Un pellegrino di amicizia nella terra del cielo blu

Sono le sei del mattino e ci prepariamo a celebrare la messa, sono in un hotel di Ulan Bator perché sono assieme a un gruppo di Cardinali, Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici venuti da diverse chiese dell’Asia a partecipare a questo grande evento. Anche se venuti da lontano, oggi non sono stranieri nella terra del cielo blu, perché da oggi e per qualche giorno siamo universali, ci sono solo fratelli che come noi hanno il cuore pieno di gioia e aspettative. Così che in questo giorno chi,  come noi in un hotel, chi in una gher e chi in un appartamento, tutti, nella nostra piccola chiesa si alzano presto e nel silenzio che caratterizza ogni alba, attorno a un altare improvvisato, o di fronte a una piccola candela accesa nella cucina, o semplicemente guardando il cielo blu, mettiamo nelle mani del Signore questo giorno, innalzando a Lui il cuore, ringraziandolo per la gioia che sentiamo.  Si, oggi è il giorno tanto sperato, oggi arriva Papa Francesco a visitare la nostra Mongolia.

Fatta la colazione  il nostro gruppo è pronto e partiamo verso l’aeroporto. Pian piano arrivano i bus dai diversi punti cardinali con fedeli dalle nostre piccole comunità e si congrega il gruppo che darà il benvenuto al Papa. Da lontano si vede il tappeto rosso e le bandiere Mongole e Vaticane ondeggiare col vento. L’emozione cresce, è vero, oggi arriva il Papa da noi! Siamo quasi duecento ma ci si sente come mille cinquecento, con noi è presente tutta la nostra chiesa. Cantiamo forte e tanto esprimendo la nostra gioia e i poliziotti incaricati della sicurezza sembrano un po’ confusi perché mai hanno visto venire a ricevere un “capo di stato” con tanto entusiasmo.  E un po’ di ragione ce l’ hanno pure, perché il Papa è molto di più,  è il nostro Padre che viene a trovarci, che viene a conoscere la nostra casa, che vuole sedersi a parlare con i nostri vicini e amici. L’aereo tocca terra e la gioia diventa quasi euforia, ad alcuni di noi vengono anche le lacrime. Scende, saluta, lo portano vicino a noi, le norme però non ci tengono in conto tra quelli che devono fare i saluti allora lo accogliamo da lontano con un coro di “Viva Papa Francesco” “Papa, benvenuto tra noi”. Quando tutta la cerimonia ufficiale finisce, rompendo il protocollo, lui ci viene incontro, tutti lo sentiamo vicino, ci sorride e vuole incrociare lo sguardo di tutti. “Grazie Papa Francesco, siamo felici di averti tra noi!” Poi il Santo Padre va a casa e si prende il resto della giornata per processare il jet-lag.

Il giorno seguente comincia con tanta solennità nella piazza centrale della capitale. Anche qui arriviamo presto, ma c’è qualche sorpresa, ci sono dei volti che non conosco, vuol dire che non sono della nostra piccola chiesa. Arriva il Papa e anche loro son pieni di gioia, di una grandissima gioia. Li guardo e mi chiedo da dove verranno questi nostri fratelli. Nonostante la curiosità mi  concentro sulla cerimonia, è bello vedere  di nuovo le bandiere vaticane accanto alle bandiere della Mongolia, bandiere che si lasciano battere dallo stesso vento. Finiti i saluti le autorità entrano in parlamento e Papa Francesco inizia a parlare così, “Sono onorato di essere qui, felice di aver viaggiato verso questa terra affascinante e vasta, verso questo popolo che ben conosce il significato e il valore del cammino. Lo rivelano le sue dimore tradizionali, le ger, bellissime case itineranti. Immagino di entrare per la prima volta, con rispetto ed emozione, in una di queste tende circolari che punteggiano la maestosa terra mongola, per incontrarvi e conoscervi meglio. Eccomi dunque all’ingresso, pellegrino di amicizia, giunto a voi in punta di piedi e con il cuore lieto, desideroso di arricchirmi umanamente alla vostra presenza.” Poi parla della ricchezza culturale del popolo anfitrione, della loro vita così in armonia con il creato, la spiritualità e interiorità che sgorga dalla vita nomadica, le grandi possibilità che il paese ha di arricchire il dialogo internazionale e l’impegno costante nel lavorare per un mondo migliore. Dopo il discorso Papa Francesco consegna al presidente Khurelsukh un prezioso regalo, la lettera di Guyug Khan, terzo imperatore della Mongolia, a Papa Innocenzo IV  con data del XIII secolo. E’ un gesto che riempie di gioia tutto il paese il quale sente grande ammirazione per i loro primi imperatori.

Nel pomeriggio c’è l’incontro con la chiesa locale, tutti ci riuniamo nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo. Siamo in tanti, e anche qui ritroviamo facce nuove. Ma già si può identificare le provenienze, son pellegrini dal Vietnam, Cina, Corea del Sud, e Russia. Alcuni son venuti correndo tanti rischi e ci danno notizia che in tanti sono stati bloccati alle frontiere. Siamo chiesa cattolica, universali e la venuta di Papa Francesco non può che convocare un incontro tra le chiese dell’Asia, tra chiese sorelle che condividono storie simili di libertà limitata e fede coraggiosa. Non possiamo parlarci perché le nostre lingue sono tanto diverse, ma la loro presenza dice tanto. Più tardi, grazie alla mediazione tecnologica qualcuno di loro condivide, “Solo vogliamo che il Papa sappia che anche noi lo amiamo.”  Non posso non commuovermi davanti a questa testimonianza.

Dentro la Cattedrale l’incontro è con i vescovi, sacerdoti, missionari, consacrati e consacrate, e gli operatori pastorali. C’è tanta gioia ed emozione. Il Papa ci parla così “vi invito a gustare e vedere il Signore – gustare e vedere il Signore –, vi invito a tornare sempre e di nuovo a quello sguardo originario da cui tutto è nato. Senza di esso, infatti, le forze vengono meno e l’impegno pastorale rischia di diventare sterile erogazione di servizi, in un susseguirsi di azioni dovute, che finiscono per non trasmettere più nulla se non stanchezza e frustrazione. Invece, rimanendo a contatto con il volto di Cristo, scrutandolo nelle Scritture e contemplandolo in silenzio adorante – in silenzio adorante – davanti al tabernacolo, lo riconoscerete nel volto di quanti servite e vi sentirete trasportati da un’intima gioia, che anche nelle difficoltà lascia la pace nel cuore. Di questo c’è bisogno, oggi e sempre: non di persone indaffarate e distratte che portano avanti progetti, col rischio talvolta di apparire amareggiate per una vita certamente non facile, no: il cristiano è colui che è capace di adorare, adorare in silenzio. E poi, da questa adorazione scaturisce l’attività. Ma non dimenticate l’adorazione.” Grazie Papa Francesco per queste parole che guideranno il nostro essere missionari in questa terra. E si, sentiamo tanta gioia per la tua presenza tra noi.

Domenica mattina comincia con l’incontro Interreligioso ed Ecumenico. Bellissimo momento che merita un articolo tutto suo, forse ci sarà. C’è stata tanta fratellanza, tanto rispetto, tanta accoglienza. Papa Francesco, fratello nella fede e fratello dell’umanità concludeva il suo discorso con queste parole: “Fratelli e sorelle, il nostro trovarci qui oggi è segno che sperare è possibile. Sperare è possibile. In un mondo lacerato da lotte e discordie, ciò potrebbe sembrare utopico; eppure, le imprese più grandi iniziano nel nascondimento, con dimensioni quasi impercettibili. Il grande albero nasce dal piccolo seme, nascosto nella terra. E se “la fragranza dei fiori si diffonde solo nella direzione del vento, il profumo di chi vive secondo virtù si diffonde in tutte le direzioni” (cfr The Dhammapada, n. 54). Facciamo fiorire questa certezza, che i nostri sforzi comuni per dialogare e costruire un mondo migliore non sono vani. Coltiviamo la speranza. Come ebbe a dire un filosofo: «Ognuno fu grande secondo quello che sperò. Uno fu grande sperando il possibile; un altro sperando l’eterno; ma chi sperò l’impossibile fu il più grande di tutti» (S.A. Kierkegaard, Timore e tremore, Milano 2021, 16). Le preghiere che eleviamo al cielo e la fraternità che viviamo in terra nutrano la speranza; siano la testimonianza semplice e credibile della nostra religiosità, del camminare insieme con lo sguardo rivolto verso l’alto, dell’abitare il mondo in armonia – non dimentichiamo la parola “armonia” – come pellegrini chiamati a custodire l’atmosfera di casa, per tutti. Grazie.”

Nel pomeriggio ci troviamo nella Steppe Arena per celebrare la Santa messa tutti insieme. Siamo in tanti, quasi tutti. E c’è spazio per tutti. Sentiamo la gioia dell’incontro e del reincontro, quest’ultimo ancora più sentito. Comincia la Santa Messa e l’omelia ci tocca il cuore: “Questa è la verità che Gesù ci invita a scoprire, che Gesù vuole svelare a voi tutti, a questa terra di Mongolia: non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici: no! Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia. E questa è la via che Gesù ci ha insegnato e ha aperto per noi.” Grazie Papa Francesco, sempre!

Il mattino seguente, prima della partenza, il Santo Padre benedice la Casa della Misericordia, questa volta rimango fuori insieme ad alcuni giovani e gruppi di pellegrini. Lui arriva, lo salutiamo e ho la fortuna di dargli una stretta di mano. Entra nella casa e noi rimaniamo fuori, aspettando per salutarlo per l’ultima volta quando esca. C’è un vento freddo, ma nessuno va via. I pellegrini cantano nelle loro lingue, cerchiamo di individuare le provenienze. Si distinguono i pellegrini dalla Cina, alcuni con i volti coperti. Si vede che son tanto emozionati. Con un accento molto forte e in un inglese appena imparato il loro coro ripete instancabilmente “China love Papa.” Quando il Papa esce per andare in aeroporto vuole fermarsi per salutare loro. Rimane tutto quel che il tempo gli permette, stringe alcune mani, benedice alcuni rosari, si scambiano regali. Dentro del cuore io canto “Jesus loves China”, non ci sono dubbi.

Sento tanta speranza, grazie Papa Francesco che ci raduni come fratelli e sorelle, ci fa bene. Sento che Gesù pure è contento, Lui e lo Spirito Santo hanno lavorato tanto per rendere possibile questa visita al centro dell’Asia. E’ la conclusione e il cuore si sente pieno, la fede approfondita, la speranza fortificata e l’amore rinnovato. Si, è il momento di RENDERE GRAZIE, di innalzare le nostre mani, di gustare la bontà del Signore, di contemplare il Suo grande amore per questo piccolo gregge sotto il cielo blu.

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