IL FRATELLO CATTIVO?

Picture by Lluis Ribes Mateu from Flickr- Esau and Jacobe – Museo Nacional del Padro – Madrid P005442- Not on view

La Bibbia non è innanzitutto un trattato di morale o di regole. Piuttosto è una raccolta molto varia di tante espressioni dell’umanità che prova a vivere in relazione con Dio. Insomma, è piena di personaggi. Alcuni dei quali sono ritenuti “cattivi”.

Può tuttavia valere la pena cogliere che almeno alcuni di questi si svelano, a una lettura più approfondita, più complessi e interessanti.

Nemici fin dall’utero

Esaù è figlio di Isacco e Rebecca, la quale, che era stata sterile, aveva partorito una volta sola, ma due gemelli.

Già da incinta sentiva che i due fratelli si facevano la guerra tra di loro nella pancia, tanto da andare a «consultare il Signore» (Gen 25,22: non ci è chiaro dove o in che modo), dal quale ottenne come risposta: «Due clan nel tuo ventre e due popoli dalle tue viscere si separeranno. Un popolo prevarrà sull’altro popolo e il maggiore servirà il minore» (Gen 25,23).

Il primo a nascere è il “nostro” Esaù, peloso e rossiccio, il che non è un bel segno perché di solito i neonati non sono tanto pelosi, e il rosso era ritenuto un colore pericoloso, negativo. Subito dopo, tenendogli il tallone in mano, ecco Giacobbe, che diventerà il patriarca del popolo ebraico.

I due fratelli non potrebbero essere più diversi: uno ama cacciare e andare in giro, l’altro preferisce restare nell’accampamento, dentro le tende, e semmai coltiva la terra; uno, Giacobbe, è il cocco della mamma, l’altro, Esaù, è il più amato dal padre. Ed è il primogenito, colui che era destinato a ereditare il meglio dei beni del padre (benché in questo caso non siano molti) e la benedizione divina.

Il sorpasso del secondogenito

Un giorno Esaù torna dalla caccia stanco, affamato e forse anche deluso da una battuta non fortunata. Trova a casa Giacobbe che sta mangiando una zuppa rossa e gliene chiede un po’. Il secondogenito ribatte che in cambio vuole la primogenitura. «Sto per morire, a che cosa mi serve essere primogenito?» (Gen 25,31), e giura a Giacobbe che gliela concederà. Si tratta di un giuramento, ci dice il testo di Genesi, anche se si potrebbe pensare praticamente a uno scherzo tra due fratelli. Più tardi, nel racconto, non sembra che Esaù si ricordi di quello che aveva detto.

In ogni caso, non basta quella parola tra loro, perché Isacco, quando si sente sul punto di morire, chiama Esaù e gli chiede di andare a cacciare e cucinare quello che avrà preso, per poi essere benedetto e ricevere quel famigerato diritto ad ereditare come primogenito. La madre sente il discorso, prende un capretto dal recinto, lo cuoce e in più ne mette le pelli sulle braccia del figlio preferito. In questo modo il padre, ormai cieco, potrà avere dubbi sentendo la voce di Giacobbe, ma, tastandogli le braccia, lo troverà peloso come Esaù e lo benedirà.

Questo è in effetti ciò che accade. Quando il cacciatore tornerà con la sua cacciagione per il padre, entrambi scoprono di essere stati ingannati. Non c’è possibilità di correggere quanto è stato fatto, il primogenito è diventato Giacobbe (Gen 27).

Noi a volte abbiamo in mente un percorso dei racconti biblici che può capitare sia un po’ una semplificazione. Qui, forse, ci ricordiamo che Esaù si infuri e minacci, come un pazzo, di uccidere il fratello, pur avendo in precedenza trascurato la primogenitura (Gen 25,34). Ma è proprio questo, ciò che racconta Genesi?

Un buon figlio

È vero che questo progetto di fratricidio, Esaù lo concepisce; decide tuttavia, per rispetto del padre, di aspettare la morte di quest’ultimo, che dovrebbe essere ormai imminente (Gen 27,41). La madre, venuta a sapere del progetto omicida, organizza la fuga di Giacobbe dallo zio Labano, pur presentando al marito questo progetto come finalizzato a far trovare al figlio una moglie che non sia di Canaan, ma dell’antico territorio abitato dal padre di Isacco (Gen 27,46).

Picture by Lluis Ribes Mateu from Flickr – The Reconciliation of Jacob and Esau – Scottish National Gallery – Edinburg NG 2397

Rebecca e Isacco si trovano infatti d’accordo sulla valutazione che non è bene che i figli sposino mogli “hittite”, ossia della regione in cui vivono. Esaù, in effetti, ne aveva sposate due (Gen 26,34) ma, scoperta l’irritazione che queste causano nei suoi antichi genitori, decide di prenderne anche un’altra, che non venga dalla terra di Canaan (Gen 28,9).

Dopo essere stato presentato come uno sconsiderato che non teneva in alcun conto il rapporto con il padre, insomma, Esaù è ritratto nell’atto di rimandare un progetto di morte (pur sempre un fratricidio…) ma semplicemente per non affliggere il padre e, con lo stesso intento, si cerca una moglie in più, meglio gradita ai genitori.

Capace di perdonare

Passano vent’anni. Isacco, peraltro, è ancora vivo. Esaù viene a sapere che il fratello ha intrapreso il cammino per tornare verso Canaan. A sentire il libro della Genesi, scopre solo più tardi che sta arrivando con due mogli, undici figli, molti schiavi e schiave e un gregge grande e forte. Esaù organizza subito un comitato d’accoglienza… composto da quattrocento uomini armati. Non ci viene detto che programma abbia, ma di solito non si allestisce un esercito per andare a banchettare.

Giacobbe prova ad addolcirlo mandandogli incontro doni, e nel dubbio preferisce dividere in due schiere tutti i suoi beni e familiari, mentre lui, personalmente… si pone dietro, a distanza, a guardare che cosa succede. Ognuno di noi reagisce alle provocazioni in modo diverso e non ci viene detto nulla sui sentimenti di Esaù, ma si può forse immaginare che vedere la ricchezza del fratello e la sua vigliaccheria forse non dovrebbe averlo disposto meglio.

Quando però, dopo il drammatico e profondo evento che Giacobbe vive al guado dello Jabbok (Gen 32,25-32), i due finalmente si incontrano e il gemello che sta tornando a casa si prostra a terra per ben sette volte, invocando pietà (Gen 33,3), Esaù ci sorprende. Corre incontro al fratello, lo abbraccia, lo bacia, si mette a piangere. Quindi, dopo le presentazioni, rifiuta i doni che gli sono stati offerti, rivendicando di avere abbastanza di che vivere (33,9) e poi li accetta solo davanti alle insistenze, quasi a garantire di non essere più offeso (33,11). Quando poi subisce anche l’ultimo gesto di sfiducia del fratello, che muove scuse per non marciare insieme a lui e ai suoi quattrocento uomini, dopo avergli offerto di tenerne solo alcuni, per sicurezza, accetta di andarsene da solo.

Il progetto antico di fratricidio potrebbe compiersi, ma quando Esaù ha in mano la possibilità, decide di perdonare.

Di più: quando il padre, infine, muore (Gen 35,29), non solo Esaù non riprende l’antico progetto di vendetta, ma lascia la propria terra al fratello (Gen 36,6-7), andandosene a vivere lontano, proprio come aveva fatto il nonno Abramo con il nipote Lot (Gen 13,2-11).

Quando, secoli dopo, gli ebrei guidati da Mosè e diretti alla terra promessa (di nuovo Canaan!) attraverseranno l’Idumea, ossia la regione dei discendenti di Esaù, Dio metterà in guardia dall’idea di fare loro violenza, invitando invece ad acquistare i beni necessari per vivere nel tempo in cui si fosse attraversato senza danni il loro territorio (Dt 2,4-8).

Una morale?

Forse non occorre sempre cercare un insegnamento morale nei racconti biblici.

Se però volessimo, qualcosa la figura di Esaù potrebbe insegnarci.

La Bibbia, che viene da una cultura semita, tende a ragionare in termini estremi, “bianco o nero”, “bene o male”. Quando però poi si avventura nei singoli personaggi, diventa più raffinata.

Esaù può essere l’“anti-Giacobbe”, il superficiale che ha rinunciato alla primogenitura e ha messo a rischio la vita del prediletto da Dio, l’antenato degli Idumei che saranno sempre nemici dei giudei, ma è anche un figlio che si preoccupa di non inquietare i genitori, che cambia i propri progetti per venire loro incontro, e che alla fine non persegue i suoi progetti di morte, ma sa rimettersi in discussione, accettando il furto ingiustamente subito e concedendo al fratello non solo la vita, ma anche la terra, nonché un abbraccio, baci e lacrime.

Come se non esista un malvagio tale da non essere aperto alla collaborazione con Dio.

Angelo Fracchia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *