UNA DONNA PARTIGIANA

Picture from PICRYL – Rahab et les deux espions bnf francais 12 fol 111 738f67 small

Nella genealogia di Gesù offerta dall’evangelista Matteo (Mt 1,1-16) si citano quattro donne, tra cui una prostituta. Che cosa c’entra? Perché Matteo la inserisce?

Il suo nome è Raab (o Racab, a seconda di come si decide di traslitterare una consonante che nella nostra lingua non esiste), abitava a Gerico, e la sua è una storia che ci conduce molto indietro nel tempo.

Un’invenzione letteraria?

Gerico è una città importante fin dai tempi antichissimi. Posta nella valle del Giordano, vicino alla sua foce nel Mar Morto, gode anche della risorgiva di acqua che ne fa un’oasi in uno dei contesti più afosi e profondi del mondo. Per questo è stata abitata dai tempi più antichi, sia pure non di continuo, fortificata numerose volte e altrettante distrutta. Anche nel libro di Giosuè, al capitolo 6, si racconta il crollo delle sue mura ciclopiche, che per opera divina cadono senza che gli ebrei debbano combattere.

Già da diverso tempo, tuttavia, e sia pure con qualche dibattito in merito, gli archelogi avrebbero dimostrato che al tempo in cui verosimilmente gli ebrei potrebbero essere entrati nella terra di Canaan, Gerico non era abitata. Il grande racconto della sua distruzione sembrerebbe essere stato inventato. D’altronde, negli stessi capitoli (Gs 7-8) si racconta anche la distruzione della vicina città di Ai, che era però stata abbandonata intorno al xviii secolo e mai più ricostruita.

Chi difende il testo sacro, nella sua interezza, come una fonte storica assolutamente affidabile e precisa ha tentato di armonizzare i dati archeologici con quelli biblici, ma non dobbiamo dimenticarci che i libri della Bibbia sono molto variegati: alcuni hanno pretese e dignità di libri storici veri e propri (sia pure con le modalità dell’antichità, che non sono le nostre), altri sono racconti che tendono più verso il leggendario. Gli uni e gli altri, peraltro, di solito non hanno come primo interesse quello storico, ma il senso religioso.

È probabile che i racconti di Gs 2-8 siano nati anche come resoconti popolari leggendari che volevano spiegare il motivo della presenza di ruderi di città ampie e poderose, difese da mura impressionanti ma ormai disabitate. Chi e come aveva potuto abbatterle? Di certo non aveva dovuto essere possibile senza l’intervento divino. Peraltro, il racconto della loro conquista è diventato anche l’occasione per mostrare la differenza tra un intervento nella storia che si fidi di Dio (nella conquista di Gerico, Gs 2; 5: le mura crollano senza che nessuno le tocchi) o che si affidi ad amuleti e alla forza umana (la presa di Ai, possibile solo dopo una prima sanguinosa sconfitta, e quando ci si sarà liberati da ciò che contesta la centralità di Dio: Gs 7-8).

All’interno di questi racconti, però, e in particolare di quello della presa di Gerico, si inserisce un episodio che di certo voleva essere anche edificante e incoraggiante, e probabilmente suggerire uno stile di comportamento.

Un aiuto imprevisto

Si narra infatti (in Gs 2) che Giosuè avesse inviato due esploratori a indagare sulle misure di fortificazione della città. Costoro entrano in casa di Raab. Il testo ebraico dice che Raab era una prostituta. Già alcune traduzioni antiche, forse per ridurre lo scandalo, la presentano come locandiera (professione che peraltro spesso si trovava a collaborare con le prostitute). Di certo non è una donna ricca né potente: la sua casa si trova a ridosso delle mura della città, ossia in una posizione debole, esposta ai rischi della guerra, non certo lussuosa o privilegiata.

Mentre i due esploratori sono a Gerico, il re della città viene a sapere che gli ebrei si stanno avvicinando e, sospettando (a ragione) che i due forestieri possano essere delle spie, reclama da Raab che gli siano consegnati per essere interrogati, torturati e magari uccisi. Lei però svia le guardie del re, sostenendo che gli esploratori siano già fuggiti, e li nasconde invece dentro a cesti di biancheria.

Quando le guardie si sono allontanate, li informa dello scampato pericolo e chiede loro che sia risparmiata la vita sua e dei suoi familiari. Lei, come altri abitanti della città, ha saputo le grandi imprese che Dio aveva compiuto con loro, e non vuole opporre resistenza, anzi vuole unirsi al popolo di quel dio meraviglioso. Di più, si ricorda di salvare anche i suoi parenti, di cui sappiamo che non vivevano con lei e forse, possiamo immaginare, potevano anche trovare la sua professione disdicevole.

Walters Art Museum from Flickr Illuminated Manuscript Bible – Joshua in silver armor leads the assault on Jericho Walters Manuscript W.805 fol. 124v

Gli esploratori le promettono che saranno risparmiati, se lasceranno all’esterno un segno di riconoscimento e tutti saranno radunati in casa. Quindi Raab li fa scappare calandoli dalla finestra fuori dalle mura della città, che nel frattempo erano state chiuse, e li invita a nascondersi per tre giorni, prima di tornare nel loro accampamento.

Quando, pochi giorni dopo, le mura della città di Gerico cadranno davanti alle trombe degli israeliti, Giosuè vieterà che sia fatto del male a Raab e famiglia, che «è rimasta in mezzo ad Israele fino ad oggi» (Gs 6,25).

Il senso di un racconto

Se la storia della conquista di Gerico è stata inventata, dobbiamo pensare che quella di Raab sia vera?

Non lo sappiamo. Sappiamo però che anche se fosse stata inventata si tratterebbe di una vicenda autentica, utile, che parla di Dio e dell’uomo che entra in relazione con lui.

Il senso, in origine, doveva allora essere che la lotta per entrare nella terra di Canaan, in quella che il libro di Giosuè presenta come una conquista armata (anche se avrebbe interessato solo una piccola parte del territorio; e sappiamo che quella ebraica deve essere stata più che altro una lenta e progressiva infiltrazione…), non era tuttavia stata una lotta etnica. In quel libro si dice spesso che tutti “i forestieri” avrebbero dovuto essere distrutti (pur facendo poi l’elenco delle popolazioni che rimasero nel paese)… ma la vicenda di Raab sta a dimostrare che chi si fosse schierato dalla parte del Dio d’Israele, aiutandone i protetti, sarebbe stato protetto a sua volta, perché l’adesione a Dio, persino in tempi antichi, non dipende innanzitutto dal sangue, dalla genealogia, ma dalla presa di posizione, dal decidersi per Dio.

Matteo, poi, inserisce forse Raab nella sua genealogia per un altro motivo: la vicenda umana di Gesù si iscrive in una storia umana, fatta di impurità, di scelte apparentemente sconvenienti, di situazioni imbarazzanti. Dio, però, non si vergogna di entrare in questa umanità. Solo, cerca persone che siano autentiche, che si mettano in gioco, che sappiano prendere una decisione anche quando è per loro rischioso. È la stessa ammirazione che ritroviamo nella lettera agli Ebrei e in quella di Giacomo, che lodano la sua fede in Dio, che si traduce in scelte concrete ed esigenti (Eb 11,31; Gc 2,25).

Angelo Fracchia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *