Fuga dall’Afganistan – parte seconda

Riprendiamo il racconto della famiglia afgana rifugiata in Italia. La prima parte si trova qui

Primo tentativo di raggiungere l’aeroporto

Abbiamo visto i Talebani sulla strada principale che va all’aeroporto, loro erano dappertutto e ci guardavano. Siamo arrivati vicino all’aeroporto verso le 19. Mentre la notte scendeva, arrivava la gente con bambini. I Talebani ci insultavano dicendo che eravamo i servi degli stranieri e adesso stavamo andando, che noi eravamo infedeli e loro potevano fare qualsiasi cosa con noi. Un talebano mi ha fermato e mi ha chiesto dove stavo andando. Ci eravamo detti con mia moglie che qualsiasi cosa fosse successo a uno di noi, di non aspettare ma continuare avanti finché non fossero al sicuro. Ho risposto che stavo andando a casa. Mi ha chiesto dove lavoravo e se ero uno spia. Gli ho risposto di no, io non lavoravo qui ma vengo dall’estero e sto tornando. Lui mi chiese il passaporto. Ho avuto molta paura perché non c’era un visto, lui mi ha detto “okay, vai vai”. Ho raggiunto la mia moglie che mi aspettava all’angolo. Eravamo felici di essere nuovamente insieme.

Abbiamo visto tanta gente venire e la situazione diventava molto stretta perché la folla aumentava. Con la mia famiglia eravamo fermi sulla strada. Abbiamo visto i Talebani picchiare le persone, alcuni di loro erano presi da parte. I miei figli erano terrorizzati e mi chiedevano cosa farebbero se loro mi prendessero. A mezzanotte, in un momento nel quale la gente ha corso verso il cancello, il mio secondo figlio è caduto sotto i piedi della gente. Io avevo sulle spalle il figlio più piccolo di 4 anni per cui non lo potevo prendere. La mia moglie gridava per aiuto ma nessuno ascoltava. Di improvviso ho visto un uomo che lo ha presso e lo ha sollevato e mi chiedevo se fosse vivo o morto, ma l’ho visto muovere gli occhi. Non so chi abbia aiutato mio figlio per non morire calpestato sotto i piedi di migliaia di persone. Cercavo acqua, ma non c’era, ho trovato mezza bottiglia di acqua e l’ho versata sul suo volto e continuammo verso il cancello. È stato molto difficile, abbiamo cercato di resistere nella speranza di trovare un futuro migliore e sicuro.

Al mattino siamo arrivati vicino al cancello, il telefono non aveva rete. Ad un certo punto ho osservato che il telefono squillava. Quando ho risposto, una voce maschile mi ha detto in inglese “Come stai? Dove sei?” Ho risposto che ero vicino al cancello indicato. Mi ha chiesto di avvicinarmi. È stato un momento molto difficile e pericoloso, persino due persone sono morte. Il pensiero di arrivare ci spingeva. La condizione di mio figlio più piccolo non era buona, gli mancava l’ossigeno e non c’era acqua.

Di nuovo ho ricevuto una telefonata dal carabiniere. Gli ho detto che eravamo ancora lì ma era molto difficile raggiungerlo. Mi ha chiesto di alzare una sciarpa rossa e l’ho fatto. In questo modo lui mi ha riconosciuto. Ha scritto un sms chiedendomi di continuare a provare. Finalmente abbiamo raggiunto il cancello and eravamo così felici pensando di essere al sicuro. Il carabiniere era su un container e noi eravamo sotto in mezzo alla folla.  Il carabiniere ha provato in modi diversi ma non è riuscito a farci entrare dal cancello. Un sentimento strano mi ha invaso, inizialmente eravamo felici pensando che il carabiniere ci avrebbe preso e adesso ci sentivamo completamente senza speranza. I talebani sono arrivati e picchiavano tutti cacciandoci via, anche io ho preso i colpi. Siamo andati via. Eravamo così tristi di non poter entrare nell’aeroporto, eravamo senza acqua e senza cibo. Per undici ore non abbiamo preso acqua, non siamo andati al bagno e abbiamo ricevuto insulti e violenze dai talebani. Tutti eravamo così scoraggiati, ma non avevamo altra scelta se non ritornare a casa. Ci chiedevamo cosa fare, avevamo tanta speranza di poter uscire dal paese. In questo momento il carabiniere ha telefonato e mi ha fatto parlare con un uomo in Dari che ha detto di tornare di nuovo la notte successiva da un altro cancello. Eravamo ancora sulla strada di ritorno quando ho ricevuto un messaggio dal carabiniere: “Ciao Atal, mi dispiace tanto per questa mattina. Ho fatto il mio meglio. Ci vediamo domani mattina”.

Siamo tornati tutti a casa ma non sapevamo se rimanere insieme. Mia mamma ha preparato riso e fagioli. Eravamo tanto stanchi e tristi. Abbiamo mangiato e poi, con mia moglie pensavamo fosse meglio lasciare i figli a casa e provare a uscire solo noi due. Ho informato la mia amica di questa alternativa e lei ha risposto che questa era la nostra decisione, ma ci ha chiesto come potremmo essere tranquilli e in pace se i nostri figli non sono con noi? Ci ha chiesto di riflettere nuovamente. Abbiamo parlato con mia moglie di nuovo e abbiamo deciso di provare nuovamente di raggiungere l’aeroporto con i figli, se avessimo lasciato i figli in Afghanistan e noi fossimo venuti via, i talebani li avrebbero uccisi. Ho telefonato mia amica e le ho detto la nostra decisione e lei ha promesso di pregare. Ho scritto anche al carabiniere che quella notte avremmo provato di nuovo. Il carabiniere ha risposto che avrebbe raggiunto il posto con fiori e ci avrebbe portati dentro l’aeroporto. Lui avrebbe pregato per noi. Queste risposte della mia amica e del carabiniere mi hanno dato una forza particolare e la certezza che ce l’avremo fatta.

Secondo tentativo di raggiungere l’aeroporto

Alla sera abbiamo di nuovo iniziato, ci siamo cambiati, abbiamo preparato borse più piccole e abbiamo preso acqua e pane con noi. Siamo arrivati vicino al cancello dell’aeroporto indicato dal carabiniere alle ore 20.00. Abbiamo notato che c’era gente ma meno dell’altro cancello. Era presto e dovevamo aspettare l’ora indicata, per cui ci siamo fermati vicino al muro di un fiumiciattolo. Alle 00.30 abbiamo iniziato ad avvicinarci di nuovo al cancello passando dall’orlo tra la strada e la discesa del fiumiciattolo, poi nello stesso modo sul ponte. Non c’era spazio dove mettere i piedi, per cui mettevamo un piede dopo l’altro cercando di non perdere l’equilibrio.  Abbiamo trovato altri colleghi anche con le loro famiglie, ci siamo salutati ed eravamo felici di essere insieme. Abbiamo speso tutta la notte cercando di avvicinarci al cancello.

Verso le ore 5.00 o 6.00 il carabiniere con la sua equipe sono usciti dall’aeroporto e hanno messo loro stessi in grande rischio per salvare le nostre vite. Lui chiamava il mio nome, mia moglie lo ha sentito per primo e allora mi sono accorto che era lui. Quando ci ha intravisto ci ha detto “non vi preoccupare, siamo qui, venite, venite”. Queste parole ci hanno incoraggiato e rallegrato, qualcuno ci avrebbe salvato. Quando abbiamo attraversato il piccolo ponte ci ha detto di seguirlo finché ci ha portato dentro l’aeroporto. Una volta dentro ci ha abbracciati e ci ha detto “adesso siete salvi” e ci ha offerto acqua mentre un altro carabiniere distribuiva cioccolata per i bambini.

Mi ha chiesto se c’erano altri colleghi e gli ho risposto affermativamente, c’erano altre famiglie. Mi ha chiesto di andare con lui per aiutare nell’identificazione e senza uscire dall’aeroporto gli ho fatto vedere, li ho chiamati per nome e a loro volta hanno fatto segni con le mani. In questo modo i carabiniere li hanno portato dentro l’aeroporto. I carabinieri hanno preso tutti noi al Centro di Evacuazione Italiano dove abbiamo aspettato per l’aereo. Lì abbiamo trovato altre famiglie con bambini. Tutto era bello e bene organizzato. Abbiamo ricevuto pranzo in orario, colazione, cena, acqua, latte per i bambini. Tutti i carabinieri erano in movimento e prendevano cura delle famiglie con tanto interesse, amore e pazienza. Ho visto che dormivano poco, 2 o 3 ore al giorno, ma lo stesso erano presenti per servirci.

La prima notte, alla sera tardi ci sono stati dei disturbi fuori, vicino all’aeroporto. Questo ci ha tanto spaventato. Alcuni dicevano che gli Americani avrebbero consegnato l’aeroporto in due o tre giorni. Eravamo preoccupati, ma avevamo fiducia nei carabinieri e la speranza che ci avrebbero difeso fino alla fine.

Con la mia famiglia eravamo così orgogliosi di questo carabiniere! Abbiamo apprezzato molto la sua fortezza e gentilezza. In questa situazione così difficile per noi, lui si è sacrificato per salvare la nostra vita. Esiste un proverbio che dice che il vero amico è colui che prende la tua mano in tempi difficili. Vogliamo ringraziare sinceramente, di cuore, con grande apprezzamento a questo grande uomo, il CARABINIERE, un militare italiano che ha salvato la nostra vita e quella di molte famiglie afghane. Vogliamo ringraziare il governo italiano e tutti i paesi per l’appoggio e l’aiuto ad evacuarci dall’Afghanistan.

Arrivati in Italia

Una volta raggiunta l’Italia, eravamo come rinati a una vita completamente nuova, è un vero miracolo per noi e un dono dall’Alto il fatto di essere arrivati in un posto sicuro, in libertà e speranza. È vero che quello che sembra impossibile nella vita, per Dio è possibile. Crediamo che Qualcuno si prendeva cura di noi. Abbiamo sentito la protezione di Dio dal momento che siamo partiti da casa. Quando ricordo mio figlio sotto i piedi della folla, è un vero miracolo che lui è vivo oggi grazie ad un uomo che lo riscattato, anche quando i talebani mi fermarono e chiesero il passaporto e visto e poi mi hanno lasciato andare. Se Dio non ci avesse aiutato e i nostri nemici Talebani, che sono nemici dell’umanità, ci avessero cercato e catturato, non so cosa sarebbe di noi. Dio tutto lo può e ci ha salvato. Quando facciamo il bene nella vita un giorno questo bene ritornerà a noi.

Il nostro volo è partito da Kabul facendo scalo in Francoforte – Germania, abbiamo avuto due o tre ore di attesa lì e poi ci siamo imbarcati sull’aereo che ci portava in Italia. In Italia tutto era così bello, abbiamo avuto un caloroso benvenuto dal personale dell’aeroporto. Abbiamo fatto il processo dei documenti che ci ha presso tutta la notte. All’indomani del nostro arrivo, ci ha ricevuto all’aeroporto il presidente dell’Associazione PBK che ci ha condotti dalle Suore Missionarie della Consolata, loro ci hanno accolto con interesse autentico di tutto cuore. Questo ci ha dato una bella sensazione e ci siamo sentiti valorizzati, le sorelle sono così empatiche e veramente si prendono cura di noi con tutta la loro gentilezza e amore.

Abbiamo ricevuto sostegno dalle Suore della Consolata, dalla gente di Nepi, di Monterosi e dei paesi vicini. Siamo arrivati dall’Afghanistan con le mani vuote, ma ci hanno aiutato in tutti i modi, hanno provveduto a tutto ciò di cui abbiamo bisogno per nostri figli. Alcune persone hanno offerto il loro tempo per insegnarci l’italiano. Abbiamo ricevuto tanto amore e appoggio da loro e hanno dato un nuovo significato alla nostra vita. Li siamo tanto riconoscenti. Ancora avremo bisogno del loro appoggio.

Ci sentiamo fortunati di stare con le Suore della Consolata, loro ci ridanno speranza per il nostro futuro. Vedo molti cambi in noi, come il sorriso sul volto dei nostri figli, è un sorriso vero, li vedo gioiosi. in pace e felici di andare a scuola. Studiamo la lingua e siamo felici al pensare al nostro futuro. Ho grande speranza e credo avremo una vita migliore e più luminosa qui in Italia tutti noi, specialmente i nostri figli, loro potranno andare a scuola, studiare, formarsi. Abbiamo pace e libertà, questo è molto significativo per noi.

A.T.

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