
“Hadàssa, cioè Ester”: questo è il doppio nome della protagonista dell’omonimo libro biblico (2,7). E mentre il nome ebraico Hadàssa sembra essere riconducibile a hadàs, il “mirto”, la pianta che costituisce uno dei simboli del ritorno d’Israele dall’esilio babilonese verso la propria terra, secondo quanto scrive il profeta Isaia: “Invece di ortiche crescerà mirto” (Is 55,13), il nome Ester pare piuttosto orientarci verso uno scenario pagano, come ci suggerisce il nome della dea Ishtar, divinità mesopotamica già rilevante in epoca assira, il cui culto era associato all’amore e alla guerra. Agli esuli ebrei questa divinità doveva essere ben nota fin dalla loro deportazione a Babilonia (586 a.C.), e ancora all’epoca persiana della nostra protagonista; l’ingresso settentrionale della città di Babilonia, infatti, attraverso la via processionale, terminava proprio alla monumentale porta di Ishtar. La letteratura rabbinica, però, riconosce nel nome Ester la radice del verbo ebraico satar, “nascondere”, ed è forse questo il significato che più richiama la vicenda del nostro personaggio.
Ester, anch’essa deportata, è un’orfana ebrea della tribù di Beniamino che viene adottata dallo zio Mardocheo, funzionario del re persiano Assuero. Donna di straordinaria bellezza è scelta dal re, che ignora la sua origine, come seconda moglie: diviene, così, la regina di una gloriosa potenza mondiale.

Ci possiamo chiedere, a questo punto, a quale nascondimento faccia riferimento il nome Ester. Innanzitutto, essa tiene nascosta la propria origine giudaica. Il testo non ne svela il motivo: forse per timore, o forse per uno scopo allora ancora sconosciuto alla stessa fanciulla, come possiamo intuire dalle parole dello zio Mardocheo: “Chi sa che tu non sia stata elevata a regina proprio per una circostanza come questa?” (4,14). Il suo celamento, difatti, le consentirà di potersi esporre per salvare il suo popolo, e così venire allo scoperto. Le parole dello zio, a questo proposito, rivelano l’intento di Ester: “Non pensare di salvarti da sola fra tutti i Giudei, per il fatto che ti trovi nella reggia” (4,13). Ecco: la salvezza del singolo sta in rapporto alla salvezza della collettività. Manifestandosi pubblicamente, essa eviterà lo sterminio degli ebrei residenti nel regno Persiano, e farà condannare il fidato ministro del re, Haman, che aveva tramato contro Mardocheo e i giudei.
La vicenda di Ester si dipana, così, fra occultamento e svelamento: “Ester indossò le sue vesti da regina e si presentò nel cortile interno della reggia, di fronte all’appartamento del re” (5,1); il precedente silenzio si risolve nelle parole che rivolge al marito Assuero durante il banchetto: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, o re, e se così piace al re, la mia richiesta è che mi sia concessa la vita e il mio desiderio è che sia risparmiato il mio popolo. Perché io e il mio popolo siamo stati venduti per essere distrutti, uccisi, sterminati” (7,3-4). Ester dichiara la sua vera appartenenza nell’atto stesso in cui chiede la salvezza per il suo popolo, e questa determinazione muta la storia, costituisce il rovesciamento della vicenda umana verso una risoluzione di bene.

Ma c’è un altro nascondimento nella persona stessa di Ester: lei è la donna della generosa donazione di sé, ed è la donna nella quale si rivela anche l’azione nascosta e misteriosa di Dio. Proprio in una condizione di vita come quella attraversata dal suo popolo, in diaspora, lontano dalla propria terra, dove i luoghi classici della presenza divina sono venuti a mancare, come nel caso del Tempio, la presenza di Dio può manifestarsi attraverso l’azione di personaggi improbabili come la nostra protagonista.
Si tratta di continuare a credere in un Dio che resta celato, velato, che preferisce agire nelle pieghe della storia e in avvenimenti effettivamente consegnati alla libertà delle persone, ma comunque presente. Il popolo di Ester deve imparare ad abitare con fede nuovi spazi e nuovi luoghi, non più la Giudea ma la Persia, non più Gerusalemme ma Susa. In realtà, il Dio della Bibbia non è un Dio esclusivamente “nazionale”, circoscritto entro precisi confini territoriali: è un Dio che accompagna gli esseri umani sempre, ovunque essi si trovino. L’epoca della diaspora del popolo giudaico insegna che Dio si fa trovare nelle vicende della sua gente, e opera attraverso persone concrete come la giovane Ester.
L’episodio della nostra protagonista, inoltre, insegna che proprio nei momenti di diaspora, nei momenti di disorientamento per mancanza di riferimenti, donne e uomini sono chiamati a compiere la loro parte di storia: l’apparente assenza o il nascondimento di Dio risveglia la responsabilità di diventare protagonisti attivi del suo progetto di salvezza; di esercitare, qui e ora, una consapevolezza da credenti, per se stessi e per gli altri, proprio come ha fatto Ester.
È attraverso la sequenza degli avvenimenti storici che si palesa, con graduale chiarezza, la volontà e l’azione salvifica di Dio, anche quando sembra che Egli sia assente o poco partecipe. E l’episodio di Ester rivela come la salvezza può darsi solo grazie alla collaborazione attiva e intelligente di persone concrete. Il nascondimento di Ester rimanda alla capacità di discernere, vale a dire di comprendere, il momento in cui intervenire; si rivela nell’esercizio manifesto dell’amore verso il suo popolo, e infine nella perseveranza del credere al progetto di Dio, che lo avrebbe, in qualche modo, certamente condotto verso la terra promessa.

Ed è così che il capovolgimento del pericolo iniziale di sterminio per la stirpe di Ester ci consegna anche una risposta chiara al problema della sofferenza dei giusti: il bene si fa strada pur in presenza di cattive volontà da parte degli uomini. “Piccola sorgente che divenne un fiume” (10,3c), così Mardocheo definisce Ester, quale metafora di grandi cose realizzate nel silenzio e con tenace soavità. La metafora dell’acqua in rapporto alla missione di Ester disegna la dinamica attraverso la quale il bene si sviluppa: sebbene tale rivolo sembri scomparire perché segue percorsi sotterranei e quindi impercettibili da un occhio che si ferma in superficie, la sua corsa è inarrestabile, perché esprime l’incontro fra la volontà di Dio e la volontà libera dell’essere umano che sceglie di aderirvi, e che, unite, conducono a esiti di bene.
Semplice e limpida, retta e coraggiosa, Ester è la trasparenza del bene dentro un groviglio di intrighi, di gelosie, di odi e di lotte per il potere, oltre che di tradimenti. Dapprima scorre umile e nascosta, poi emerge di sorpresa, cresce sicura, fino a travolgere e a sopraffare il male.
Il Libro di Ester è letto nella festa del Purim, celebrata un mese prima della Pasqua ebraica, nel mese di Adar, marzo. Essa ricorda la sorte ‘scampata’ del popolo giudaico, quell’evento straordinario, insolito, di una persecuzione mancata.
DI MARIA RITA MARENCO
DOCENTE DI SACRA SCRITTURA E SCIENZE BIBLICHE