
“Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei!”. Provare a leggere la vita, anche quella dei santi, a partire dalle relazioni significative intessute da loro negli anni, è ciò che faremo con questa rubrica lungo il 2023. Perché, Nazareth ce lo insegna, la vita si fa davvero “alta”, divina, solo attraverso le umanissime coordinate spazio-temporali, quelle concrete, particolari, uniche per ognuno di noi. Giuseppe Allamano, oggi beato e speriamo presto santo, da bambino frequentò l’asilo del suo paese e ebbe una maestra, con la quale restò sempre in contatto, trovando in lei un’alleata di fiducia nel “fare un po’ di bene”.
Sono nella mia camera a Ulaanbaatar. Mentre seguo il corso dei miei pensieri e inizio a scrivere, la grammatica mongola fa capolino nella mia mente, illuminando le riflessioni. Oggi a lezione abbiamo scoperto il caso dativo-locativo che esprime esattamente dove è diretta l’azione. A un certo punto, la nostra insegnante spiega che il verbo amare richiede il dativo. Certo, penso immediatamente, non può che essere così! Si esprime in questo modo un’intensità straordinaria di amore, in una relazione a tu per tu, attenta, profonda e unica. Il nostro fondatore ci vuole capaci di un amore così, trasparenza di quell’Amore di Dio per ciascuno di noi cantato dal profeta Isaia: «Ti ho chiamato per nome. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo» (Is 42,1b.4a).
AMARE “AL DATIVO”!
Riconosco in tanti episodi della vita dell’Allamano un cuore che ama “al dativo” e questo emerge in modo espressivo nel suo rapporto di amicizia con Benedetta Savio.
Tutti conserviamo il ricordo di una maestra di scuola, delle sue parole, dei suoi gesti rivolti a noi o ai compagni. Adesso immaginate il piccolo Giuseppe Allamano andare all’asilo e lì imbattersi nella maestra Benedetta: un incontro che ha marcato profondamente le vite di entrambi, ha segnato l’inizio di un’intesa profonda, di cuore e nella carità, che durò tutta una vita. È da allora «che ebbe inizio quella mutua conoscenza di due anime che sempre si stimarono, si aiutarono, non perdendosi mai di vista». Benedetta era una donna umile, dinamica, attenta profonda e strettamente unita a Dio. Il suo insegnamento ha influito sulla crescita umana e spirituale dell’Allamano che, sovente e con gratitudine, parlava di lei ai missionari e alle missionarie.
Fin da piccolo, il nostro fondatore rivela un cuore aperto, sensibile e attento. Il rapporto con la sua maestra cresce nel tempo in una capacità di operare insieme in unità d’intenti. Nell’Allamano, Benedetta riconosce la stessa unzione, lo stesso profumo di Dio che aveva scorto in Giuseppe Cafasso, suo direttore spirituale. Ecco le sue parole:
«Rev.mo Signor Canonico! Lei ne è quel prezioso tralcio che me ne aveva parlato quella S. Anima del suo Amato Zio, Don Cafasso, ho bisogno d’una grazia. E la spero per mezzo anche di Lei che è anche un degnissimo Ministro».
Alcuni dei principali tratti che accomunano il Fondatore con la maestra sono lo spirito di preghiera, l’amore all’Eucaristia, una predilezione per i piccoli e il desiderio di fare la volontà di Dio.
Attraverso la loro corrispondenza possiamo scorgere un Fondatore profondamente umano, capace di cogliere ciò che c’è nell’intimità dei cuori, di offrire la parola giusta per ogni momento. Nelle lettere traspare la gioia di due anime amiche che si confidano e camminano sulle vie di Dio. Ci rivelano un Fondatore dal cuore tenero, che tiene molto alle relazioni.
Trascorso un po’ di tempo in cui non aveva più avuto notizie di Benedetta, le scrisse:
mi duole che alla mia misera persona quasi ormai si attribuisca la proprietà dell’invisibilità, solo propria di quel bel tempo in cui sciolti da questo corpo aspetteremo il finale giudizio. Non è vero che non mi si possa parlare; tutti i giorni in varie diverse ore, godo essere visitato, massimamente se si tratta di trattenermi in qualche cosa di gloria di Dio. Adunque non ha V. S. più scusa, né deve temere di disturbarmi, la porta del convitto è aperta.
Si offrirono consolazione e accompagnamento vicendevole in ogni tappa della vita. Questo dono di accompagnamento si vede in tutta la vita dell’Allamano, con ogni persona che incontra. Le relazioni diventano così “luoghi” abitati dall’esperienza della consolazione di Dio e dalla rivelazione di un tratto del Suo volto. Inoltre, con Benedetta, egli condivideva la stessa “urgenza” di fare bene il bene, senza rumore. I due erano una vera e propria squadra, come il cuore e la mano.

Questa “complicità” della carità traspare dalle loro lettere:
“La ringrazio della carità che mi fa nel rendermi partecipe del bene che le anime buone fanno in paese. Le invio una piccola somma della quale VS farà quel che crede bene in Domino. Spero che altre volte mi procurerà simile occasione. Il tutto in confidenza”. “Per carità, non mi privi delle occasioni di farmi un po’ di bene; il tutto però in stretto riserbo”. “Le invio le lire duecento desiderate, ne faccia quel bene che intende. Frattanto faccia tanto pregare per me e secondo le mie intenzioni. Ho bisogno di una grande grazia in questi giorni”.
Così l’Allamano le scriveva:
Mi rincrebbe di non averla potuta vedere nella Sua venuta a Torino; pazienza, volevo raccomandarmi tanto alla preghiera dei suoi cari Angioletti (i bambini dell’Asilo) e proporle di mettermi a parte di qualche poco di carità corporale in questo caro Paese. Passò l’inverno rigido e chi sa quante necessità alle quali debolmente avrei potuto soccorrere. Faccia V. S. a mio conto qualcosa ed io all’occasione la ricompenserò. Il tutto in confidenza.
E in un’altra lettera leggiamo:
Consoli quel pover’uomo, i cui giusti dolori sull’avvenire della famiglia, mi commuovono. Gli dica che si prega per lui … intanto gli faccia tenere qualche cosa come pegno di ciò che la Provvidenza farà per lui e per la povera famiglia. Già temeva che V. S. santamente troppo gelosa di tenere tutte le opere buone per sé, non più si facesse sentire per mettermi a parte di qualche cosa; e più volte fui in pensiero di scriverle per rimproverarnela severamente; per carità, non mi privi delle occasioni di farmi un po’ di bene nelle poche mie forze; il tutto però in stretto secreto.
Consoli quel pover’uomo, i cui giusti dolori sull’avvenire della famiglia, mi commuovono. Gli dica che si prega per lui … intanto gli faccia tenere qualche cosa come pegno di ciò che la Provvidenza farà per lui e per la povera famiglia. Già temeva che V. S. santamente troppo gelosa di tenere tutte le opere buone per sé, non più si facesse sentire per mettermi a parte di qualche cosa; e più volte fui in pensiero di scriverle per rimproverarnela severamente; per carità, non mi privi delle occasioni di farmi un po’ di bene nelle poche mie forze; il tutto però in stretto secreto.
Sr. Francesca, mc
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