Mille modi di dire GRAZIE

Un’esperienza di molta gratitudine e infiniti modi di dire grazie, in un racconto dalla Bolivia

Suor Marisa sta partendo con la Jeep per fare alcune commissioni nella cittadina più vicina, quando vede al bordo della strada la signora Lidia con il suo piccolo avvolto in un aguayo: si ferma e la invita a salire, poiché sa che i due kilometri e mezzo che la mamma deve percorrere a piedi con il bambino di dieci kili sulla schiena, sono molto pesanti per la donna.

Lidia è una giovane signora con 6 figli, che abbiamo visto nascere (alcuni) e crescere (tutti): le tre figlie maggiori venivano alla nostra mensa di Vilacaya, mentre i tre più piccoli sono ancora con la mamma, nella loro comunità di Mulahara.

Mentre scende dalla Jeep, Lidia dice a suor Marisa: “Hermanita, Marilyn arriva oggi a casa: ha finito gli studi approvando l’esame finale! Venite stasera, le prepariamo una cena, e vogliamo ringraziarvi per tutto l’aiuto…”.

La sera, Marisa ed io ci presentiamo alla casa della famiglia, dove ci accolgono due bimbi festosamente, con sorrisi sdentati e abbracci “da orso”: nella piccola cucina ci sono già i due nonni e una zia: ci sediamo a tavola e iniziamo la cena, preparata con tanto amore da Mamma Lidia: la minestra di arachidi, capra arrosto con fave, mais e patate: proprio i piatti della festa. Discorriamo serenamente, chiedendo alle due figlie più grandi – Marilyn ed Evelyn – come stanno, dopo tanto tempo che non le abbiamo viste. Infatti, le due giovani studiano lontano in una casa per infermieri e vengono a casa solo dopo mesi di studi o tirocinio.

Finito il pasto, iniziano i “rituali” di ringraziamento: ci stupiamo come le due ragazze, di solito molto taciturne, iniziano a parlare, ringraziando la famiglia e noi sorelle che le abbiamo aiutate economicamente a studiare. In piedi, una per volta, parlano, confidando le fatiche e i sacrifici vissuti negli ultimi due, tre anni: le lacrime scendono sui visi, un misto di sfogo, di emozione, di riconoscenza, di commozione, di gioia e di tristezza. E’ impressionante come si possono provare tante emozioni allo stesso tempo, ma l’esperienza insegna che sì, ci sono momenti in cui tutto quello che abbiamo nel cuore fluisce, sgorga come una sorgente, pura espressione di vita.

Mamma Lidia inizia a piangere anche lei, e la pandemia dell’emozione tocca tutti i presenti.

Gli adulti iniziano a dare consigli, a congratularsi e a incoraggiare Marilyn, quindi la salutano con coriandoli bianchi sparsi sulla testa, come consuetudine nelle Ande verso i festeggiati.

Anche noi le dimostriamo la nostra gioia, e le assicuriamo che il peggio è passato: giorni senza mangiare per mancanza di soldi, commenti maligni di persone che non scommettevano un centesimo su di lei, la paura del nuovo e la lontananza da casa. Sono stati anni lunghi ed intensi, che hanno debilitato molto la salute della ragazza. Speriamo e preghiamo che possa riprendersi ed iniziare a lavorare, ma già con il progetto di poter continuare lo studio infermieristico.

Ritorniamo a casa con una borsa di cibo per suor Maria Elena, che non è potuta venire alla cena, ed un’altra con cipolla e lattuga fresca dell’orto, un altro segno di gratitudine per l’appoggio dato. Salutiamo Lidia e le diciamo che questo titolo di studio è anche suo: fatto delle sue corse disperate in cerca di soldi, delle capre che ha allevato e venduto, delle esplorazioni in posti sconosciuti per portare le figlie in un luogo lontano. Tutto frutto di una donna che ha studiato solo fino a quinta elementare e non è mai uscita dalla sua comunità, ma ha dimostrato coraggio e determinazione nel volere che le sue figlie possano realizzare i propri sogni. Ce l’ha quasi fatta: adesso a Marilyn manca solo l’arrivo del diploma infermieristico, e già arrivano offerte di lavoro, mentre a Evelyn manca l’ultimo tirocinio in ospedale e la tesina finale.

Cibo, abbracci, sorrisi, lacrime, parole, doni, coriandoli: i mille modi di dire grazie in una piccola comunità andina di Bolivia.

Suor Stefania, mc

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