
Nella genealogia di Gesù che ci offre Matteo (Mt 1,5), prima di Maria compaiono quattro donne, l’ultima delle quali è Betsabea, madre di Salomone.
Se la scelta di Matteo è curiosa, ancora di più lo è la donna stessa in questione.
Una moglie oggetto?
La prima volta in cui troviamo in scena Betsabea, e la più nota, lei fa la figura di una semplice donna oggetto di concupiscenza maschile, di chi oltre al desiderio illecito mette in campo anche il proprio potere. Lei non dice e fa quasi niente, sembra semplicemente in mano ai giochi di altri.
È sposata a “Uria l’hittita”. Gli “hatti”, o “hittiti”, sono una delle popolazioni che secondo il libro di Giosuè erano rimasti presenti in Canaan dopo l’ingresso del popolo ebraico (Gdc 3,5). Anche se l’assonanza era probabilmente voluta e gradita da chi compone i libri dei Re, non ci dovrebbero essere rapporti con il più famoso e importante popolo degli hittiti che in Anatolia aveva costruito uno dei grandi imperi dell’antichità. In ogni caso, Uria non sembrava essere né tenuto a servire Davide, né costituire per lui un eventuale rischio: non avrebbe mai potuto diventare re al posto suo, in quanto non ebreo, ed era uno straniero che aveva deciso di servire il re degli ebrei. Come minimo, Davide doveva essergli riconoscente.
Capita però che l’esercito sia impegnato in una guerra contro i moabiti, e Uria, importante e valoroso soldato, sia in effetti arruolato. Il re, che dovrebbe guidare l’esercito, se ne sta invece nella capitale, e dal suo palazzo sopraelevato nota Betsabea che si bagna all’aperto, e la fa mandare a prendere. Poteva Betsabea rifiutarsi? Forse, ma era poi solo una donna, non apparteneva al popolo regnante, suo marito aveva deciso di mettersi al servizio di quel re. Avrebbe dovuto essere molto retta e pronta ad assumersi conseguenze pesanti. Le sarebbe stata richiesta una certa dose di eroismo, che lei non mette in campo. Ma non si possono rimproverare altri di non essere stati eroi.
Che cosa accada dal re lo attesta Betsabea stessa, quando gli fa sapere di essere rimasta incinta. E Davide a questo punto convoca Uria, con l’intenzione di mandarlo a dormire a casa. Uria, però, la persona più retta degli attori della scena, si rifiuta di andare dalla moglie mentre i suoi compagni sono accampati in armi. Allora Davide lo rimanda in battaglia, dopo avergli perfidamente consegnato una lettera per il capitano dell’esercito, nella quale si chiede che Uria sia messo in prima linea e poi abbandonato, per farlo uccidere dai nemici. Ciò che prontamente accade. Quindi, passati i giorni del lutto, Davide accoglie in casa Betsabea. Questa fa finora la figura di chi semplicemente è una pedina sulla scacchiera degli uomini.
Regina madre
Non sembra che negli anni successivi Betsabea si smarchi da questa condizione di subalterna. Il primo figlio concepito per Davide morirà. Ma gliene darà altri due, tra cui Salomone, “il pacifico”. Salomone non è il primo pretendente a succedere al trono di Davide, ma uno dopo l’altro questa lista di pretendenti al trono si sfoltisce.
E quando Davide inizia a invecchiare e a perdere la capacità di regnare, come in tutte le monarchie senza un chiaro regolamento di successione, iniziano le lotte. All’inizio del primo libro dei Re Salomone è il secondo in ordine di successione, preceduto da Adonia che inizia a farsi accompagnare da un corteo regale e a farsi trattare come nuovo regnante.
È a questo punto che Betsabea esce dal mutismo e dall’apparente anonimato. Informata e stuzzicata dal profeta Natan, va da Davide e gli chiede conto della festa di apparente intronizzazione che Adonia ha organizzato, con rappresentanti dell’esercito e del sacerdozio. «Hai promesso che dopo di te sarebbe salito al trono mio figlio Salomone, ma Adonia si sta facendo re». Di questa promessa non sapevamo nulla, ma Davide acconsente al desiderio della bella moglie. La quale fa in modo di convocare subito i sacerdoti e i maggiorenti del tempio, per ufficializzare la successione. Adonia arriva nella capitale in tempo per vedere la festa e, temendo per la propria vita, di fronte a quello che di fatto è stato un colpo di stato, si rifugia nel tempio e ottiene clemenza, a patto che resti leale a Salomone.
Non appena Davide muore, però, Betsabea mette in moto, fingendosi ingenua, gli avvenimenti che porteranno ad eliminare Adonia e tutti coloro che lo avevano sostenuto, in una catena di fatti che ricordano gli intrighi delle corti rinascimentali e di cui ci risparmiamo la sanguinosa ricostruzione.
Quale significato?
Non possiamo non chiederci il motivo per cui Matteo insista sulla presenza di Betsabea nella genealogia di Gesù.
Una donna che parrebbe semplicemente la bella ingenua, ma che al momento decisivo della vita di suo figlio si trasforma nella burattinaia dell’ascesa al trono del figlio, pur continuando a presentarsi come donna superficiale e ingenua.
Che così non sia pare comunque chiaro al lettore che non può non accorgersi di come non ci sia parola di Betsabea che non inneschi conseguenze importanti. Se lei non avesse detto a Davide “sono incinta”, non sarebbe morto Uria e non sarebbe nato colui che diventerà il re più importante, saggio e pacifico della storia di Giuda. Se non fosse andata da Davide a chiedere perché Adonia si faceva trattare da re, non sarebbe stata allestita l’incoronazione di Salomone. Se non fosse andata a parlare al figlio dopo la morte di Davide, non sarebbe iniziato il regolamento di conti del nuovo re.
Tutto si muove per causa sua, anche se non ne ha l’aria. E tutto si muove su intrighi ed inganni (in un contesto in cui questi sono di casa), ma la pretesa del testo è probabilmente che alla fine ciò che si persegue è il piano di Dio.
Forse, accostata a Tamar, Raab e Rut, serve a dire che Dio sa muoversi e costruire anche sui sentieri scivolosi e a tratti anche discutibili della storia. A margine, probabilmente voleva anche evidenziare che le tanto trascurate o addirittura disprezzate donne sanno muovere i fili della storia.
Angelo Fracchia