
C’è una festa ebraica che ricorda molto il carnevale, pensata per bambini e ragazzi che si travestono e per due giorni fanno festa, brindano e ballano. Tutte le tradizioni umane hanno un tempo del genere durante l’anno, spesso senza che sia particolarmente motivato.
Nel caso ebraico, invece, c’è addirittura un libro biblico che ne spiega l’origine, e ne approfitta per approfondirne il significato.
La storia
Si racconta nel libro di Ester che il re Assuero avesse una moglie alla quale chiede di presentarsi ai suoi invitati, per mostrarne la bellezza. La regina, di cui non risentiremo più parlare, si rifiuta di farsi trattare da oggetto da esposizione, e viene segregata lontano dal re, che si mette a cercarne una sostituta. Questa alla fine viene trovata in Ester, una ebrea che non dichiara il proprio popolo d’origine e che viene incoronata nuova regina.
Nel frattempo però la vita di palazzo prosegue, con tutti i suoi intrighi. Tra i più alti dignitari del regno vi sono Mardocheo, un ebreo che si era fatto benvolere dal re anche perché aveva sventato una congiura ai suoi danni, e Aman, geloso della benevolenza che Mardocheo si è guadagnata, anche perché questi evita di prestargli gli onori quasi divini che pure il re gli aveva assicurato. Aman, quindi, trama per organizzare uno sterminio dell’intero popolo di Mardocheo, fissandone a sorte un giorno preciso e stabilendo anche ricompense e rimborsi per chi ne fosse stato danneggiato.
Mardocheo viene a sapere dell’editto e si mobilita per rimediare al rimediabile. In particolare, chiede alla regina di intercedere presso il re. Lei gli fa sapere di non poter decidere di presentarsi al cospetto di Assuero, perché chiunque lo faccia viene condannato a morte a meno che il re voglia graziarlo sul momento. Di fronte alle insistenze di Mardocheo, però, acconsente, entra dal re, che, abbagliato dalla sua bellezza, non solo la salva, ma si dichiara disposto a darle ciò che vuole. Lei chiede che si dia un banchetto alla presenza di Mardocheo e di Aman, e solo là gli confiderà il suo desiderio.
La notte successiva il re non riesce a dormire e si fa leggere le storie del regno, che gli ricordano il beneficio che aveva ricevuto da Mardocheo. Con questa preparazione, il giorno successivo accoglie con favore la richiesta di salvezza del popolo ebreo che gli rivolge la regina, condannando Aman alla morte che lui aveva preparato per il suo nemico.
Siccome però l’editto non è annullabile neppure del re, in quanto era stato timbrato dal suo sigillo, comanda di inviare messaggi in tutte le province per assicurare che gli ebrei sappiano del pericolo e siano forniti di tutto ciò che loro serve per salvarsi. Il giorno che era stato tirato a sorte (pur) per cancellare dalla terra il popolo ebraico, ha visto rovesciarsi le loro sorti in un giorno di vittoria e di salvezza. Per questo, da allora in poi, ragazzi e bambini festeggeranno quel tempo travestendosi, cambiando in qualche modo la propria sorte, sia pure solo per due giorni.
Le scelte del narratore
La storia, in questo riassunto, non pare né particolarmente avvincente né troppo affascinante. Intrighi di palazzo, violenza e invidie.
Chi la racconta, però, decide di avviarsi in una narrazione intricata, lenta, lunga, così da accrescere la suspence. Le vicende si dipanano a fatica, e quasi viviamo l’ansia della propria sorte insieme a Mardocheo, a Ester. In una tradizione narrativa che preferiva andare direttamente al dunque, l’autore di questo libro sceglie invece di rallentare, di farci preoccupare, di darci il tempo di coinvolgerci nelle vicende dei protagonisti.
Da una parte presenta i potenti del mondo non solo avviluppati in gelosie e ripicche che sembrerebbero poco dignitose anche per persone vili, ma anche incapaci di prevedere le conseguenze delle proprie decisioni. Assuero usa la sua regina solo per la propria vanità, e poi si accorge di doverla sostituire; riconosce a Mardocheo la bontà di averlo salvato, ma poi se ne dimentica; concede ad Aman il potere di mandare a morte un popolo intero, ma di fatto si scorda persino di averlo fatto; riconosce di aver sbagliato, ma non può disfare il male che ha concesso. I potentissimi della terra, coloro che pretendono di reggere le sorti del mondo, si mostrano in realtà dei poveracci incapaci di gestire in modo intelligente non le sorti del loro impero, ma addirittura quelle della loro vita privata. E questo, per i poveri e piccoli, significa restare esposti a pericoli mortali, come per il popolo ebreo.

Dall’altra parte, però, se c’è una presenza di Dio che è attivo, presente e salva i suoi piccoli e oppressi, questa salvezza non si dà in modo prodigioso, miracoloso, ma chiede la collaborazione attiva degli esseri umani. Una collaborazione che si fa intelligenza, intuito, coraggio, e che chiede di mettere in gioco tutti gli strumenti a propria disposizione, anche quelli che potremmo ritenere meno dignitosi o giusti: Mardocheo sfrutta la sua posizione per venire a conoscenza di segreti di stato, Ester seduce il re con la propria bellezza, entrambi non si fermano di fronte alla morte del loro avversario, per garantire la vita al loro popolo oppresso.
Si potrebbe leggere la vicenda di Ester e Mardocheo semplicemente come una storia di palazzo, una vicenda come tante, senza alcun intervento divino. Nello stesso tempo, però, i protagonisti sono sicuri di essere protetti e accompagnati, anche se questo non toglie loro l’ansia e il pericolo mortale: la bellezza di Ester non è da lei ricercata ma è dono divino, il ruolo di Mardocheo non è frutto di una carriera intenzionalmente scelta ma di un intervento di salvezza nei confronti del re, la riconoscenza di Assuero nei suoi confronti dipende dalla rilettura di storie che si è fatto portare perché proprio in quella notte davvero non riusciva a prendere sonno.
Esiste una morale?
Chi ha scritto il libro di Ester voleva forse, in partenza, solo raccontarci da dove veniva la tradizione di Purim.
Ma ne ha approfittato per convincere i suoi lettori di altre cose, collegate.
Che Dio c’è, e interviene, anche se spesso il suo modo di farsi presente nella storia resta segreto, mezzo nascosto, invisibile a chi non lo voglia vedere. Che i fedeli di Dio vengono ricordati, salvati, protetti. Ma che Dio non interviene in modo prodigioso, e chiede agli esseri umani di utilizzare intelligenza, acume, attenzione, pazienza. Vuole forse anche dire che non ci sono strumenti sbagliati, inopportuni, ma a essere significativo è l’intento di fare del male o di salvare; se lo scopo è di soccorrere degli oppressi, anche il potere e l’influenza sui potenti possono essere utilizzati in modo proficuo e buono, apprezzato da Dio. E forse intende anche incoraggiare i suoi lettori: il potere è spesso brutto e cattivo, ma può anche svelarsi come salvifico, e soprattutto non ha nulla di divino, è spesso ingenuo e ingannabile, superficiale e vanesio. Chi però cresce alla presenza divina sa andare al cuore di ciò che davvero nella vita umana è significativo.
Angelo Fracchia