SINODALITÀ NELLE PRIME COMUNITÀ CRISTIANE

Communion of the Apostles Photo by Ted from Flickr

Papa Francesco aveva indetto il Sinodo dei Vescovi del 2022 sul tema: “Per una Chiesa sinodale”. Sinodalità deriva da sùn e odòs (letteralmente “strada con”, cioè “camminare con”, “camminare insieme”). Gesù, prima della sua Passione, aveva pregato: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi… Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,11. 21).

La prima Chiesa, quale ci è presentata dagli Atti degli Apostoli, è un modello di questa ricerca di collegialità e di comunione, anche se talora contrastata e faticosa. Se certe decisioni sembrano di facile unanimità, fatte “con tutta la Chiesa”, come la scelta del successore di Giuda, l’istituzione del diaconato e l’invio di alcuni missionari come Paolo e Barnaba o Giuda Barsabba e Sila, altre questioni lacerarono la prima Comunità, come quella se fosse possibile condividere la mensa con i pagani e se questi dovessero sottostare alle norme della legislazione ebraica, compresa la circoncisione. Si ebbe uno scontro feroce tra i giudeo-cristiani, ebrei convertiti, e gli etno-cristiani, quelli cioè provenienti dal paganesimo, problema che nemmeno il famoso compromesso del Concilio di Gerusalemme riuscì a risolvere (At 15,5-35).

Ma gli Atti degli Apostoli ci propongono un ideale che va ben più in profondità rispetto al prendere decisioni condivise. La prima Chiesa è proposta innanzitutto come esempio di koinonìa: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella koinonìa, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). Il termine koinonìa riprende il significato della radice khabar, “unire”. Esso non compare mai nei Vangeli: in Paolo la koinonìa si fonda nell’unità della fede in Dio da cui deriva la comunione reciproca.

Si è molto discusso sul significato di koinonìa. Secondo Bauer significa intima relazione interpersonale e i gesti concreti che esprimono questa comunione. Per Menaud indica la comunione spirituale, quella materiale, quella eucaristica, quella ecclesiale. Anche Benedetto XVI vi vede un aspetto giuridico, la comunione apostolica, un aspetto sacramentale, la comunione eucaristica, e un aspetto pratico, il carattere sociale. Ma, come afferma Dupont, koinonìa è termine molto concreto, che non esprime soltanto generica comunione di sentimenti: negli Atti si parla di koinonìa come di perfetta unione di cuore e di beni. Esprime un doppio movimento: centripeto, il mettere tutto in comune, e centrifugo, partecipare dei beni di tutti. Questa tangibilità di comunione è espressa sia in termini negativi: “Nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva” che in modo positivo: “Ogni cosa era fra loro comune”, “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). L’espressione “un cuore solo e un’anima sola” è tipicamente biblica e indica totalità: la troviamo nel comandamento di amare Dio (“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”: Dt 6,5) e nell’invito a interiorizzare la Parola di Dio (“Porrete dunque nel cuore e nell’anima queste mie parole”: Dt 11,18). “L’atteggiamento dei cristiani è agli antipodi dell’individualismo egoista del ‘ciascuno per sé’; è invece sollecitudine per gli altri… La carità cristiana è, inscindibilmente, unione delle anime e fraterna spartizione con coloro che sono nell’indigenza” (J. Dupont). Koinonìa non è quindi tanto “unione fraterna” o “vita comune”, come spesso le nostre Bibbie traducono, ma è una vera e propria “logica di comunione” che spinge ad una condivisione totale. Questa koinonìa è opera dello Spirito Santo, è un atto carismatico. Entrambi i “sommari” lucani che negli Atti parlano di essa sono presentati dopo racconti di effusione del Paraclito (At 2,1-41; 4,23-31).

Duccio Christ preaches the apostles Photo by art Gallery ErgsArt from Flicker

Luca sa bene che la comunione dei beni, che egli presenta come carattere distintivo della Prima Chiesa, non è una novità per il mondo giudaico: coloro che vivevano a Qumran già la praticavano, come realizzazione della promessa di Dio al Sinai: “Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi” (Dt 15,4). “La comunità di Gerusalemme doveva apparire ai lettori come il luogo privilegiato ove si realizzavano le promesse dell’Antico Testamento… cioè la comunità escatologica degli ultimi tempi” (M. Del Verme).

Luca sa anche che i suoi ascoltatori greci ricordano che la comunione dei beni è tipica delle descrizioni della mitica “età dell’oro”, quando gli uomini vivevano felici e ignoravano la proprietà privata. La formula usata da Luca: “pànta koinà eìkon”, “avevano tutto in comune” è ellenistica, non biblica. Per l’evangelista la prima comunità cristiana è la realizzazione definitiva del piano di Dio, ormai compiutosi in Cristo, segno dell’avvento del Regno dell’amore, ed esempio, anche per i pagani, di vera fraternità.

“La comunione tra i credenti comporta quella comunità che si pratica anche a livello dei beni materiali” (J. Dupont). L’episodio di Anania e Saffira (At 5,1-11), fulminati per non avere condiviso il ricavato della vendita di un terreno, è probabilmente “un midrash giudeo-cristiano che, partendo da un nucleo storico, non facilmente isolabile oggi” (M. Del Verme), vuole sottolineare che chi non vive con i fratelli una realtà concreta di condivisione è persona morta, è fuori della comunione ecclesiale, è “s-comunicato”.

“Finché non siamo una cosa sola, il mondo non comprenderà mai il cristianesimo… L’unica prova che Cristo ha fornito per la Fede in lui è che siamo consumati nell’unità: allora il mondo crederà che Egli è venuto da Dio. Questa prova è la Chiesa: un solo capo, un solo Spirito, una stessa beata speranza, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti. Questa consumazione nell’amore è la Chiesa… Si tratta di un impegno quotidiano della fatica nostra e di Dio” (D. M. Turoldo).

di CARLO MIGLIETTA

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