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Venerdì Santo sulle Ande

A Vilacaya, villaggio andino nel Sud della Bolivia, il Venerdì Santo è vissuto in modo molto intenso, con tradizioni antiche che parlano al cuore e spiegano con gesti semplici il mistero della fede cristiana. Possono sembrare strane e lontane, ma conoscendole a fondo, dimostrano molta sapienza. E un substrato di storia, quella dell’incontro del Cristianesimo con la cultura locale.

DIGIUNO E LAUTO PRANZO

Una tradizione presente in tutta Bolivia è il ricco pranzo del Venerdì Santo. Questo può stridere con la tradizione europea del digiuno e astinenza che caratterizzano questo giorno, ma è un’usanza presente anche in altre regioni, come il Nordest del Brasile, e nasce dal fatto che ai tempi della colonia, i signori europei, che rispettavano il digiuno del Venerdì Santo, davano i loro avanzi ai servi e schiavi, che per un giorno mangiavano riccamente. Anche questo è frutto della Redenzione…

A Cochabamba si preparano 12 piatti, ricordando gli apostoli e Gesù nell’Ultima Cena. In Vilacaya sono tre i piatti, sempre gli stessi: una minestra a base di zucca, un piatto a base di sardine, un dolce a base mocochinche, che è la pesca essiccata, fatta cuocere con cannella e zucchero. I vicini condividono il cibo tra loro, anche questo è un bel gesto di comunione.

ACCOMPAGNARE GESÙ MORTO

Dopo il pranzo uomini e donne preparano una coperta di fiori (la Quaresima è l’unico tempo dell’anno in cui, grazie alla pioggia, crescono i fiori in Vilacaya) che viene posata sul “Cristo morto”, una statua antica di Gesù deposto dalla croce, adagiata in una portantina di legno.

In particolare le donne vegliano attorno a questa immagine sacra, allo stesso modo con cui vegliano le persone morte durante il funerale. Cantano preghiere in forma litanica in quechua antico: sono gli elementi della fede cristiana trasmessa dai primi evangelizzatori, e tramandata oralmente fino ad oggi, per ben 500 anni!

Dopo la liturgia della Passione del Signore, la comunità esce per le strade del villaggio, caricando la pesante portantina, con a fianco le statue di San Giovanni e dell’Addolorata che, secondo il Vangelo di Giovanni (letto durante la liturgia), erano ai piedi della Croce. Si tratta di un vero e proprio corteo funebre, che termina quando è già sera, con il ritorno in chiesa.

UN DIO VICINO, PERCHÉ CONOSCE IL DOLORE

L’origine di queste tradizioni risale alla spiritualità della Spagna del Cinquecento, alcune espressioni sono ancora vive nella penisola iberica al giorno d’oggi. In America Latina ritualità popolare attorno a Gesù sofferente sono numerose e intense: le statue del “Giusto giudice” rappresentano il Gesù dell'”Ecce homo”, presentato da Pilato e condannato dal popolo. La gente prega davanti al “Giusto giudice” quando ha problemi con la giustizia. Ci sono molti Crocifissi che sono considerati miracolosi e sono mèta di pellegrinaggi.

Nella cultura contadina quechua si prega davanti alle immagini del Crocifisso chiedendo un buon raccolto (il tempo della Pasqua coincide con il tempo della raccolta dei frutti della terra), per questo la Croce è decorata con fiori e frutti: è un’immagine potente, che parla di morte e vita, proprio come il Mistero della Pasqua. Nessuno più del contadino sa che “se il chicco non cade in terra e muore, non porta frutto”. Gesù è il chicco di frumento che muore e rinasce a nuova vita!

Un Dio così vicino, che sa cosa vuol dire il dolore e la fatica della vita. Per un popolo così sofferto come quello andino, il Gesù del Venerdì Santo è un compagno di strada da accompagnare fedelmente nell’ora della sua morte.

Suor Stefania, mc

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