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Sara: da trascurata a prescelta

Quando ci confrontiamo con la Bibbia, uno degli errori che possiamo correre è quello di pensarla un testo scritto nei nostri giorni, valutandola troppo velocemente secondo i criteri nostri. Ad esempio, non è difficile trovare nella Bibbia passaggi politicamente molto scorretti, ma non sarebbe neppure equilibrato pretendere di vedervi rappresentata una attenzione che persino per noi è molto recente.

Dall’altra parte, però, e in modo già più raffinato, potremmo non accorgerci che alcune questioni moderne vi trovano tuttavia già spazio, anche se ovviamente in modalità che non sono le nostre, ma che possono “nutrire” e stuzzicare anche le nostre riflessioni contemporanee.

Uno di questi grandi temi è la questione femminile, che certo non è esplicitamente presente nelle attenzioni degli autori biblici, ma che fa capolino tante volte, in un modo o nell’altro.

Una figura preziosa, anche per questo, è quella di Sara, non la coprotagonista del libro di Tobia ma la prima e più importante, le cui vicende sono narrate nel libro della Genesi.

Moglie di…

Negli ultimi mesi le cronache anche sportive hanno parlato del legame affettivo tra due tennisti rilevanti a livello internazionale, di cui uno italiano. E c’è stata più di una persona che si è risentita perché lei, pur tennista tra le migliori del mondo, è molto spesso stata presentata come “la fidanzata di…”. Non è difficile ricordarsi che aveva una sua identità anche prima di legarsi a quel tennista, e aveva già dimostrato la propria bravura personale.

Il mondo biblico, profondamente permeato di una mentalità maschilista, non sembra porsi al riguardo alcuna domanda: le donne sono proprietà, prima del padre e poi del marito, e quindi possono serenamente essere definite come “la moglie di…”. Vale ovviamente anche per Sara, moglie di Abramo. Così viene presentata, e così i lettori del tempo l’avrebbero pensata, senza alcuno scrupolo o senso di colpa. Anzi, senza neppure cogliere che eventualmente potesse esserci un problema.

Gli inizi della sua vicenda peraltro ci confermano la sua subalternità al marito, come per tutte le donne sue contemporanee: lui, sulla scorta di una promessa che ha sentito solo lui, decide di proseguire il viaggio iniziato dal padre da Ur dei Caldei verso la terra di Canaan, e lei ovviamente lo segue (Gen 11,31-12,5). Lei è trattata come una proprietà, come le pecore e gli schiavi. Nessuno, a quel tempo, avrebbe trovato strana o fuori luogo questa presentazione.

Anzi, è probabile che i lettori del tempo, al limite, si accorgessero subito di quanto fosse strana una coppia anziana senza figli, e ne ricavassero che Sara, non necessariamente per colpa sua, non aveva adempiuto all’unico suo dovere imprescindibile, quello di partorire. Noi non ci pensiamo, ma i lettori del tempo, al limite, la avrebbero colta come una donna fallita. Abramo, per mancanza di possibilità o per altre ragioni, non l’ha ripudiata, il che poteva anche essere interpretato come un gesto di generosità buono (o di debolezza…), ma di certo lei non è stata all’altezza del suo compito.

 

Dipinto Udine Palazzo Patriarcale - Sarah - Wikimedia

… ma autonoma

La donna subalterna e in fondo “sbagliata” (sia pure senza colpa…) inizia a prendere il centro della scena più tardi, anche se sul momento noi moderni potremmo addirittura non accorgercene.

Accade che nella relazione tra suo marito e Dio, questi continui a promettergli una discendenza ampia e potente. Peccato che i grandi numeri si compongano a partire dal primo, e che la coppia, anziana, di figli non ne abbia neppure uno. E qui Sara inizia a mostrarsi decisamente intraprendente.

Che cosa facciamo noi con chi ci promette qualcosa? Non è naturale che ci mettiamo lì, in attesa, anche con un certo tono di sfida, per vedere se quanto promesso ci viene garantito? Al contrario, Sara, dopo aver ascoltato diverse volte le promesse fatte ad Abramo, decide di trovare un modo per risolvere il problema, aiutando Dio a mantenere le sue promesse.

Propone ad Abramo che concepisca un figlio con la schiava di Sara, Agar, che è in età fertile (Gen 16,1-2). Il figlio, è vero, nascendo da una schiava sarebbe schiavo e quindi non potrebbe ereditare. Ma Sara ha già pensato anche al trucco legale: avrebbe fatto partorire Agar sulle proprie ginocchia, con un gesto di adozione che avrebbe fatto di Ismaele un uomo libero, quindi in grado di ereditare da Abramo. Sara rinuncia al proprio desiderio di genitorialità (se non legale) senza ridimensionare quello del marito, e “togliendo le castagne dal fuoco” a Dio stesso.

Quando quel figlio, Ismaele, sarà nato e Dio comparirà di nuovo ad Abramo rinnovandogli le promesse di una discendenza e una terra (Gen 17,1-21), Abramo reagirà con una formula che alla lettera suona come “Potesse Ismaele vivere davanti a te!” (v. 18), ma che potremmo rendere, molto liberamente ma nel suo senso, con «È lui, vero, il figlio che mi stai promettendo? Abbiamo fatto bene ad agire così?». Qui Dio spiazza Abramo, Sara e i primi lettori della Bibbia. Se, di nuovo, proviamo a restituire parole moderne a ciò che dice, il senso dovrebbe suonare più o meno come: «No, Abramo! Se ho promesso un figlio a te, l’ho promesso a Sara! Non è ovvio? Va bene, anche di Ismaele mi prenderò cura, sarà forte e in gamba. Ma io ti ho promesso una discendenza, quindi l’ho promessa a Sara, e ci sarà!».

Ecco il punto in cui un’attenzione che l’antichità non aveva (e noi sì) emerge improvvisa. La donna, la moglie, Sara, non è uno strumento per fare figli, ma ha una sua dignità di cui ovviamente Dio tiene conto. Che ciò sia ovvio, peraltro, può anche essere chiaro agli occhi di Dio, ma di certo non degli uomini che si trovava davanti, i quali scoprono, senza mai essersi posti il problema, che per Dio tutta quella differenza di dignità tra maschile e femminile non esiste. E che Dio non è per nulla disposto a preoccuparsi solo del capofamiglia maschio, dimenticandone la moglie.

 

Dipinto di Guercino Abramo ripudia Agar-Public Domain scenic Painting

Mrs. Hyde

Di Sara fin qui abbiamo solo parlato bene, e si è meritata questa presentazione. Come tutti gli esseri umani, però, anche lei ha un lato oscuro che a tratti emerge. È tipico della Bibbia che nessuno sia perfetto. Ci sono personaggi spesso esemplari, vero, ma perfetti non lo sono. E Sara non è un’eccezione.

Fa infatti notare ad Abramo che «da quando la mia schiava si è accorta di essere incinta, io non conto più niente per lei» (Gen 16,3). Normali miserie umane, che ognuno di noi comprende e spesso conosce e vive, in cui ci si dimentica di essere a servizio di un progetto più grande di noi, e ci si rinchiude nelle proprie piccole gelosie e invidie. In questo passo, peraltro, nessuno riesce a fare una bella figura. Agar evidentemente pensa di aver preso il posto della sua signora, Sara reagisce da padrona offesa e pretende provvedimenti dal marito, il quale sostanzialmente se ne lava le mani.

Agar inizia a essere maltrattata, tanto da andarsene nel deserto, dove sembra rassegnata a morire. Qui trova però un angelo che la invita a ritornare e restare sottomessa, garantendole che suo figlio sarà forte e importante (Gen 16,6-12).

Non sarà d’altronde l’ultimo scontro tra le due donne. Quando, tempo dopo, anche a Sara nascerà un figlio, Isacco, l’attempata madre non gradirà che i due fratellastri fraternizzino, giocando insieme. Temendo per l’eredità, ottiene da Abramo, benché questa volta malvolentieri, che siano nuovamente scacciati nel deserto stavolta madre e figlio, che troveranno salvezza e promessa di vita in una scena lancinante (Gen 21,8-21).

Il compimento della promessa

C’entra Sara, stavolta involontariamente, anche nell’ultima tappa della vita di Abramo, quella in cui, dopo aver ottenuto il compimento della promessa di “una discendenza numerosa come le stelle del cielo” avendo un figlio, vede compiersi, nell’anticipo e nella fede, anche quella del possesso della terra, quando sua moglie muore e Abramo vuole seppellirla, dopo una trattativa che per noi è facile fraintendere.

La terra nella quale Abramo risiede e dove vuole seppellire la moglie, infatti, a Macpela, è terra degli ittiti, e Abramo dichiara di voler comprare da loro un campo per farne un sepolcro (l’episodio è narrato in Gen 23). Gli abitanti del paese, nella persona di Efron, gli propongono di ottenere il campo gratis, ma Abramo si rifiuta, pagando anche il prezzo che alla fine gli fissano e che è assolutamente spropositato (400 sicli d’argento, quasi sette chilogrammi).

Quello che a noi sembra uno scambio di cortesie (“Ma figurati! Te lo do per niente!”. “Ma ci mancherebbe! Dimmi quanto ti devo!”) è in realtà un braccio di ferro, perché un dono non avrebbe costituito per Abramo un diritto al possesso, ma semplicemente una benevola concessione. L’acquisto, invece, rende Abramo proprietario legittimo di un pezzo di terra, per quanto piccolo, nella regione che Dio gli aveva promesso. E il primo, carissimo, possesso nella terra promessa è riservato alla moglie defunta, in un mondo che i mausolei, semmai, li costruiva per i patriarchi, non per le loro mogli.

La donna che rise in faccia a Dio

Abbiamo però saltato, nella nostra ricostruzione della figura di Sara, un episodio decisamente significativo, perché ci parla della tempra della donna ma anche del volto di Dio (Gen 18). Tre figure misteriose vengono accolte generosamente da Abramo (e dal fattivo lavoro di Sara) alle Querce di Mamre. Dopo essersi nutrite, annunciano all’uomo che sarebbero tornati un anno dopo, e che per quel tempo sua moglie avrebbe avuto un figlio, il loro primogenito di coppia.

Sara, ancora una volta molto viva e presente, benché non perfetta, non è ovviamente ammessa a questa conversazione “tra maschi”, ma sta origliando alla porta della tenda. E scoppia a ridere, con un accenno che può suonare sconveniente non solo al parto, ma anche al piacere sessuale che lo precederà. Il lettore ha già capito, Abramo ha capito, di trovarsi di fronte a Dio. E Sara ride. Per qualcosa che ha detto Dio. In faccia a lui. Non paga, quando viene scoperta e i tre visitatori glielo rinfacciano, nega anche di averlo fatto.

Tutte le tradizioni religiose sono abituate a una divinità magari generosa ma molto gelosa della propria dignità, del proprio ruolo. La “lesa maestà” è in fondo il peccato più grave di fronte ai grandissimi, Dio compreso: è il mancato rispetto della loro superiorità. Tutte le tradizioni religiose immaginano gli dèi che, di fronte alla lesa maestà, reagiscono con furore, e d’altronde la stessa cosa fanno i molti dittatori umani che si fanno un po’ dio: puoi anche sfidarli e in fondo ti rispettano, ma se ridi di loro si infuriano.

Il Dio della Bibbia no. Chiede a Sara il motivo del suo riso, ribadisce di essere in grado di compiere la promessa, ma non la sgrida, non la punisce, non le toglie il figlio. Perché il Dio della Bibbia ama le persone vere, piene, autentiche, anche quando si trova a scontrarsi con loro; è il Dio della vita, che ama le persone vive. E Sara, anche «avvizzita e vecchia», resta piena di vita.

Angelo Fracchia

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