Sappiamo che Gesù ha narrato molte parabole, i vangeli ce ne raccontano tante. Spesso le pensiamo come raccontini un po’ ingenui, per bambini, brevi e leggere. Ciò non toglie che a volte vengano invece trattate dai vangeli come qualcosa di molto importante, vengano chiarite ed evidenziate.
Una di queste è anche ripresa, spiegazione compresa, da ben tre vangeli.
«Uscì il seminatore per seminare…» (Mc 4,3; Lc 8,5; Mt 13,3).
Lo sfondo
Proprio perché sono ben in tre i vangeli che narrano questa parabola, vale la pena cogliere dove ognuno degli evangelisti la sistema, perché per un narratore anche dove si inseriscono i “mattoni” narrativi è una parte del messaggio da trasmettere.
Marco, ad esempio, raccoglie le parabole tutte in un solo capitolo, che inizia con questa, che viene ossia evidenziata come la più importante e fondamentale. In precedenza Marco si è dedicato a presentare un Gesù che con i suoi prodigi restituisce alle persone la capacità di entrare in relazione con gli altri, quindi che si distacca dai condizionamenti delle norme religiose (Mc 2,16-3,6) e delle superstizioni e convenzioni sociali (3,20-35). A questo punto giungono le parabole, che parrebbero concentrarsi soprattutto sul rischio di efficientismo (basta guardare Mc 4,27).
Matteo dispone il suo materiale in cinque grandi tappe introdotte ognuna da un discorso di Gesù. Il terzo discorso, sul regno di Dio, comprende quasi solo parabole, di cui la nostra è, di nuovo, la prima.
In Luca l’ordine dei singoli episodi ci sfugge di più, ma si direbbe che l’attenzione in questa parte del vangelo sia concentrata sulla contrapposizione tra i “giusti”, i “credenti”, “quelli di dentro”, e quelli che invece sono fuori: guarisce il servo di un centurione romano (7,1-10), con cui un ebreo non dovrebbe avere rapporti, poi interviene a risuscitare il figlio di una vedova, con un gesto di attenzione agli ultimi corrispondente invece alla tradizione ebraica (7,11-17), si confronta con la ebraicissima tradizione di Giovanni Battista (7,18-30) e ragiona con un fariseo, a tavola, sulle ragioni del perdono ai peccatori mescolandosi con loro (7,36-50).
La versione di Luca è la più corta, il che per qualcuno significa che potrebbe essere la versione più “originaria”, ma anche in Luca questa parabola è l’occasione per spiegare il senso generale delle parabole. Per tutti, insomma, questo racconto è particolarmente importante.
Racconto
Il racconto è ben noto. «Uscì il seminatore per seminare». “La sua semente”, aggiunge Luca, come se non gli interessasse delle ripetizioni. Luca, in realtà, è uno scrittore abilissimo, per cui dobbiamo immaginare che in realtà quella ripetizione sia voluta. Il cuore del discorso è il seme, e la sua sorte. Non sappiamo chi sia a seminare, perché tutto quello che fa è seminare. Conta solo quello.
Il seme finisce in tanti terreni diversi. Lo sappiamo, lo stile di semina e di coltivazione del Vicino Oriente antico era diverso dal nostro. A noi può stupire che non si getti il seme solo nella terra disposta ad accoglierlo. Da una parte, però, questa era la prassi fuori dalle grandi pianure della Mesopotamia. Sui monti e colline circostanti, infatti, la terra era molto asciutta, e rivoltarla troppo disperdeva quel poco di umidità che c’era. Si gettava allora il seme e dopo si arava, per mandare il seme sotto terra senza deprivare troppo di acqua il suolo.
Ma, insieme, il racconto ci porta già un po’ in un’altra direzione. Le parabole, infatti, non vogliono spiegarci come si dovrebbe vivere. A partire da come si vive, invece, vogliono spiegarci come è Dio. E allora questo racconto, intanto, ci dice che Dio non si risparmia, non semina solo dove c’è garanzia di raccolto, ma getta ovunque. Non decide in anticipo che alcuni sono cause perse, ma affida il suo dono a tutti.
Sappiamo poi che quel seme nella maggior parte dei casi sembra andare perso, perché viene mangiato quello che cade sulla strada, germoglia subito ma secca presto quello atterrato tra le pietre, nasce bene ma viene soffocato dai rovi altro seme. Una parte, però, cade in terra buona e rende molto. Oggi, con una cura più attenta e informata dei suoli e dell’irrigazione, in un campo coltivato a grano ogni spiga produce in media intorno a 40 chicchi (una spiga da sola ne produrrebbe di più, se non fosse circondata dalle altre). Nel Vicino Oriente antico si avvicinava a questa resa la valle del Nilo, mentre in Palestina un rendimento discreto andava intorno a un raccolto 9 o 10 volte superiore al seminato. Il senso del racconto è che là dove il seme riesce a crescere, la resa è in grado di ripagare abbondantemente il seme perduto.
La spiegazione
È Gesù stesso a commentare la parabola, in tutti e tre i vangeli che la narrano.
E ancora una volta è semplice cogliere il senso delle immagini, ben chiarite: il seme come parola di Dio, che può cadere nei cuori di persone occupate da altro e risultare “inutile”, o di entusiasti senza profondità, dove secca presto, o di persone prese da troppe preoccupazioni, che quindi non sanno dare la priorità a ciò che è più importante, ma anche in cuori accoglienti che la fanno crescere. Non solo, è facile per noi immedesimarci ora in uno ora in un altro dei terreni in cui il seme cade.
A colpirci, semmai, è la spiegazione introduttiva che Gesù offre sul motivo per cui parla alle persone in parabole. Dice che un messaggio più chiaro è riservato solo ai discepoli (Mc 4,10-12; Mt 13,10-14; Lc 8,9-10), mentre alle persone “di fuori” parla in parabole. A questo punto cita un passo di Isaia secondo cui il motivo ultimo di questo comportamento è di mettere gli ascoltatori in condizione di sentire ma senza capire (che era probabilmente il senso anche di Is 6,9-10, che pure del tutto chiaro non è). Perché una tale crudeltà?
Potremmo pensare, appunto, a un Gesù che sadicamente vuole mettere davanti ai suoi ascoltatori un piatto nutriente, senza che abbiano la possibilità di assaggiarlo. Questa idea, però, sarebbe in contraddizione con tutto ciò che Gesù fa nella sua vita, nella quale non ha mai risparmiato dono di sé, ascolto, parola, miracoli a chiunque gliene chiedesse. Certo, nei vangeli si dice anche che a volte non aveva potuto fare molti miracoli a causa della mancanza di fede (Mt 13,58). Allora dovremmo essere sicuri che Gesù faccia un prodigio, e allora questo accade? A volte Gesù dice qualcosa del genere (Mt 17,20), ma troviamo nei vangeli anche tante situazioni in cui la fede è dichiaratamente poca, e il miracolo accade (Mc 9,23).
Fede, però, ha come significato di partenza quello di “fiducia”. Se io mi fido di chi mi sta conducendo in un cammino, anche “solo” mentale, starò al gioco, proverò a capire, cercherò di anticipare e dialogare, mi metterò nella disposizione d’animo di chi cerca di intuire e imparare. Al contrario, capiamo bene l’atteggiamento di chi non si fida e magari si mette anche ad ascoltare, ma come chi deve trovare degli errori, con la faccia di chi dice: “Comunque non mi freghi”.
Gesù, che cerca l’incontro con le persone, chiede disponibilità, voglia di capire, di mettersi in gioco. Per chi mette in campo questo atteggiamento, le parabole in realtà parlano, perché chi le ascolta prova a capirle, a penetrarle, mentre se qualcuno vuole essere costretto da argomenti incontrovertibili, le troverà ingenue e poco chiare.
Il senso
Ma c’è probabilmente anche un significato più profondo che Gesù suggerisce con questa parabola. Perché il seminatore che semina senza controllo, senza risparmio, dice anche di un Dio che non si tiene nulla, che non si controlla, che offre generosamente del suo messaggio senza alcuna riserva.
Il seme, poi, germoglia sempre. Non sembra esserci l’opzione di un seme bacato, malato, non efficace. Là dove il terreno è accogliente e disponibile, il seme germoglia. La Parola è buona, dà i suoi frutti ovunque, non appena trovi cuori pronti ad aprirsi.
La risposta, poi, dipende dai terreni incontrati, perché il Dio della Bibbia non è un sovrano assoluto che decide da solo e tutto è fatto. Piuttosto, è un Padre che vuole entrare in relazione con i suoi figli, e nessuna relazione si decide da una parte sola. Dalla parte di Dio, tutto è chiaro: spera nel frutto e dona con generosità il suo seme. Dalla parte dell’uomo, le risposte sono variegate perché siamo liberi.
Là dove però il desiderio di incontro di Dio trova la disponibilità all’incontro da parte dell’uomo, il frutto è tanto abbondante da ripagare in pieno le aspettative anche divine.
Ecco perché gli evangelisti mettono questa parabola in una posizione sempre di rilievo, ecco perché ci aggiungono una spiegazione sul senso delle parabole tutte. È l’intero insegnamento di Gesù ad essere riassunto in questa immagine, di un seminatore generoso che spera in terreni accoglienti e pronti a rendere oltre le aspettative. Perché, è la fiducia di Dio, chi accoglierà in una terra buona, non potrà che produrre frutti generosi.
Angelo Fracchia