
Il cristianesimo è cresciuto anche intorno al culto dei martiri, di coloro che hanno testimoniato il vangelo fino alla morte. Il primo di questi, però, Stefano, è significativo e simbolico anche per altro.
Ebrei ellenisti a Gerusalemme
Bisogna però spiegare la situazione nella quale lui si trovava. L’impero romano aiutava i commerci e permetteva a molti di arricchirsi. Durante il i secolo d.C. (ma anche già un po’ prima) diventa relativamente frequente il caso di commercianti ebrei ricchi che vanno a finire la vita lontano da dove hanno lavorato, e tra queste mete una preferita è Gerusalemme, per dedicare una parte della propria esistenza anche allo spirito ed essere in prima fila all’arrivo del messia.
Possiamo facilmente capire che questi nuovi arrivati, benestanti, forestieri e abituati a ritenersi superiori, che parlavano il greco, la lingua di moda nel mondo, non fossero visti di buon occhio dagli abitanti del posto, che parlavano ebraico o aramaico, per lo più odiavano i romani e vivevano in buona parte dell’elemosina del ricchissimo tempio, uno dei sistemi di sicurezza sociale della Giudea. Certo, erano della stessa religione, ma la cosa non significava poi molto.
Potremmo pensare che tra i cristiani le cose andassero diversamente. At 6,2-6, però, ci dice che la stessa divisione si dà persino tra i cristiani. Le vedove degli “ellenisti”, ossia di coloro che parlavano greco, erano trascurate nelle elemosine. In una chiesa perfetta non ci sarebbe stato bisogno di ricorrere a quella elemosina, ma evidentemente Luca, quando ci ha detto che tutti mettevano tutto in comune (At 2,44; 4,32), aveva idealizzato un po’. Di fatto i Dodici si limitano a nominare sette diaconi, che facciano il lavoro al posto loro.
Luca ci dice che il loro lavoro era semplicemente di pensare alle vedove, ma in realtà cogliamo subito uno di loro, il più importante, Stefano, che predica il vangelo.
Si dice infatti che operi prodigi e segni (At 6,8), esattamente come Gesù (Lc 10,13) e che predichi ricolmo di Spirito e sapienza, come Gesù (Lc 2,52; 21,15 promette che così avrebbero fatto i discepoli). Viene quindi accusato da falsi testimoni di aver bestemmiato contro Mosè e la legge, come Gesù, e portato davanti al sinedrio, come Gesù. E si presenta sereno e luminoso come Gesù (At 6,15).
Il grande discorso di Stefano
Durante il processo, peraltro, sembra che sia quasi solo Stefano a parlare, con il più lungo discorso presente negli Atti degli Apostoli.
In questo parla quasi solo di Antico Testamento. Ricorda che Dio era con Abramo in Mesopotamia (7,2), con Giuseppe in Egitto (7,9), con Mosè sul Sinai (7,30-33), sempre lontano dalla terra promessa, terra che peraltro i primi patriarchi non ottengono in eredità (7,5): ossia, Dio non è legato ad un luogo. D’altronde, quando gli ebrei si sono legati ad un culto, questo è diventato presto idolatrico (7,41-43: dal vitello d’oro in poi). Insomma, Dio era con Israele quando il tempio non c’era (7,45-46), mentre la costruzione del tempio da parte di Salomone è stata sostanzialmente un fraintendimento della volontà divina (7,48-50), perché Dio non risiede in costruzioni umane: addirittura, “fatto da mano d’uomo” (v. 48) era la definizione degli idoli, ma è esattamente la descrizione del tempio. E ciò che era accaduto ai tempi antichi, il rifiuto dei veri profeti di Dio, si è rinnovato con Gesù (7,51-53).
Non ci sarà in tutto il Nuovo Testamento un altrettanto duro attacco contro il tempio, condotto a partire dall’Antico Testamento, da dentro al mondo ebraico. Di fatto Stefano afferma che chi va al tempio di Gerusalemme si espone al rischio dell’idolatria, che per gli ebrei era il primo e peggiore peccato. Significa ripensare radicalmente l’ebraismo, in un momento in cui i cristiani sostanzialmente si pensavano ancora degli ebrei che avevano incontrato il messia.

Il primo martire (At 7,54-60)
Chi ascolta Stefano capisce la portata del suo discorso. E reagisce come forse era inevitabile che facesse. Stefano ha appena affermato che il tempio, “il luogo che Dio si è scelto dove porre la sua dimora tra gli uomini” (Dt 12,5; Ez 37,27), per Dio è inutile. Si tratterebbe di blasfemia, punibile con la pena di morte, ma viene argomentata con argomenti biblici, quindi è ancora più incisiva e offensiva. Infatti in realtà Stefano non viene giustiziato in modo regolare, benché venga ascoltato davanti al sinedrio, ma viene linciato.
E muore come il suo Signore, affidando il proprio spirito a Gesù (At 7,59) come Gesù lo aveva affidato al Padre (Lc 23,46) e perdonando chi lo uccide (Lc 23,34; At 7,60), vedendo Gesù già pronto ad accoglierlo in paradiso accanto al Padre (At 7,56).
Assiste alla scena un Saulo (At 7,58) che viene citato per la prima volta ma diventerà importantissimo negli Atti: come fa spesso, Luca si prepara con intelligenza gli sviluppi successivi.
Ieri come oggi
È umano idealizzare gli inizi, pensare alla prima generazione cristiana come a un tempo paradisiaco. Luca stesso, che scrive gli Atti degli Apostoli, ci invita a guardarla come un modello.
Ma questo modello non è perfetto. La divisione tra ellenisti ed ebrei, che vigeva a Gerusalemme, si ritrova anche tra i cristiani. Quando gli ellenisti si lamentano, gli ebrei non pensano anche a loro, ma incaricano alcuni di pensarci. E non sembra che nessuno si sia mosso, tra i “giudei” (ossia, tra i cristiani che erano originari della Palestina), per difendere Stefano o gli ellenisti. I quali, da parte loro, fanno sorgere il sospetto di essere mossi all’odio per il tempio più dalla loro vicenda personale che da ragioni teologiche, anche se poi elaborano anche queste. Se fossimo stati contemporanei di Stefano, probabilmente lo avremmo definito attaccabrighe ed esagerato.
Ma lo Spirito si muove anche dentro a queste tensioni umanissime, Dio scrive dritto anche su righe stortissime, la chiesa cresce anche grazie al sangue di Stefano, il quale potrà anche sembrare eccessivo, ma paga con la propria vita, e il suo martirio si fa a immagine della morte di Gesù, perché sia più chiaro che con il suo Signore risorgerà.
Non tutto nella nostra chiesa è perfetto, ma questo valeva anche per la prima generazione cristiana. E lo Spirito si muove anche nelle nostre imperfezioni.
Angelo Fracchia, biblista