Il 20 ottobre 2024 Giuseppe Allamano è stato dichiarato SANTO dalla Chiesa cattolica: le celebrazioni nel mondo per dire GRAZIE a Dio continuano fino ad oggi! Ecco qualche foto delle celebrazioni nei vari Paesi. Brasile In São Paulo, in Dourados, in Boa Vista, in Normandia, in Brasilia… ecco alcune foto delle numerose celebrazioni realizzate nel Paese. Gibuti La piccola comunità cristiana si è riunita in capitale per celebrare San Giuseppe Allamano e i 20 anni di presenza delle Missionarie della Consolata Colombia, Venezuela e Mongolia PREGHIERA A SAN GIUSEPPE ALLAMANO: Ti ringraziamo, o Dio, fonte di ogni bene, per aver donato alla chiesa e al mondo san Giuseppe Allamano. Sollecito nel servizio del tuo popolo, si spese in umiltà e saggezza, come Rettore del Santuario della Consolata, diventando padre e guida di famiglie consacrate alla Missione, perché, nel nome della Vergine Maria testimoniassero ovunque, Gesù, il Salvatore. Per questo, ti chiediamo che, seguendo il suo esempio di quotidiana santità, anche noi collaboriamo all’annuncio del Vangelo, affinché tutti abbiano pienezza di vita. E concedici, Signore, ciò che ti chiediamo per la sua intercessione. Amen.
Il Vangelo in strada (dal diario di Suor Gemma Ida)
Suor Gemma Ida spiegava il Vangelo in strada, e un giorno il Vangelo del Buon Samaritano toccò molto la gente che l ascoltò
Il Santuario della Beata Irene a Nipepe
Le foto del restauro del Santuario della Beata Irene Stefani a Nipepe, in Mozambico
Tra il coraggio e la paura
Ester è la protagonista del libro che porta il suo stesso nome e che insieme a quello di Tobia e di Giuditta costituiscono una trilogia inserita ubicata dopo i libri storici. Questo libro ha la caratteristica particolare di avere, nel testo greco, due bellissime preghiere, l’una posta sulle labbra di Ester e l’altra di Mardocheo, suo cugino. Ester, una giovane donna ebrea, deportata da Gerusalemme durante l’invasione di Nabucodonosor re di Babilonia, orfana di padre e di madre è adottata dal cugino Mardocheo che “l’aveva presa come propria figlia” (2,7). Essi vivono a Susa, città di Babilonia, dove il re persiano usa trascorrere il tempo invernale. Ed è proprio nel corso di uno di questi soggiorni che sono collocati gli avvenimenti che sconvolgono la tranquilla vita di Ester. Il re Assuero, Serse I per la storia, era un re persiano “che regnava dall’India fino all’Etiopia sopra centoventisette province” (1,1), vuole scegliere una moglie tra le ragazze del suo regno. Vengono quindi radunate tutte le vergini nel palazzo di Susa e tra queste anche Ester di cui è segreta la sua provenienza ebrea. Al momento della presentazione delle giovani il re Assuero è colpito da Ester “ragazza di presenza bellissima e di aspetto affascinante”, la scelse tra le altre giovani donne… “le pose in testa la corona regale e la fece regina” (2,7.17). Ester non ha mai ambito la ricchezza di corte a cui è costretta, come lei stessa confessa al Signore “detesto l’emblema della mia fastosa posizione che cinge il mio capo nei giorni in cui devo fare comparsa..” (4,17v) e ha sempre conservato il suo cuore integro per il Signore “la tua serva non ha gioito di nulla se non di Te, Signore, Dio di Abramo” (4,17y). Ester è una giovane dal cuore semplice, chiamata a una missione più grande di lei. Presto, però, la scena muta. Il nuovo ministro del re, Amàn esige che ognuno pieghi il ginocchio e si prostri dinanzi a lui che si considerava, dopo il Re il più grande dignitario. Mardocheo rifiuta perché “un Giudeo” si genuflette solo davanti a Dio Signore del cielo e della terra il cui nome è Signore dei Signori. Il ministro diviene furioso e convince il re ad emettere un editto reale con l’ordine di sterminare gli ebrei da eseguire in un giorno e in un mese che verrà definito dalle “sorti”, ossia dai “dadi”. È la fine per questo popolo già prostrato in una situazione di schiavitù. Ed è in questo momento che viene chiamata in soccorso Ester. Ella, la regina, deve intervenire presso il re per cambiarne il cuore informandolo sulla situazione di tradimento che si tramava alle sue spalle e che avrebbe, tra l’altro, portato alla distruzione del popolo ebreo. La sua prima reazione, quale della donna saggia e prudente che conosce bene le regole stabilite dalla casa reale che proibiscono a tutti di presentarsi al re senza essere chiamati, pena la morte, è quella di angoscia: sa che è un’impresa quasi impossibile. L’invito si fa pressante ed ella allora comprende di essere stata scelta quale strumento del Signore per salvare il suo popolo dall’eccidio e obbedisce. Nell’umile verità di se stessa sa di non essere all’altezza di una simile impresa per questo si affida al braccio potente del Signore. Chiede a tutti i giudei di unirsi a lei nel digiuno e nella penitenza per tre giorni mentre il suo cuore si apre alla supplica verso il suo Dio, il Dio dei suoi padri “che ha scelto Israele da tutte le nazioni” per farne il suo popolo. Foto di Lawrence da Flickr È la drammatica preghiera del disperato la cui fiducia è unicamente posta in Dio. Un’invocazione che scaturisce da un cuore credente e angosciato e che si fa voce di tutti i perseguitati e oppressi. E’ la preghiera di una donna afflitta, in preda al timore, ma allo stesso tempo, convinta del sostegno divino. È un inno alla potenza e all’amore misericordioso di Dio che ascolta sempre coloro che in Lui si rifugiano: Mio Signore, nostro Re, tu sei l’Unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e che non ho altro soccorso se non Te, perché un grande pericolo mi sovrasta. Io ho sentito fin dalla nascita, nel seno della mia famiglia che Tu, Signore, hai scelto Israele da tutte le nazioni come Tua eterna eredità. Ricordati, Signore, manifestati nel giorno del nostro dolore e dammi coraggio! Metti sulle mie labbra parole ben calibrate di fronte al leone e volgi il suo cuore contro verso chi ci combatte. Salvaci con la Tua mano e vieni in mio aiuto perché sono sola e non ho altri che Te, Signore!…Dio che domini tutti per la Tua potenza, ascolta la preghiera dei disperati, liberaci dalla mano degli empi e libera me dalla mia angoscia! (Dal capitolo IV del testo greco). In questa preghiera Ester si confonde con il suo popolo e passa dal singolare al plurale perché la sua voce si trasforma in quella di tutti i suoi fratelli oppressi. Alla base di questa invocazione c’è la certezza dell’invincibilità dell’amore divino il quale interverrà operando un vero e proprio ribaltamento, come quello annunziato dai profeti per il ‘giorno del Signore’, l’empio che si era esaltato sarà umiliato, il perseguitato sarà intronizzato e glorificato, alla morte subentra la vita, allo sterminio la salvezza. Anche noi, a volte, siamo sollecitati a farci carico della sofferenza e dell’angoscia dei nostri popoli, delle nostre società e di coloro che soffrono, senza sostegno o appoggio… Oggi la Chiesa ed ogni cristiano siamo chiamati a farci carico del dolore e della sofferenza degli uomini e le donne del nostro tempo…. Siamo chiamati a assumere, la fatica e il dolore dei più poveri, anche a rischio della nostra vita… Come Gesù che non ha rifiutato di prendere su di sé il peccato dell’umanità e ha donato la sua stessa vita… in riscatto per molti (cfr. Mt. 20,28). Dopo aver invocato il “Dio che veglia su tutti e li salva” (5,1a), Ester si spoglia
Beata Irene Stefani: pellegrinaggio a Nyeri e Gikondi
Il 31 ottobre abbiamo celebrato la memoria liturgica della Beata Irene Stefani, missionaria della Consolata, morta a Gikondi, in Kenya, il 31 ottobre 1930. Il popolo kikuyu l’ha battezzata Nyaatha, che significa Madre Misericordia, per la sua presenza di carità eroica in mezzo alla gente. Visse circa 10 anni nella missione di Gikondi, e morì di peste, dopo aver offerto la sua vita per la missione. Beatificata nel maggio 2015 a Nyeri, la Beata Irene Nyaatha continua ad essere una santa molto venerata dalla Chiesa locale di Nyeri, primo campo di missione degli Istituti della Consolata, e oggi Chiesa molto fiorente di vocazioni sacerdotali, religiose, missionarie. In occasione della Conferenza della Regione Africa, svoltasi a Nairobi nel mese di marzo 2024, si è svolto un pellegrinaggio a Nyeri, dove si venerano i resti della Beata Irene, in una cappella della Cattedrale dedicata alla Madonna Consolata, quindi a Mathari, dove i resti di Irene sono stati custoditi e venerati per vari anni, quindi a Gikondi, campo del suo apostolato. Proponiamo oggi un video di quel pellegrinaggio, e lo proponiamo come pellegrinaggio virtuale sui luoghi della nostra Beata Irene Stefani, Nyaatha.
La suora che fa i santi. Intervista a Suor Renata Conti
Dal 2011 Suor Renata Conti, missionaria della Consolata, svolge il servizio della postulazione per l’Istituto. Nella sua ricca esperienza ha portato avanti il processo di riconoscimento del martirio, che ha portato alla proclamazione della Beata Leonella Sgorbati, martire della Chiesa, e negli ultimi anni ha avuto parte attiva nel riconoscimento del miracolo che ha portato alla canonizzazione di San Giuseppe Allamano. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei, e ci ha raccontato la sua esperienza con molto entusiasmo. Suor Renata, tu sei la suora che fa i santi nell’Istituto, se vogliamo iniziare con una battuta. Ci racconti il tuo servizio nella postulazione per il nostro Istituto? Non pensavo di poter prestare questo servizio all’Istituto. Nel 2011 mi è stato chiesto se mi sentivo di assumere la postulazione per la causa di Suor Leonella. Non sapevo cosa comportasse tutto questo, ma mi ci sono messa con tutta me stessa: mi ha entusiasmato, perché il contatto con Suor Leonella, la cui morte è stata un momento forte per l’Istituto, che ha indicato cammini di santità davvero importanti (la consegna della vita per la missione), è stata un’esperienza molto particolare. Ho iniziato a contattare la Congregazione delle Cause dei Santi, e ho partecipato al corso per postulatori da essa offerto. Il contatto con la realtà di questa Congregazione (oggi Dicastero) ha aperto alla conoscenza di una realtà nuova, non solo per me, ma per l’Istituto. La Chiesa veramente valorizza il cammino di santità, come espressione concreta della santità della Chiesa. Approfondire la figura di Leonella, una donna con le sue fragilità, come tutti noi, ha cambiato la mia vita: scoprire il suo rapporto intimo con Gesù Eucaristia mi ha arricchito tantissimo, e anche per tutta la famiglia missionaria. E’ stata una grazia seguire il cammino di Suor Leonella. Poi ho preso in mano anche la causa della Beata Irene. E poi ti è stato chiesto di collaborare con i Missionari per la canonizzazione di Padre Fondatore, oggi San Giuseppe Allamano. Ho trovato molta accoglienza da parte dei Missionari, grazie anche alla mia esperienza di inchiesta diocesana per il processo della Beata Leonella, ho dato il mio apporto al processo. Abbiamo lavorato bene insieme. Anche qui, sono emersi degli aspetti della santità del Fondatore. Miracoli ne ha fatti diversi. Ma perché si è arrivati a presentare il miracolo di Sorino in Amazzonia? La Chiesa di Roraima ha avuto un’apertura e collaborazione unica. C’era una grande fede che questo era veramente ciò che il Signore voleva. In una canonizzazione quello che conta è l’inchiesta diocesana: se è ben fatta, si procede speditamente, e in 2 anni si è arrivati alla conclusione. Che cosa ti lascia tutto questo? Una grande gioia, per questo momento di grazia che l’Istituto ha vissuto: ho messo il mio piccolo tassello, reso possibile alla famiglia di vivere questo momento di grazia, che è da valorizzare. Perché questo miracolo ha un significato profondo per il Carisma stesso che noi abbiamo. Quell’ ad gentes è veramente la strada per rispondere al Carisma che ci ha dato il Fondatore. E come hai vissuto il momento della canonizzazione in Piazza San Pietro, il 20 ottobre? Oh, è stata una gioia immensa! Ho voluto stare di fronte, nella piazza, per godermi il momento. Sentire il Papa che ha detto: “Lo iscriviamo nell’albo dei Santi” … io ho sentito che la mia vocazione è stata realizzata. Non sono stata in una missione come Catrimani, però questo servizio mi ha dato pienezza. Ritornando alla Beata Leonella, tu la conoscevi prima del martirio. Come è stato riprendere in mano la sua vita per una causa di riconoscimento del martirio? Io ho incontrato Suor Leonella più volte in Kenya, poi siamo state a incontri insieme, come l’Intercapitolo e il Capitolo generale, la Conferenza regionale. Una sera abbiamo chiacchierato tanto, prima che morisse. Le raccomandavo che non si mettesse in rischio. Lei era molto cosciente della situazione che stava vivendo. Era una personalità vivace e gioiosa, una giocherellona, anche lei con i suoi alti e bassi, eppure manteneva nel suo cuore un’esperienza di Dio che non ha mai rivelato a nessuno. Lo scoprire il suo percorso, approfondire questa vita intensa di relazione con il Signore mi ha fatto un gran bene. Così profondo e vero, certamente è frutto di una grazia speciale: lei trattava con il Signore così come io parlo con te. Non lo vedeva con gli occhi, ma lo percepiva, lo sentiva. UN rapporto diretto e intenso. La sua esperienza eucaristica è un’esperienza mistica. Questo ci dice che tutte noi possiamo fare un cammino così di risposta al Signore. Se noi portiamo nella nostra evangelizzazione, se portiamo la gente a questo incontro, questa è evangelizzazione. E’ il terrore che avevano i fondamentalisti a Mogadiscio: questa donna, che parlava di biologia e anatomia, però sapeva trasmettere qualcosa ai giovani studenti, che pendevano dalle sue labbra.
La Profetessa che Autenticò la Parola di Dio
Ci sono persone che abbiamo incontrato una sola volta di sfuggita nella nostra vita ma che hanno lasciato una traccia indelebile, delle quali intuiamo che debbano aver avuto molto altro da offrire e donare, ma che ci hanno riservato solo quel momento, fuggevole ma prezioso. Di alcune di queste, a volte, cogliamo come non siano perfette, eppure preziose per noi. Come è facile immaginare, ci sono personaggi del genere, in grande quantità, che punteggiano i racconti biblici. Oggi scegliamo uno di quelli; anzi, una, in quanto si tratta di una donna, una profetessa, Culda moglie di Shallum (2 Re 22,14-20). Un tempo straordinario Come di consueto, è però opportuno guardarci prima intorno, cogliere su quale sfondo si muovano i personaggi che ruotano intorno a Culda. Siamo a Gerusalemme, nel diciottesimo anno del regno di Giosia, ossia intorno al 622 a.C. Il contesto internazionale e regionale è in agitazione. Da più di un secolo gli assiri avevano sparso terrore e oppressione in tutto il Vicino Oriente, dopo aver organizzato quello che potrebbe essere il primo esercito professionista della storia: gli uomini assiri, infatti, si dedicavano alla guerra per undici mesi all’anno, lasciando che a coltivare i campi e l’economia della loro città fossero degli schiavi. La guerra era diventata per quello che viene definito l’impero neo-assiro il fulcro dell’economia: erano i bottini e i tributi imposti alle altre popolazioni a rendere possibile la ricchezza dello stato. Come un rullo compressore, le loro armate erano arrivate fino in Egitto, annientando quasi tutto ciò che avevano trovato lungo il cammino. Da qualche tempo, però, il loro potere aveva iniziato a incrinarsi, c’erano stati intrighi di palazzo, non tutte le campagne militari avevano portato nuovi schiavi e ricchezze. Qualcuno dei sudditi più lontani aveva iniziato a ribellarsi senza essere stato ricondotto all’ubbidienza, e in particolare un’altra città mesopotamica, Babilonia, si era riconquistata l’autonomia e aveva iniziato a minacciare di sfidare il comando dell’antica padrona. Di questo decadimento ci si rende conto anche lontani dal centro, tanto è vero che il re Giosia, non molto tempo dopo essere salito al trono, inizia una politica di riconquista del nord del paese, che dagli assiri era stato devastato e annesso quasi un secolo prima. Un libro inatteso Il re Giosia è presentato come estremamente pio, e decide di intraprendere lavori di ristrutturazione del tempio. Durante questi lavori, però, si scopre un rotolo della legge di cui non si conosceva l’esistenza. Alla sua lettura, re e dignitari restano sconvolti, anche se non ci viene spiegato esattamente il motivo. Si dice, solitamente, che il timore è legato alle minacce in caso di non adempimento di quelle che si presentano come parole divine, unite alla consapevolezza che quel libro era stato abbandonato e dimenticato. Di che libro potrebbe trattarsi? Secondo molti commentatori era la Torà intera, anche se potrebbe storicamente essere difficile immaginare che fosse stato abbandonato il cuore stesso del rapporto con Dio. Altri ritengono che potrebbe trattarsi del Deuteronomio, che in effetti si chiude su minacce di conseguenze negative qualora quella legge non fosse rispettata. C’è anche chi si spinge oltre, sostenendo che potrebbe darsi che il libro in questione, secondo costoro in effetti il Deuteronomio, potrebbe addirittura essere stato fatto comporre apposta dal re, e la sua “scoperta” essere stata organizzata apposta. Il senso di questa ipotesi è politico. Giosia, si dice, aveva sì conquistato militarmente l’ex regno del nord, legato a Giuda dalla fedeltà al Dio d’Israele, ma avrebbe ritenuto troppo faticoso mantenerne il controllo solo militarmente. Piuttosto, sarebbe stato interessante convincere gli abitanti e fedeli del nord a legarsi liberamente a Gerusalemme, come unico centro in cui venerare adeguatamente Jahweh. In effetti il libro del Deuteronomio risponderebbe abbastanza bene a queste esigenze: il suo tema teologico, infatti, è che l’unicità di Dio comporta l’unicità del popolo che da lui è stato scelto (“Non importa che siamo giudaiti del sud o israeliti del nord, abbiamo un solo padre, Abramo, e siamo protetti da un solo Dio, Jahweh”) e l’unicità del luogo in cui venerarlo, il tempio di Gerusalemme. Invitando i fedeli settentrionali a venire a venerare Dio là, nella città del re, si sarebbero rafforzati anche i legami tra le due parti del popolo che un tempo, forse, erano state unite. Fatto sta che al ritrovamento del libro tutta la corte cade in una profonda prostrazione, il re stesso inizia a vestirsi di sacco, come gesto di pentimento, perché si percepisce di non essere stati fedeli alle indicazioni divine. Che cosa fare? Ricerca di una conferma Di fronte a un possibile segno celeste, è indispensabile cercare una conferma, l’indicazione che non ci si stia inventando tutto, un suggerimento sul comportamento da seguire. È qualcosa che comprendiamo benissimo anche noi. Fin qui potevamo pensare di trovarci semplicemente di fronte a un episodio storico, di tanti secoli fa, magari anche da seguire con attenzione ma con un certo distacco. Ma sulle decisioni sulla nostra vita, quando percepiamo che forse ci è giunto un suggerimento utile per vivere meglio, siamo ben esperti e capiamo quanto siano faticose. Anzi, proprio da qui può arrivare un’istruzione anche per noi. Anche perché nel testo del libro dei Re arriva qui una sorpresa. Siamo infatti alla corte di Gerusalemme, dove hanno accesso e vengono ascoltati non solo un ministro come Asaià, ma anche Safan lo scriba (quindi esperto di storia, di libri anche sacri, di legge anche divina) e il sacerdote Chelkia (2 Re 22,12). Insomma, abbiamo a disposizione le persone più preparate e sagge che si potrebbero immaginare in questo regno di Giuda che era benedetto dalla presenza del Dio d’Israele. Eppure questi eminenti personaggi non si sentono sufficienti. È la prima indicazione interessante di questo passo: giusto rivolgerci a chi, per ruolo e preparazione, può ritenere di avere una parola di maggiore peso e significato. Ma anche loro possono restare incerti e fermi di fronte alle questioni più profonde e importanti della nostra vita. Il re Giosia è tuttavia fortunato perché questi esperti che lo circondano e che potrebbero orientarne
Una settimana indimenticabile con San Giuseppe Allamano
Da sabato 19 ottobre a venerdì 25, un folto gruppo di pellegrini si è unito in Roma e poi a Torino per ringraziare Dio per il dono di San Giuseppe Allamano alla Chiesa. Sfogliamo l’album dei ricordi ancora con molta emozione e tanta gratitudine. SABATO 19 OTTOBRE La Veglia in preparazione alla canonizzazione è stata realizzata nella Chiesa Nuova in Roma. Testimonianze alternate a canti ci hanno portato a riflettere sulla santità di Giuseppe Allamano e sul significato del miracolo che lo ha portato alla canonizzazione. Era presente un folto gruppo della diocesi di Roraima e sono intervenuti i vescovi legati a questa diocesi. DOMENICA 20 OTTOBRE 2024 Domenica indimenticabile! Giuseppe Allamano è proclamato santo da Papa Francesco! La Messa in Piazza San Pietro e la sua trasmissione in diretta ha unito tutta la famiglia Consolata in un unico abbraccio! LUNEDI’ 21 OTTOBRE 2024 Messa di ringraziamento presieduta dal Card. Giorgio Marengo, imc, a San Paolo Fuori le Mura. Il MAGNIFICAT per il dono della santità di Padre Fondatore è sgorgato dal profondo del cuore! MERCOLEDI’ 23 OTTOBRE 2024 Ci ritroviamo, ancora un gruppo numeroso, a Castelnuovo Don Bosco, accolti calorosamente dalla gente del posto, dal sindaco e dalle autorità civili e religiose, insieme a un nutrito gruppo di volontari che hanno orientato i pellegrini nelle varie lingue e guidato alla visita dei luoghi storici di San Giuseppe Allamano e San Giuseppe Cafasso. Ecco le bellissime parole del sindaco Umberto Musso GIOVEDI’ 24 OTTOBRE 2024 Ed eccoci alla Consolata, là dove è stato sognato, concepito e gestato l’Istituto. Nel grembo di Maria Consolata, nostra Madre e Fondatrice! La Messa è stata presieduta da Mons. Alessandro Giraudo, vescovo ausiliare di Torino. VENERDI’ 25 OTTOBRE 2024 Il pellegrinaggio si conclude oggi, attorno alla tomba di San Giuseppe Allamano. La Messa sarà celebrata da Mons. Francisco Munera, imc. La potrai vedere a questo link: clicca qui
Il cuore eucaristico di Allamano e Irene
In quest’Anno 2024, in cui la Chiesa riconosce la santità del Beato Giuseppe Allamano, per noi suoi figli e figlie Missionarie della Consolata è doveroso, gradevole e stimolante prestare attenzione contemplandolo quale assiduo adoratore di Gesù Eucaristia. Ci sarà pure vantaggioso e piacevole uno sguardo ai suoi riflessi nella figlia fedele alla sua guida paterna, la Beata Irene Stefani, beatificata il 23 maggio 2015 a Nyeri, Kenya. L’Allamano, innamorato di Cristo, procurò la diffusione del suo Vangelo e, senza badare all’età, agli acciacchi, alle contestazioni, diede vita alle nostre Famiglie missionarie. “Vi voglio Sacramentini, cioè figli e figlie affettuosi di Gesù Sacramentato. Voi, sebbene di vita attiva, potete e dovete abituarvi ad essere veri Missionari/e Eucaristici”. Ben sappiamo che una delle caratteristiche fondamentali della spiritualità del Fondatore è la ricerca di Dio solo, del senso e del gusto della sua presenza. Molti testimoni ci hanno lasciato parole di profonda ammirazione dell’Allamano adoratore: delle sue parole, del suo “sostare” nel famoso coretto del Santuario della Santissima Consolata dove lui trovava il suo riposo. È importante ricordare alcune testimonianze: “Nelle lunghe ore passate in adorazione, il padre Giuseppe Allamano fissava il suo sguardo al tabernacolo come se vedesse l’amico più amato”. Giuseppe Nepote, missionario e vescovo. “Quando pregava davanti al Santissimo Sacramento il suo occhio diventava più luminoso che mai; anche nella persona sembrava tutto trasportato al Tabernacolo, dentro il Tabernacolo”. Padre Domenico Ferrero, IMC. “Quando, parlava dell’Eucaristia, i suoi occhi si volgevano dalla parte del tabernacolo e diventavano sfavillanti”.Madre Margherita De Maria, mc. “L’Allamano ci parlava dell’Eucaristia con tale ardore da farci infiammare il cuore: gli occhi gli s’illuminavano. Si direbbe un poeta che declamava il suo grande amore”.Un giovane studente. “Attendeva al culto del Signore animato da un ardente spirito di fede”Un sacerdote diocesano. E altri confermavano: “Era come assorto e si sarebbe detto che vedesse realmente il Signore”; era facile dedurre che egli viveva continuamente alla presenza del Signore”. “La sua tensione era alla preghiera di tutto il giorno, camminando sempre alla presenza di Dio, in intima unione con lui”. Il beato Allamano diceva ai suoi missionari e missionarie, e oggi lo dice a noi: “Vorrei che i vostri occhi fossero così penetranti che vedessero Gesù là dentro. Non è impossibile; ci vuole fede. Teniamo sempre gli occhi indirizzati a Dio, come gli occhi di Dio sono sempre rivolti a noi”. L’Allamano si era proposto di fare del suo cuore una piacevole dimora per il Signore. Scriveva: “Vivere e agire con Gesù che è nel mio cuore”. E suggeriva: “Bisogna che respiriamo, che ci perdiamo in Dio”. Fissava il suo sguardo sull’Eucaristia e ammirato contemplava: “Gesù si colloca nel cuore e di là domina tutto noi stessi, anima e corpo e tutte le potenze, e io devo guardare Lui”. Diventava, quindi, sua aspirazione prolungare questa speciale presenza: «Prego Gesù di rimanere corporalmente nel mio cuore per tutto il giorno». E propone anche a noi di ardere dello stesso desiderio: Per lui Gesù nel tabernacolo è il centro, il sole, il direttore vero della casa da cui tutto parte e a cui tutto converge. Noi dobbiamo aggirarci attorno a lui come le farfalle alla luce, le api al miele; vivere la presenza eucaristica come due cuori che si donano, due sguardi che si incontrano, due fiamme che si consumano. Non si tratta di sentimenti, sia pure nobili e fruttuosi. L’Allamano diceva ai missionari: “Lo sguardo all’Eucaristia «vi formerà a tutte le virtù e accenderà in voi quel fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra, e che per mezzo vostro vuole accendere in chi non lo conosce”. Alle nostre prime Sorelle il Fondatore diceva: “Bisogna avere lo spirito di preghiera: in ogni luogo tenerci unite a Dio con un’accensione del cuore a Lui fatta di tanto in tanto, mentre lavoriamo; una giaculatoria, un sospiro mentre camminiamo o andiamo in qualche luogo, ecc. Così si può fare tutto e pregare assieme” (CS. I, 130). “Voi dovete persuadervi bene che per quanto sia necessario operare, lavorare da mattino a sera, non è meno necessario, anzi è più necessario unirsi al Signore, non lasciare una pratica di pietà; se non è di giorno, sarà di notte, e se per caso non si può fare un giorno l’orazione nel tempo che è prescritto, ci sia almeno un buon pensiero che domini tutta la giornata” (CS. III, 189). E la giovane Mercede Stefani? Oggi beata Irene Stefani Accolta dallo stesso Fondatore, il beato Giuseppe Allamano, alla vigilia della solennità della Santissima Consolata del 1911, per tre anni e mezzo ha potuto ascoltare direttamente le sue parole, le sue conferenze e raccogliere con filiale amore le espressioni che maggiormente la colpivano. L’insegnamento del Padre la guidò per tutta la sua breve e intensissima vita religiosa missionaria nella sua amata Africa. Fin dall’infanzia, suor Irene aveva un profondo amore a Gesù nell’Eucaristia. Dopo la Prima Comunione, l’amore per Gesù divenne sempre più ardente; voleva riceverlo tutti i giorni. Prima di coricarsi lei salutava Gesù Sacramentato facendo una profonda genuflessione in direzione alla chiesa. Al mattino si alzava prestissimo per giungere in chiesa, lei di Gesù nel Tabernacolo era insaziabile”. Suor Margherita Demaria attestava: “Il suo amore era molto grande per il buon Dio, per Lui solo operava e si rendeva tutta carità per il prossimo, fino alla totale dimenticanza di se stessa”. Nei taccuini dei primi anni suor Irene raccolse esortazioni, meditazioni, ecc. che dovevano servirle come sussidio in missione dove non c’erano libri di spiritualità e nemmeno la Bibbia; in essi troviamo varie espressioni di amore a Gesù, espressioni che non rimasero nel semplice sentimento, ma che nutrirono il suo vivere e il suo operare. Scriveva: “Poter dire: Io sono Irene di Gesù e meritare di sentire: Io sono Gesù di Irene”. “Voglio diventare un altro Gesù”. “Ah mio Signore! Se avessi da vivere anni infiniti, se avessi forze infinite, se avessi un cuore capace di amare infinitamente, tutto, tutto impiegar dovrei in amare e servire Voi, per corrispondere a tante grazie da voi
Preghiera a San Giuseppe Allamano
Ti ringraziamo, o Dio, fonte di ogni bene, per aver donato alla chiesa e al mondo san Giuseppe Allamano. Sollecito nel servizio del tuo popolo, si spese in umiltà e saggezza, come Rettore del Santuario della Consolata, diventando padre e guida di famiglie consacrate alla Missione, perché, nel nome della Vergine Maria testimoniassero ovunque, Gesù, il Salvatore. Per questo, ti chiediamo che, seguendo il suo esempio di quotidiana santità, anche noi collaboriamo all’annuncio del Vangelo, affinché tutti abbiano pienezza di vita. E concedici, Signore, ciò che ti chiediamo per la sua intercessione. Amen.
Iniziamo il pellegrinaggio!
“Beato chi decide nel suo cuore il santo viaggio” (Salmo 84) Siamo verso la fine di un percorso, manca poco per celebrare Giuseppe Allamano come Santo, per cui, vogliamo vivere questa tappa di preparazione alla canonizzazione, con un pellegrinaggio, con un viaggio, che nel contesto di questo grande evento, è anche una sfida al cambiamento. Per mettersi in cammino, non bastano solo le gambe, bisogna preparare il cuore, la mente, i desideri per il pellegrinaggio, perché tutto quello che siamo desidera mettersi in cammino, non da soli, ma accompagnati da tanti altri pellegrini che troveremo nel nostro viaggio, perché la gioia dell’incontro manifesti l’universalità della Chiesa e la gioia missionaria. Con questo programma per la canonizzazione siamo invitati a diventare pellegrini non solo per spostarci di un luogo ad un altro, ma quello che attira il nostro cuore e sospinge il nostro passo è ringraziare il Signore perché dona alla Chiesa un Santo. La santità, come dice Papa Francesco, “è anzitutto l’esperienza di essere amati da Dio, di ricevere gratuitamente il suo amore, la sua misericordia…con la certezza di poter affrontare tutto con la grazia e l’audacia che provengono da Dio” Ci affidiamo a Maria Consolata, donna del cammino e chiediamo la sua benedizione per vivere con intensità tutte le tappe che celebreremo a Roma e si concluderanno a Torino, proprio dove l’Allamano ha speso tutta la sua vita.
I miei primi passi in Kazakistan
Suor Dorota condivide i suoi primi mesi in Kazakistan, aprendo il cuore e condividendo la sua esperienza. Sta passando un’ anno dal mio arrivo in Kazakistan: i miei “primi passi” in questa terra… Per “deformazione professionale”, oso ricordare, che un bimbo fa i primi passi verso 11 mesi di vita, o almeno… si regge in piedi! Ecco, io sono in un’ennesima “fase” dei “primi passi” fatti nella mia vita missionaria, lo dico sorridendo! E se ogni giorno ne facciamo più o meno 5000 passi..(quasi 4 km)…io ne ho fatti già tanti anche in Kazakistan! Qui tante cose “parlano” della mia patria: le persone di discendenza polacca, il cibo, alcune tradizioni, anche gli alberi, i fiori! Come nella campagna, dove ero cresciuta, o come nel giardino, presso la capanna del mio nonno. Camminando nel villaggio di Zhanashar, al sud del paese, incontro la gente semplice, amichevole, che saluta lungo le strade, invita ad entrare e a prendere il tè. Ma il coronamento di tutto è una veduta sulle bellissime montagne Altai, che invitano ad alzare lo sguardo verso il Cielo, allargare il cuore e “cantare la gloria di Dio”! Comunque, mi sento piccola e riconoscente in questa grande e misteriosa terra kazaka, “santificata” da tante vite innocenti, consegnate nel tempo delle deportazioni: uomini, donne, bambini di varie nazionalità. Ho letto, ho ascoltato alcuni discendenti dei deportati, ho visto ciò che è rimasto dei ‘ gulag’ al nord del paese… Sempre poco, in confronto alla realtà di allora! Solo il cielo profondo azzurro e la steppa infinita saprebbero raccontare delle sofferenze, disperazioni, desolazioni vissute, nascoste! Della fatica, stanchezza dei loro “primi passi” da sfiniti, affamati, abbandonati… Tante persone hanno saputo vivere tutto ciò, con fede coraggiosa, che si può “toccare”! Pensiamo solo al miracolo del lago coi pesci in Oziornoie, dove la Madonna viene in aiuto alla gente affamata! La steppa imbevuta delle lacrime e fede incrollabile, genera vita! Sono convinta, che solo con grande rispetto, a “piedi scalzi” e “in atteggiamento di ascolto (…) siamo chiamate ad inserirci, ad incarnarci tra la gente”, sperimentando la nostra piccolezza, vivendo vita semplice, umile, essenziale… La nostra presenza di Chiesa è piccola, ma questa: “è una beatitudine (..), perché la piccolezza ci consegna umilmente alla potenza di Dio, e ci porta a non fondare l’agire ecclesiale sulle nostre capacità. E questa è una grazia! (…) Ci lasciamo guidare dal Signore e ci poniamo con umiltà accanto alle persone… portando nelle situazioni della vita la gioia del Vangelo” Papa Francesco Discorso durante la visita in Kazakistan, 2022 Almeno, ci proviamo! Questo richiede da me, da noi quel “di più” che indicava il Padre Fondatore, Giuseppe Allamano! Un tempo più prolungato di preghiera, Adorazione Eucaristica, lettura della Sacra Scrittura e contemplazione… Per sentire il Cuore di Dio e sentire col Cuore di Dio, ciò che Egli sta già compiendo nei cuori delle persone alle quali siamo mandate qui ed ora. “Mi abbandono alla fedeltà di Dio”, al Suo Amore, anche se faccio un solo passo al giorno, sono nella pace, nella gioia. Ed il mio cuore è aperto alle grazie, che il Signore mi offre, alle Sue benedizioni, anche nei più piccoli gesti di bontà e amore nel quotidiano! Ogni giorno è un’opportunità per crescere nella santità e stare ancora più vicino al Cuore di Dio, per amare questa terra, questo popolo multiculturale di Kazakistan! Ringrazio con tutto il cuore, chi ci sostiene fedelmente in vari modi, nei nostri “primi passi” Suor Dorota, mc
Il programma della Canonizzazione di Giuseppe Allamano
Stiamo entrando nella settimana tanto attesa, che ci porterà alla proclamazione della santità di Giuseppe Allamano! Le celebrazioni di Roma inizieranno sabato 19 ottobre e si concluderanno lunedì 21 ottobre, tutte si potranno seguire in streaming su YouTube. Ecco i dettagli: SABATO 19 OTTOBRE 2024: VEGLIA DI PREGHIERA Ore 20.00 – Chiesa Nuova (Via della Chiesa Nuova (nel tratto di via Vittorio Emanuele, tra 251 e 235). Nella Veglia ci saranno testimonianze e riflessioni attorno alla Santità di Giuseppe Allamano e al miracolo riconosciuto a favore di Sorino Yanomami. Sarà un momento di incontro e benvenuto per tutti i pellegrini giunti a Roma). I cori Tatanzambe e Massawe animeranno musicalmente la Veglia. La Veglia sarà trasmessa in streaming su questo canale YouTube: clicca qui DOMENICA 20 OTTOBRE 2024: MESSA DELLA CANONIZZAZIONE DI GIUSEPPE ALLAMANO Ore 10.30 – Piazza San Pietro: Santa Messa presieduta da Papa Francesco in cui Giuseppe Allamano sarà proclamato Santo. Si potrà seguire in diretta su RAIUNO – TV italiana la Messa oppure in streaming sul canale YouTube Vatican News: clicca qui. LUNEDÌ 21 OTTOBRE 2024: MESSA DI RINGRAZIAMENTO Ore 16.00 – San Paolo fuori le mura: la Santa Messa di ringraziamento sarà presieduta dal Cardinal Giorgio Marengo, imc. La Messa sarà trasmessa in streaming su questo canale YouTube: clicca qui
Mama Mwatatu. Dal diario di missione di Suor Gemma Ida
Ecco un’altra pagina del Diario di Suor Gemma Ida, missionaria della Consolata in Tanzania, che in questo mese missionario apre il cuore e gli orizzonti all’altro lontano. Passo due mezze giornate la settimana con le mamme che assistono i loro bambini all’ospedale governativo, nel reparto dei denutriti, portando loro del lavoro di cucito. Lavoro che, oltre ad insegnare loro a cucire, retribuisco con soldi, così queste mamme hanno la possibilità di comperare qualche frutto ai loro piccoli. Un venerdì la caposala del reparto prematuri mi dice: “Sister, abbiamo 3 forestieri (wageni) con la loro mamma, vengono da Ismani, 30 km lontano, è della tribù dei Wagogo, è povera, vieni a vederla, anche perché ha bisogno di aiuto”. Non me lo faccio dire due volte, di fatti in un’unica cullina giacevano queste piccole creaturine così come il Buon Dio le aveva create, coperte dalla zanzariera sotto il tepore della lampada accesa per riscaldarle. Tutte e tre pesavano kg.3,200. Avevano veramente bisogno ed allora procuro loro camicini, pannolini, questi tratti dalle lenzuola non più usabili come tali, alla mamma un vestito, tutto ripagato con un “grazie” sommesso, per non rovinare il sentimento di riconoscenza sincera dicendo quel grazie con voce forte. Gemma è il nome della mamma, non battezzata, ma che frequentava la religione luterana, veniva da 30 km. Lontano, aveva partorito nella sua capanna, se così si poteva chiamare, perché questa era condivisa con alcune caprette, non sue, come non era sua la capanna. Il giorno seguente, con l’aiuto di alcuni vicini, venne portata dove fu accolta con amore dal personale e seguita con cura. Passarono 4 mesi nel reparto prematuri, perché i piccoli pur avendo una ripresa costante era molto lenta e la mamma li allattava tutti e alternando al suo latte quello di mucca, perciò non conosceva né giorno né notte, ma con un amore ed una costanza alla fatica che solo una mamma può capire ed offrire. Dopo questo periodo Mama Mwatatu (mamma di tre figli gemelli) viene ricoverata nel reparto denutriti dove si fermò altri due mesi, finchè un giorno sentì tanta nostalgia per gli altri due figli, perché una terza l’aveva raggiunta all’ospedale perché l’aiutasse. La vidi partire, Mama Mwatatu, senza speranza di ritorno, pensavo che in poco tempo due tombe si sarebbero aperte per ricevere i due più gracilini NEHEMA (che significa grazia) e PATRIK mentre PIETRO era più robusto, ma solo dopo 3 settimane me la rividi in reparto di nuovo non solo coi 3 ultimi nati, ma anche con altri 3 che aveva a casa di 13 – 11 e 6 anni, mentre il quarto di 7 anni lo lasciò ancora dagli amici. Era di nuovo ritornata perché i piccoli avevano fame ed ella non aveva nulla da darle. Il marito? Appariva di tanto in tanto, perché aveva un’altra moglie lontana e si fermò ancora all’ospedale altri 4 mesi. Durante questo periodo morì PATRIK col Battesimo, poi fu dimessa con un punto interrogativo. Dove andare? A chi le chiedeva questo essa rispondeva che sarebbe andata a Dodoma, dai suoi parenti fra la gente della sua Tribù. La comunità di casa Allamano, casa delle anziane, ebbe una grande idea dettata dall’amore cristiano e dalla condivisione dei beni coi poveri e invitò a pranzo la bella famigliola che con gioia accettò e con cuore riconoscente la mamma disse: “Grazie Mungu, (Dio vi ricompensi) perché io ho nulla da darvi”. Addio, mama Mwatatu, addio piccoli amici, che il Signore e la Santissima Consolata vi assistano. + Suor Gemma Ida, mc
Come in principio
Secondo i vangeli Gesù rimanda esplicitamente ai primi capitoli di Genesi quando lo vengono ad interrogare riguardo a una questione che era discussa tra i rabbini del suo tempo: in quali casi è lecito ripudiare la propria moglie (Mt 19, 3-9)? Contesto Il vangelo dice che dei farisei si avvicinano a Gesù “per metterlo alla prova”. Non è detto che l’intenzione fosse del tutto cattiva. Di fatto, il modo con cui entrano nel discorso assomiglia moltissimo a come i rabbini impostavano i loro confronti. L’abitudine non era di porre direttamente la domanda, ma di arrivarci da lontano: la persona colta avrebbe già capito dove portava il discorso e sarebbe arrivata direttamente al dunque. Insomma, provano a vedere se Gesù può ragionare con un dottore della legge alla pari. Può anche darsi che l’intenzione fosse invece più cattiva: Gesù si era presentato in veste molto misericordiosa, guarendo molti (Mt 19,1-2), e forse vogliono costringerlo a prendere una posizione su una questione controversa, mettendosi così inevitabilmente contro qualcuno, qualunque cosa dica. La questione Il tema era effettivamente dibattuto. Secondo la legge ebraica, qualora il marito trovasse nella moglie qualche motivo di lamentela, poteva ripudiarla e la donna avrebbe dovuto tornare alla casa di suo padre, a patto che questi la riaccogliesse. (Non era però una possibilità concessa alla donna). Si discuteva su quale motivo fosse sufficiente per il ripudio. Gesù, che aveva la fama di essere molto lassista nell’applicazione della legge, per una volta la rende più dura: in principio quella legge non c’era, Dio ha deciso di unire l’uomo e la donna per sempre, ed è solo la cattiveria dell’uomo ad aver spinto Mosè a introdurre quella norma. Il matrimonio è per sempre, e un secondo matrimonio è quindi un adulterio. Il principio Proprio il rimando di Gesù al “principio” è illuminante. Gesù non ragiona in termini di legge, non si chiede se una cosa sia lecita o no. Vede invece nel progetto iniziale di Dio la sua intenzione più limpida e chiara. Dio ha fatto le cose bene, per far vivere bene l’uomo, e se l’uomo ha modificato le indicazioni di Dio non può che vivere male. Per migliorare la propria condizione l’uomo deve semplicemente tornare a comportarsi secondo ciò che Dio ha progettato all’inizio. A essere importante non è innanzi tutto rispettare Dio e la sua volontà, ma vivere bene, e questo è possibile se si segue ciò che Dio ha sognato per l’uomo fin dall’inizio. Non è difficile vedere che, negando la possibilità di un divorzio, Gesù non ha voluto imporre un’altra legge dura e intollerabile (altrimenti anche lui si sarebbe esposto alla critica che muove ai dottori della legge: «Caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!»: Lc 11,46). Quando Gesù si trova di fronte a persone che non sono state capaci di vivere all’altezza della legge, non le condanna, pur richiamandole a vivere secondo la legge, perché fa vivere bene (basti pensare all’adultera che salva dalla lapidazione: Gv 8,3-11). Piuttosto, negando il ripudio Gesù prende le difese della parte che in quel legame, con quelle norme, era la più debole, ossia la donna. Il regno di Dio Ma l’episodio in realtà non è finito. I discepoli di Gesù, infatti, iniziano a scuotere la testa: «Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt 19,10). Certo, se penso che con il matrimonio acquisto uno strumento per la gestione della casa, e scopro di non potermene liberare quando inizia a guastarsi, non mi conviene fare quella spesa. Ma Gesù invita esattamente a guardare al matrimonio non come a un contratto conveniente, ma come a un legame personale, a una condivisione profonda e totale della propria vita, che può anche vedersi complicata da malattie, situazioni faticose, incidenti di vita, ma non può essere cancellata. E infatti Gesù, rispondendo ai discepoli, ammette che si poteva trattare di qualcosa di difficile da capire. In quel mondo, in quella cultura, la donna non aveva autonomia, ed è comprensibile che si fatichi a capire che invece quell’autonomia ce l’ha, la deve avere, deve essere incontrata come persona. E per provare a farsi capire ricorre a un esempio che forse anche nella storia della nostra chiesa, nell’intenzione di allargarne il senso, è stato un po’ stravolto: «Vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli» (Mt 19,12). Oggi ci è normale pensare che questa frase parli di coloro che non si sposano, ma sarebbe un’idea abbastanza strana, dal momento che Gesù sta cercando di chiarire la sua idea di matrimonio. È evidente che Gesù vuole dire altro. Chi è eunuco non può unirsi a una donna. E questo può succedere per limiti congeniti o provocati dagli uomini. Oppure anche per altri motivi, per “il regno dei cieli”. Questo regno dei cieli è il mondo, la vita, così come l’ha sognata Dio, come l’ha progettata lui. È la vita ideale per gli uomini, che da Dio sono stati creati. Magari una vita non spontanea, non proprio come ci verrebbe naturalmente, ma la migliore vita possibile per l’uomo. Chi è libero può guardare le donne intorno a sé, può fare loro la corte e cercare di conquistarle (il punto di vista è del maschio, ma potremmo serenamente completarlo, oggi, applicandolo anche alle donne). Una volta che sia sposato, però, dovrebbe diventare come eunuco per le altre donne, non le può più cercare. Non si tratta, dice Gesù, di una prigione, di una punizione, di un impoverimento, ma di vivere secondo il regno di Dio, di condurre l’esistenza progettata da Dio per gli esseri umani, di vivere nella gioia piena per la quale siamo stati creati. Non è da tutti capirlo, ammette Gesù. Ma chi lo capisce, vive già in un anticipo di paradiso. Angelo Fracchia
Giuseppe Allamano e il suo sogno di missione
Siamo nel mese dedicato alle missioni: il Beato Giuseppe Allamano fu sostenitore di iniziative per sensibilizzare al compito missionario di ogni Chiesa locale, e nel 1912 scrisse una lettera al Sommo Pontefice per la costituzione di una giornata dedicata alla missione. Nascerà poi, molto dopo, la Giornata Missionaria Mondiale, e proprio in questa Giornata, quest’anno, sarà proclamato santo! Dove nasceva nel Fondatore dei Missionari e Missionarie della Consolata tanta passione per la missione ad gentes? Essenzialmente dalla sua profonda esperienza di Dio. Ce lo presenta Suor Simona Brambilla in questo video:
Giuseppe Allamano: un compagno di viaggio
Mauro Brucalassi, laico missionario della Consolata di Torino, convidivide chi è per lui il Beato Giuseppe Allamano Se devo dire chi è per me il Beato Allamano non ho alcun dubbio se affermo che in lui trovo un amico, un compagno di viaggio con il quale confrontarmi. Dal punto di vista affettivo potrei anche dire che Egli è come un padre, però non riesco a vedere in Lui quella “giusta” severità tipica di un genitore. L’Allamano è stato una persona mite e caritatevole e lo si deduce dagli scritti che lo riguardano, un esempio: il modo in cui rimproverava oppure elogiava i sui interlocutori, chiunque essi fossero religiosi o laici, li dosava usando una sensibilità non comune. Trattava le persone con particolare gentilezza e affabilità, aveva compassione per le altrui preoccupazioni, che non erano atteggiamenti di circostanza, bensì di partecipazione. Non era invadente ascoltava chiunque ed aveva sempre una parola di conforto per tutti. Si dice che al suo confessionale c’era sempre molta gente in attesa. Tuttavia era severo con sé stesso e con gli altri perché la bontà non è debolezza, era obbediente ai suoi superiori, ma non servile, da uomo sincero e schietto non tollerava le mezze misure. Egli ha fatto della consolazione e della misericordia una ragione di vita. Ben visto da tutti, a partire dai reali fino agli operai e alle sartine per le quali aveva un particolare riguardo; la moltitudine di persone che lo hanno accompagnato durante il suo ultimo viaggio ne è stata una prova palpabile. Il conoscerlo per me è stato molto importante sia dal punto di vista spirituale, sia da quello comportamentale. I suoi insegnamenti mi hanno sempre dato motivo di pensare per trovare una giusta soluzione; in qualsiasi circostanza mi venga a trovare che si tratti di eventi piacevoli, ma specialmente in quelli tristi trovo sempre conforto. Attraverso l’Allamano ho potuto scoprire il Dio che ci ha rivelato Gesù Cristo: un Dio compassionevole, che parla di giustizia e di pace, un Dio che ha pietà per le fragilità umane, un Dio che si mette al servizio degli ultimi, degli emarginati. Dal Padre Fondatore mi sento spronato ad avere sempre un atteggiamento propositivo in qualsiasi circostanza mi venga a trovare quotidianamente, mi incoraggia ad essere un buon laico missionario e un testimone credibile del Vangelo. Infine non posso dimenticare la devozione che Egli aveva per la Vergine Consolata (la Madre tenerissima) e che ha trasmesso ai sui figli e figlie ed oggi anche a noi laici. Tra non molti giorni sarà proclamata la Sua elezione agli Altari della Chiesa e questo è di beneficio per i due istituti e per l’umanità. Tuttavia per me Santo lo è stato fin da subito. Mauro Brucalassi, LMC
Amore e Missione
CANTICO DEI CANTICI 8,6 Mettimi come sigillo sul tuo cuore, Come sigillo sul tuo braccio; Perché forte come la morte è l’amore. Premessa Vorrei invitarvi a contemplare il quadretto che ci offre il Cantico dei Cantici 8,6 per scorgervi alcuni tratti caratteristici della nostra consacrazione per la Missione. Il testo è un poema nuziale che canta la bellezza dell’amore donato e ricevuto, un amore che trova il suo compimento nel dono totale di sé fino alla morte. È un Cantico inclusivo di tutta la persona perché l’amore vero coinvolge tutto l’essere: corpo, sentimenti, intimità, anima e lo proietta verso l’infinito, nella ricerca dell’assoluto, del Dio solo. Scopriamo il testo Il versetto 6 del cap. 8 del Cantico dei Cantici si riferisce allo Shemà Israel, al comandamento più importante della legge di Israele. In Deuteronomio 6,6-8a leggiamo: “Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore…te li legherai alla mano come un segno…”. Ed anche in Proverbi (3,3): “Bontà e fedeltà non ti abbandonino; legale attorno al tuo collo, scrivile sulla tavola del tuo cuore…. La Sposa del Cantico dei Cantici chiede allo Sposo di metterla come sigillo sul suo cuore (il sigillo è un marchio indelebile che aderisce e non si cancella più). Chiede di farla partecipe della sua intimità, di confermarla nella fedeltà, di immergerla nella sua volontà, di renderla una cosa sola con Lui; implora di legarla al suo braccio perché possa tenerla sempre davanti agli occhi come sempre deve essere presente lo Shemà a Israele “… ti saranno come un pendaglio tra i tuoi occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte” (Dt. 6,8b). La Sposa domanda allo Sposo di renderla partecipe del suo mistero, di identificarla con il suo progetto e di sostenerla nella sua fedeltà. In nessuna parte il Cantico aveva ancora definito l’amore con termini tanto intensi e belli come lo fa in questo versetto (8,6) in cui descrive la sua forza incontenibile, il suo carattere ineluttabile, il suo valore senza pari. Rileggendo questo testo alla luce della nostra realtà di Donne consacrate per la missione con “un dono di intima amicizia e di comunione feconda, nella partecipazione al suo amore per il Padre e per l’umanità” (ET 13-15) possiamo capire la portata, la profondità e la carica di amore che ci è richiesta e alla quale abbiamo aderito con il nostro si incondizionato nella consacrazione religiosa missionaria. Guardando a Gesù percepiamo che il suo cuore ha un solo battito: il Padre e in Lui il suo Regno per questo ha scelto un amore che tutto sa perdere nella donazione di se stesso, poiché sceglie di prendere su di sé le tenebre del mondo e di sommergerle nell’oceano infinito della sua Tenerezza, nel fuoco della sua Passione per salvare ciò che era perduto e donare la Vita vera facendola scaturire dalla stessa morte. Questo è l’Amore a cui siamo chiamate, un amore la cui misura è non aver misura alcuna! Amore sulla misura di quello di Gesù, il Figlio, che non si lascia scoraggiare dall’indifferenza, né vincere dalla meschinità o dal tradimento. Siamo chiamate a un amore che è collaudato nel sacrificio, nella sofferenza, nella dimenticanza di sé, un amore che supera la tentazione della facilità, dello scansare gli ostacoli, dell’evitare le scelte difficili e impegnative, anche dolorose. È un amore che non cede alla tentazione di adagiarsi, un amore che sa di aver bisogno sempre di purificazione per de-centralizzarsi, evitando pretese ed esigenze o l’egoistica ricerca di sé, il “possedere” l’altro/a come proprio… È un amore che lascia da parte “calcoli prudenti”, un amore che è fuoco e dono di noi stesse. È la croce che assicura la fecondità dell’amore, non dimentichiamolo! E allora nasce la gioia, quella vera. Un amore che dà tutto e chiede tutto, come quello di Gesù che a Cana celebra quella Vita che sul Calvario è donata senza riserve, fino all’ultima goccia di sangue. Fedele, fino alla fine. “Li amò sino alla fine” ci dice Giovanni (13,1). Gesù diminuisce, diventa debolezza senza limiti nel suo annientamento, ma nessun tradimento gli impedisce d’amare. Si mette nelle nostre mani. Spinge la fedeltà dell’amore fino alla fine, fino alla follia della Croce, alla follia dell’amore che si consegna senza misure…. Potremo noi cercare altri mezzi per vivere la Missione? Anche Maria, la Madre del dolore, ritta ai piedi della croce, non tenta di dissuadere Gesù affinché si allontani dal cammino del calvario e non fugge impaurita, Lei, la Discepola che guardava ogni cosa nel suo cuore (Lc.2,51) che rimane fedele ai piedi del Crocifisso e che assume la stessa Passione del Servo sofferente, ci insegni la fedeltà fino alla fine, rimanendo vicino al Suo Figlio e a coloro che anche oggi sono crocifissi; ci insegni a riconoscere il Suo volto nei tanti volti sfigurati, superando nell’amore lo scandalo della Croce e la tentazione di cercare altre strade, diverse da quelle che Gesù ha scelto. Abbiamo il coraggio di fare quello che Lui ci dirà? (cfr.Gv.2,5) O siamo troppo “nell’ordinario”? Se amiamo chi ci ama, che cosa facciamo di straordinario? (Mt.5, 46). Siamo segni di un modo diverso di vivere e di essere o siamo diventate innocue e tiepide, e il nostro fuoco riscalda poco? La nostra presenza pone domande, inquieta, oppure…non dà fastidio a nessuno? Anche noi, come la Sposa del Cantico, con la consacrazione per la missione, abbiamo voluto immergerci nel cuore di Cristo, in quel cuore che ci è stato rivelato sulla croce: “Venuti poi da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv. 19,33). Anche noi abbiamo assunto di partecipare alla sua passione d’amore per l’umanità, un amore che è forte come la morte. La fedeltà a questo impegno richiede una risposta di amore intenso,