolo, ma la gente mi aiutava e mi incoraggiava. La gente è stata molto vicina.

Invece con i popoli originari ho trovato valori molto simili alla mia cultura: la comunità, il rispetto degli anziani, della famiglia. Con il popolo Wichi nel Chaco, mi ha colpito la povertà materiale del popolo. È un popolo molto calpestato ed emarginato.

Ormai sono una decina di anni che accompagni il cammino del gruppo di Pastorale e Teologia andina. Quali luci hai ricevuto da questo camminare insieme?

Questo gruppo mi ha aiutato ad approfondire la riflessione sulla cosmovisione andina, ma questi sono popoli che stanno cercando di riflettere sulla propria identità, contro la cultura dominante. Popoli che per molto tempo furono discriminati e che sognano di poter proporre i propri valori per costruire un altro mondo possibile, libero dall’individualismo. Mi sento una di loro in questa ricerca. La luce è proprio questa: cercare di costruire una Chiesa con “volto indigeno”: riscattare i propri valori, la connessione con la Madre Terra e con il cosmo intero, perché tutto è interconnesso e in relazione: è l’utopia del “buon vivere”, in armonia con il tutto.

Sei anche al servizio dell’animazione missionaria della Chiesa locale, come vedi questo servizio alla tua Diocesi di Orán e alla Chiesa argentina nelle Pontificie Opere Missionarie?

Anche questo servizio è stato un’occasione per approfondire la formazione missionaria, e soprattutto il lavoro con i bambini è stato speciale: iniziare fin da piccoli ad aprire la mente e l’orizzonte: che il mondo è più grande del piccolo contesto in cui vivono! In Argentina si fa “La scuola di Gesù”: è una metodologia dinamica, i bambini di appropriano della propria fede.

Io sento che un cammino da fare come Chiesa argentina è l’apertura verso i popoli nativi: questo è un punto in cui bisognerà insistere, per aprire la mente e il cuore a un’evangelizzazione di incontro, del “dare e ricevere”. Non come chi ha la verità in tasca e la va a portare a chi non ce l’ha.

Chi siamo

Le Suore Missionarie della Consolata sono una Congregazione internazionale per la missione ad gentes, ossia per il primo annuncio del Vangelo.

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Verso la canonizzazione, 20 ottobre 2024

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