La Regina Ribelle

Queen Esther by Abstractartangel from Flickr

Oggi incontriamo una figura femminile assolutamente secondaria, ci verrebbe da pensare, ma che ci apre una finestra su una sensibilità e attenzione che non penseremmo di trovare nella Bibbia.

Si tratta di una regina, di cui si parla in uno scritto edificante che non ha pretese storiche. La sua figura potrebbe sparire sullo sfondo, ma di lei si cita il nome, numerose volte, e anche se in poche righe, ne emerge una donna di cui non sappiamo quasi niente, se non che ha mantenuto la schiena diritta nel difendere la propria dignità personale.

Una scrittura maschilista?

La Bibbia, lo sappiamo, è stata scritta in grandissima parte o per intero da uomini, in un contesto culturale che era maschilista e patriarcale. Ci verrebbe da pensare che non possiamo chiederle grandi aperture femministe.

Eppure le figure femminili importanti non sono davvero poche. Sara, la moglie di Abramo, è tutt’altro che una comparsa insignificante, e lo stesso si può dire delle altre mogli dei patriarchi, come Rebecca, Lia, Rachele…

Nella genealogia di Gesù che ci offre Matteo vengono citate Tamar (Gen 38), capace di mettere a rischio anche la propria vita per garantire una discendenza al marito morto, Raab (Gs 2; 6), che prende posizione a fianco degli esploratori ebrei inviati a Gerico, tradendo la propria patria e salvando la propria famiglia, e poi anche Rut e Betsabea (2 Sam 11-12; 1 Re 1), ossia la nonna e la moglie di Davide nonché madre di Salomone, due donne decise e coraggiose.

Altrettanto decise e coraggiose si mostrano la profetessa (e di fatto capo militare) Debora e Giaele, un’insignificante nomade che in realtà uccide il capitano cananeo (Gdc 4-5). Figure altrettanto rilevanti, che si guadagnano l’onore di un libro intitolato a loro, sono anche Ester e Giuditta.

E sicuramente significativa è Anna, madre di Samuele, il più importante sacerdote della storia ebraica, che non sarebbe nato senza la preghiera di sua madre (1 Sam 1)…

Questo fermandoci solo al Primo Testamento, e senza assolutamente essere completi.

Anche tra le pieghe dei testi, peraltro, emergono a volte figure inattese, magari neanche approfondite. È bello, ogni tanto, andare a riscoprirle.

Il contesto letterario

Il libro di Ester è sostanzialmente una favola, che inventa un passato (quello del regno persiano, alla fine del v secolo a.C.) per parlare del presente dello scrittore, probabilmente nel ii secolo a.C., in un contesto di corte ellenistica, forse in Egitto, forse in Siria. Come farà tanti secoli dopo Manzoni, si critica il potere contemporaneo senza chiamarlo per nome ma parlando, apparentemente, di un altro potere molto lontano nel tempo, per evitare censura e guai.

Qqeen Esther denouncing haman from Picryl

L’intento ufficiale dell’autore è di spiegare l’origine della festa di purim, festa che assomiglia un po’ al nostro carnevale, con il rogo di un fantoccio, il “perfido Aman”, e scene di festa per i bambini, che girano per le case a “saccheggiarle” di dolci. Su questo pretesto in fondo leggero si innesta anche una possibile riflessione sul potere, sulle persecuzioni contro gli ebrei, sulla provvidenza divina che nella storia non vuole imporsi e così lascia apparentemente spazio d’azione ai violenti. La storia, infatti, narra di un funzionario regio ebreo che, rifiutando di prostrarsi davanti ad un altro funzionario, ne causa l’ira; quest’altro, “il perfido Aman”, per vendetta convince il re a mettere a morte, in un giorno tirato a sorte, tutti gli ebrei. Il funzionario ebreo, Mardocheo, viene a sapere dell’ordine segreto e chiede alla regina Ester, ebrea, di convincere il re a cambiare le sorti del popolo. La vicenda si fa a tratti intricata, ma la morale del libro è quella di cogliere che di fronte al male potrebbe sembrare che Dio sia assente, mentre è invece all’opera, ma non con catastrofi inviate dal cielo, bensì mettendo alcune persone al posto giusto nel momento giusto e dando loro la possibilità di agire. Una provvidenza che non si sostituisce all’umano, ma lo affianca e lo aiuta, lo sostiene e lo incoraggia, senza prenderne il posto.

Per la storia, però, bastava dire che la regina era ebrea, magari spiegando come lo era diventata (e lo si fa: Est 2,2-18). In fondo, per la narrazione il re poteva anche non essere ancora sposato, o essere rimasto vedovo. Chi scrive questo libro, però, senza che ce ne sia bisogno, ci aggiunge un particolare scomodo, e un nome che verrà citato più volte, per evitare che lo dimentichiamo…

Una moglie ribelle

Il grande re Assuero, l’imperatore dell’enorme e invicibile stato persiano («dall’India fino all’Etiopia, centoventisette province»: Est 1,1), nel libro di Ester fa spesso la figura del sempliciotto, un po’ gradasso e un po’ ingenuo. Anche quando, a inizio libro, dà una festa lunga sei mesi per tutti i suoi funzionari, per mostrare la propria grandezza, seguita da un ulteriore banchetto di una settimana, al termine del quale, forse incapace di continuare a mostrare cose sempre più nuove e grandiose, decide di mettere in mostra anche la sua regina, Vasti, addobbata di tutto punto e con la corona in testa (Est 1,10-11). In fondo, pensava che forse anche a lei, a sua volta impegnata in banchetti, sarebbe piaciuto mostrarsi in tutta la propria gloria.

Lei, invece, si rifiuta!

Jacob meets Rachel and falls in love. Engraving by E. Jauras after P.F. Mola. Bible. O.T. Genesis 29.6-11. Scenes of shepherdfolk occur on the left-hand hillpath and in the middle distance. Sheep. Shepherds in the Bible. Kinship. Jacob (Biblical patriarch). Rachel (Biblical matriarch). Contributors: Pier Francesco Mola (1612-1666); Edme. Jauras. Work ID: kxutqk62.

Di fatto Vasti non fa nient’altro se non comunicare questo semplice “no”. Potrebbe sembrare una cosa da niente. Potremmo pensare che al limite sia lei a rischiare, davanti al re dei re, il più potente dell’universo. Nel racconto, però, si inizia a citare più volte l’inaudita autonomia della donna, che sconvolge la corte intera, secondo la quale Vasti rischia di diventare un esempio per tutte le altre mogli dell’impero, che potrebbero iniziare a «disprezzare i loro mariti» (Est 1,17).  È per questo, per il rischioso potere del suo esempio, che si decide di privarla della dignità regale e poi di sostituirla.

La donna che avrebbe anche potuto non essere citata per nome o non essere presente in questo libro, che parla d’altro, diventa pesantemente significativa, tanto è vero che nei soli due primi capitoli del libro il suo nome è citato ben diciotto volte, un’enormità. È come se un semplice atto di rispetto nei propri confronti, il rifiutarsi di essere ridotta a un trofeo in mano al re dei re, abbia scosso fino alle fondamenta un impero invincibile. Basta un “no” perché il re si trovi senza potere.

Tanto che ci verrebbe da dire che quel semplice atto di ribellione, o, per dire meglio, di tutela della propria dignità, sembra quasi diventare il fondamento di ben altro coraggio: tutto il libro si gioca intorno a un progetto di sterminio che neppure il re, quando lo scopre e vorrebbe bloccarlo, riesce a fermare. Sembra però quasi di sentire l’autore del libro che ci suggerisce: sarebbe bastato rifiutarsi di collaborare al male, come si è rifiutata una donna di cui non sappiamo null’altro se non il nome, ma un nome che continua a perseguitarci perché, con un tranquillo rifiuto, ha fatto vacillare l’impero persiano, lei, una piccola donna indifesa. Basterebbe assumersi le proprie responsabilità, prendersi cura della propria dignità, e il mondo sarebbe un posto migliore.

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