Secondo i vangeli Gesù rimanda esplicitamente ai primi capitoli di Genesi quando lo vengono ad interrogare riguardo a una questione che era discussa tra i rabbini del suo tempo: in quali casi è lecito ripudiare la propria moglie (Mt 19, 3-9)?
Contesto
Il vangelo dice che dei farisei si avvicinano a Gesù “per metterlo alla prova”. Non è detto che l’intenzione fosse del tutto cattiva. Di fatto, il modo con cui entrano nel discorso assomiglia moltissimo a come i rabbini impostavano i loro confronti. L’abitudine non era di porre direttamente la domanda, ma di arrivarci da lontano: la persona colta avrebbe già capito dove portava il discorso e sarebbe arrivata direttamente al dunque. Insomma, provano a vedere se Gesù può ragionare con un dottore della legge alla pari.
Può anche darsi che l’intenzione fosse invece più cattiva: Gesù si era presentato in veste molto misericordiosa, guarendo molti (Mt 19,1-2), e forse vogliono costringerlo a prendere una posizione su una questione controversa, mettendosi così inevitabilmente contro qualcuno, qualunque cosa dica.
La questione
Il tema era effettivamente dibattuto. Secondo la legge ebraica, qualora il marito trovasse nella moglie qualche motivo di lamentela, poteva ripudiarla e la donna avrebbe dovuto tornare alla casa di suo padre, a patto che questi la riaccogliesse. (Non era però una possibilità concessa alla donna). Si discuteva su quale motivo fosse sufficiente per il ripudio.
Gesù, che aveva la fama di essere molto lassista nell’applicazione della legge, per una volta la rende più dura: in principio quella legge non c’era, Dio ha deciso di unire l’uomo e la donna per sempre, ed è solo la cattiveria dell’uomo ad aver spinto Mosè a introdurre quella norma. Il matrimonio è per sempre, e un secondo matrimonio è quindi un adulterio.
Il principio
Proprio il rimando di Gesù al “principio” è illuminante. Gesù non ragiona in termini di legge, non si chiede se una cosa sia lecita o no. Vede invece nel progetto iniziale di Dio la sua intenzione più limpida e chiara. Dio ha fatto le cose bene, per far vivere bene l’uomo, e se l’uomo ha modificato le indicazioni di Dio non può che vivere male. Per migliorare la propria condizione l’uomo deve semplicemente tornare a comportarsi secondo ciò che Dio ha progettato all’inizio. A essere importante non è innanzi tutto rispettare Dio e la sua volontà, ma vivere bene, e questo è possibile se si segue ciò che Dio ha sognato per l’uomo fin dall’inizio.
Non è difficile vedere che, negando la possibilità di un divorzio, Gesù non ha voluto imporre un’altra legge dura e intollerabile (altrimenti anche lui si sarebbe esposto alla critica che muove ai dottori della legge: «Caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!»: Lc 11,46). Quando Gesù si trova di fronte a persone che non sono state capaci di vivere all’altezza della legge, non le condanna, pur richiamandole a vivere secondo la legge, perché fa vivere bene (basti pensare all’adultera che salva dalla lapidazione: Gv 8,3-11). Piuttosto, negando il ripudio Gesù prende le difese della parte che in quel legame, con quelle norme, era la più debole, ossia la donna.
Il regno di Dio
Ma l’episodio in realtà non è finito. I discepoli di Gesù, infatti, iniziano a scuotere la testa: «Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt 19,10). Certo, se penso che con il matrimonio acquisto uno strumento per la gestione della casa, e scopro di non potermene liberare quando inizia a guastarsi, non mi conviene fare quella spesa. Ma Gesù invita esattamente a guardare al matrimonio non come a un contratto conveniente, ma come a un legame personale, a una condivisione profonda e totale della propria vita, che può anche vedersi complicata da malattie, situazioni faticose, incidenti di vita, ma non può essere cancellata.
E infatti Gesù, rispondendo ai discepoli, ammette che si poteva trattare di qualcosa di difficile da capire. In quel mondo, in quella cultura, la donna non aveva autonomia, ed è comprensibile che si fatichi a capire che invece quell’autonomia ce l’ha, la deve avere, deve essere incontrata come persona.
E per provare a farsi capire ricorre a un esempio che forse anche nella storia della nostra chiesa, nell’intenzione di allargarne il senso, è stato un po’ stravolto: «Vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli» (Mt 19,12). Oggi ci è normale pensare che questa frase parli di coloro che non si sposano, ma sarebbe un’idea abbastanza strana, dal momento che Gesù sta cercando di chiarire la sua idea di matrimonio.
È evidente che Gesù vuole dire altro. Chi è eunuco non può unirsi a una donna. E questo può succedere per limiti congeniti o provocati dagli uomini. Oppure anche per altri motivi, per “il regno dei cieli”. Questo regno dei cieli è il mondo, la vita, così come l’ha sognata Dio, come l’ha progettata lui. È la vita ideale per gli uomini, che da Dio sono stati creati. Magari una vita non spontanea, non proprio come ci verrebbe naturalmente, ma la migliore vita possibile per l’uomo.
Chi è libero può guardare le donne intorno a sé, può fare loro la corte e cercare di conquistarle (il punto di vista è del maschio, ma potremmo serenamente completarlo, oggi, applicandolo anche alle donne). Una volta che sia sposato, però, dovrebbe diventare come eunuco per le altre donne, non le può più cercare. Non si tratta, dice Gesù, di una prigione, di una punizione, di un impoverimento, ma di vivere secondo il regno di Dio, di condurre l’esistenza progettata da Dio per gli esseri umani, di vivere nella gioia piena per la quale siamo stati creati.
Non è da tutti capirlo, ammette Gesù. Ma chi lo capisce, vive già in un anticipo di paradiso.
Angelo Fracchia