Quattro chiacchiere con… i Germogli d’America

Sorridenti, giovani e piene d’energia e voglia di missione: sono Andrea, Muriel e Nadia, le postulanti del Continente America che fra poco entreranno nella tappa del Noviziato in Italia. Nel 2021 hanno camminato con il popolo quechua insieme alla comunità di Vilacaya, in Bolivia. Chiamiamo con affetto Germogli le nostre giovani, sono i Germogli della vite centenaria del nostro Istituto. Oggi facciamo quattro chiacchiere con loro!

Avete vissuto il tempo del postulato in Bolivia, ma… cos’è (cos’è stato) il postulato per voi?

“Certamente è un tempo di grazia dove possiamo creare sempre più legami d’amore con Dio e le nostre sorelle” esordisce Andrea. “E’ un tempo di incontro, donazione, crescita, è un prendere il largo” continua Nadia. “E’ un tempo di silenzio, vita comunitaria, lavoro, preghiera… un tempo che ci prepara a ciò che verrò dopo: il Noviziato e poi la missione” aggiunge Muriel.

“In fin dei conti è il tempo in cui si dice si o no alla missione!” afferma Nadia “è toccare la missione con tutti i sensi e non solo come l’esperienza di un tempo, piuttosto è la conferma di abbracciare la missione ad gentes e ad vitam con tutto quello che sono. E’ permettersi di imbeversi di Dio e immergersi nel suo amore”.  

Conclude Muriel: “Il postulato è lasciarsi condurre dal Signore e non controllare io il timone, ma abbandonarmi nelle sue mani: è un cammino arduo, ma molto arricchente!”

Qual è stato il primo pensiero quando avete ricevuto la notizia che il postulato sarebbe stato a Vilacaya?

Inizia di nuovo Andrea: “Sono stata molto contenta, perché era l’opportunità di vivere finalmente con Nadia e Muriel (a causa della pandemia non abbiamo potuto stare assieme nel 2020), e anche con la comunità di Vilacaya e con la gente andina. Certamente, è stata una sorpresa (avrei dovuto andare in Italia per il noviziato, ma sempre a causa della pandemia i programmi sono cambiati), ma con il senno di poi ho capito che Dio mi portò qui, che Lui guida la mia vita, mi ama con un amore incomparabile: ho vissuto un’esperienza che non dimenticherò mai e dalla quale ho imparato tantissimo”.

Nadia ci racconta: “Quando mi dissero che avremmo fatto il postulato in Vilacaya, il cuore si colmò di gioie e di paure. Conoscevo la comunità, la casa, la gente, per questo le paure non furono tante. Però ero cosciente che erano molte le sfide: uscire dalla comodità o facilità della città per inserirsi nella campagna, mi faceva pensare se in verità io ero in grado di farcela. Mi mise di fronte ai miei limiti, mi invitò a mettermi nelle mani di Dio e a fidarmi di Lui. La gioia era per l’opportunità di stare faccia a faccia con la realtà ad gentes più pura delle missioni di Argentina e Bolivia: non conoscere la lingua quechua, la cultura: erano sfide che desideravo avere, per segnare con un’impronta indelebile il cammino intrapreso finora”.

Muriel condivide: “Ho pensato: ma quanto mi ama Dio! Perché il popolo andino è un mio “punto debole”: mi affascina fin dal primo istante che lo conobbi, la prima volta che andai a Vilacaya, nel 2016. La comunità di Vilacaya sempre mi ha accolto con tanto affetto, cosicché tornare era come tornare a casa, rimboccare le maniche e dire: “Che c’è da fare?” o anche: “In cosa posso aiutare?” Vilcaya è un luogo che sfida e che insegna tutti i giorni qualcosa di nuovo, la cosa fantástica è che si impara dai bambini, dagli adulti, dagli anziani, dai giovani… ognuno dalla sua posizione ed esperienza.  

Cosa hai imparato dalla gente di Vilacaya? 

Questa volta è Muriel che inizia: “La gente di Vilacaya mi ha insegnato molto, davvero mi emoziona pensarci. Sono persone di grande sacrificio, quando si lavora, lavora, e non importa se piove, o c’è un sole tanto forte da spaccare le pietre: lavorano senza lamentarsi fin da piccoli. Sono particolarmente riservati, pero assolutamente generosi, ammiro la loro capacità di donazione, ti offrono tutto, persino ciò che no hanno, affinché tu ti senta accolta. Conservo nel mio cuore i momenti del pasto condiviso insieme.

Nadia aggiunge: “Sono tante le lezioni ricevute: la gente mi ha fatto vedere che non importa quanto tu abbia, o di che colore sei, quanto tu abbia sofferto o no, ma sempre sarai degno di ricevere un sorriso, anche se il cuore è infranto, e lo sguardo lo lascia intravedere. Ho imparato che la vita in comunità non è solo vivere uno vicino all’altra, piuttosto di stare per dare una mano, la vita in comune, i lavori comunitari, che tutto diventa più facile fatto insieme… La gente mi ha insegnato che quello che ha ,vale se si condivide, che ogni giorno è una nuova opportunità per ringraziare, per andare a lavorare la terra, per combattere per ciò che si vuole. Che sempre vale la pena provarci. Che nel dolore Dio è consolazione, compagno e sostegno. Che davanti all’ingiustizia, la disuguaglianza, vale la pena fare la differenza, anche sia una minima cosa”.

E Andrea: “Ho imparato ad ascoltare, più che parlare, che non si deve ricevere qualcosa senza dare nulla in cambio, che nulla è più sacro delle nostre radici religiose e culturali; che i piccoli gesti possono fare una grande differenza nella vita di una persona; che la sapienza dei semplici vale molto di più che quella dei grandi. Che i defunti continuano vivi nella memoria sacra del popolo che lotta per vivere, che basta aprire la porta della nostra casa per sentirsi famiglia.  

Avete proprio imparato molto… e voi, che cosa avete donato alla gente di Vilacaya?

Nadia: “Credo veramente di aver donato molto poco… e ricevuto molto. Forse… ho potuto donare uno spazio di ascolto, una risata, un gioco condiviso, un abbraccio, una mano tesa disposta ad aiutare, il desiderio di conoscere con rispetto la cultura, una parola di incoraggiamento, accompagnare per conoscere nuovi orizzonti…”

Muriel: “Credo che la cosa che ho donato è stato il tempo, l’ascolto, momenti di gioco, chiacchiere, gioia, e anche la mia preghiera per diverse realtà che abbiamo incontrato”

Andrea: “Sinceramente, ho ricevuto più di quanto ho dato… ma ho cercato di dare con tutto il cuore, essere lì, presente al 100% in ogni incontro, sia con i bambini del Centro di Accoglienza, sia con le persone che ho incontrato. Certo, non ho potuto comunicare molto bene per il mio povero spagnolo, ma non è stato tanto il parlare bene, ma l’apertura del cuore che mi ha permesso avvicinarmi alle persone. 

Qual è l’immagine, o il suono, o l’odore che non dimenticherai mai del tuo tempo in Vilacaya? 

Muriel risponde così: “Se chiudo gli occhi, mi vedo lì: in un canalone dove andavo a pregare, o semplicemente a camminare.  Poi vedo le donne anziane camminando nelle strade, in luoghi deserti, sotto il sole, con i loro tessuti colorati carichi. Un’altra delle cose non dimenticherñ mai ´il mercato del sabato: una miscela di colori, odori e suoni. E le feste: lo spirito festivo della gente, le feste colorate, le devozioni popolari molto forti…”

 Andrea ci condivide: “Ah… certamente sono molte le immagini che vengono in mente e che porteòr sempre con me. Certamente le più care sono i sorrisi dei bambini, che mi hanno fatto dimenticare i miei piccoli problemi e pensare a quanto possiamo essere felici donando amore e consolazione alle persone. Un’altra immagine indelebile riguarda tutti i gesti di ringraziamento che il direttore di Suquicha e pensare che tutto questo è possibile perché abbiamo benefattori che ci aiutano, e noi siamo solo strumenti nelle mani di Dio!”

Mentre Nadia afferma: “Credo che non dimenticherò mai l’immagine del paesino di Vilacaya visto dalla collina chiamata “Calvario”, le comunità disperse nelle montagne, dove uno dice: impossibile che ci sia qualcuno, e lì trovare una comunità riunita che ti aspetta e si rallegra per il tuo arrivo. Un’altra immagine che mi ha toccato molto è quella dei bambini pastorelli che giocano in mezzo alle pecore”.  

Come giovane, dopo vari anni di cammino, come ti sembra l’Istituto?

Nadia inizia: “Dopo sei anni, lo guardo come si guarda la famiglia, con i suoi errori e i suoi successi. Una famiglia che cerca di camminare insieme, che escolta, guarda la realtà attorno a sé, in cerca di nuove strade. Una famiglia che conosce ciascuno dei suoi membri, che sa delle fatiche di ciascuna, accompagna, e soprattutto: che possa dare il meglio di sé, cresca per arrivare alla Santità, ad essere il più simile possibile all’amore di Dio.  Un instituto che è madre, tenera, delicata, sicura, convinta, ferma, che cerca che tutti i membri siano felici, che sempre si trovi il volto dell’Amato: amata per poter amare.  Una famiglia che cresce dai suoi errori, sa fare un passo indietro, sa chiedere scusa, e cerca sempre in ogni caso il bene comune. Un instituto che si adatta ai Segni dei tempi senza perdere la sua essenza, ritorna alle sue radici, progetta il futuro. Un instituto che ama profundamente e che si gioca per ciascuno dei suoi membri.

Andrea continua: “L’istituto mi sembra sempre più necessario in questo mondo di incertezze che svaluta le radici culturali e religiose. Ogni anno che trascorre, mi identifico sempre più con il charisma e con la proposta del nostro Fondatore, che desiderava portare la consolazione a tutti I popoli, specialmente ai non cristiani. Sento lo stesso desiderio: far conoscere Cristo per mezzo di piccolo gesti di amore e affetto”. E infine Muriel: “Per me dire Istituto delle Missionarie della Consolata è dire famiglia, è qualcosa che ho molto chiaro fin dall’inizio, fin quando iniziò il mio discernimento, nel 2014. Con il tempo ho maturato questo sentire la famiglia. L’Istituto mi ha dato gli strumenti per poter capire meglio e vivere più libera la mia fede e la missione che il Signore già aveva pensato per me. Formandomi a livello umano e apostolico, con le sorelle che sono un Tesoro che porto con me, potendo vivere l’interculturalità e anche l’intergenerazionalità fin dall’inizio del mio cammino”.

E fra 20 anni, dove e come ti immagini?

Andrea: “Questa domanda è proprio difficile! In questi ultimi anni ho imparato che non ci sono certezze o sicurezze, ancora di più nella vita missionaria, ma mi immagino vivendo in qualche paese dell’Africa o dell’Asia, forse aprendo una comunità nuova… chi lo sa? Ciò che so è che il mio cammino è proprio un mistero, forse riapriremo in Somalia, e potrò contribuire alla nostra storia in quelle terre fecondate dal sangue della nostra Beata Leonella Sgorbati… non costa nulla sognare, no?” 

Muriel: “Anche per me è difficile vedermi fra 20 anni, ma il desiderio è poter vivere come una suora Missionaria della Consolata sempre fedele al Signore, nella donazione quotidiana e fraterna, con mani e piedi disposti ad andare lì dove il Signore e le mie sorelle pensano io possa essere uno strumento utile per l’annuncio del Vangelo e la promozione umana, cercando la santità in modo straordinario nell’ordinario”.

Nadia: “Diciamo che dentro della famiglia Consolata è un poco difficile pensarsi tanto lontano nel tempo… però la Nadia di 50 anni si troverà nella missione che Dio le aveva confidato, vivendola con gioia, adattandosi ai cambi, cercando sempre di tendere la mano e rubare un sorriso, che non lascerà andare nessuno senza fargli sapere che quello che ha da dire e offrire è importante!”

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