QUANDO ‘LORO’ DIVENTA ‘NOI’

Sono Adanech Mitiku Shawo, originaria del Kaffa, in Etiopia, regione che il beato Giuseppe Allamano aveva sognato come primo campo apostolico per i suoi missionari. Ci andarono, poi, e fondarono anche la mia parrocchia; per questo sento di essere porzione di quel seme da loro gettato: ho 32 anni e sono Missionaria della Consolata. In Kirghizistan siamo arrivate dopo un’attesa lunga due anni, a causa del Covid ma anche delle lungaggini burocratiche per ottenere il visto. Jalal-Abad, dove ci siamo stabilite, è un centro nel sud del Paese, con 75mila abitanti su un totale di 6 milioni e mezzo.

La mia nuova vita inizia il giorno del mio arrivo: tutto sconosciuto, mi hanno salvato i sorrisi, scambiati generosamente, e qualcuno che parlava inglese, Deo gratias!, oltre a chi è venuto a prenderci all’aeroporto, chi ci ha offerto la cena e chi ci ha preparato il letto per la notte.

Osservo i gesuiti e il loro stile di vita qui, a stretto contatto con la gente più umile. Condividono quel poco che hanno e mangiano con chi bussa alla porta per un piatto di minestra o del pane con un po’ di tè. La gente è modesta, la maggior parte senza lavoro e i giovani senza possibilità di studiare. Anche noi abbiamo cominciato a trascorrere le giornate con loro e come loro: credo stia qui il baricentro di una missionaria, la semplicità in compagnia dei semplici. Siamo state ospitate per i primi due mesi mentre familiarizzavamo con l’ambiente e iniziavamo ad allestire quella che sarebbe diventata la nostra comunità. Ciò che mi ha sostenuto in questa primissima ‘tappa’ è stata la profonda unità tra noi tre e il dialogare sempre sul come fondare la nostra presenza. Grande responsabilità!

Il popolo kirghiso, musulmano all’88%, è molto incuriosito da noi e dal nostro modo di vestire, per loro unico e originale. Ogni volta che usciamo le persone ci osservano, si fermano e ci chiedono a ripetizione: Откуда ты? Di dove siete? Quanti anni hai? Sei sposata? Hai figli? Io rispondo che sono монахиня, monaca, e alcuni ribattono: “Queste donne sono sposate ad Allah, interessante!”.

La sfida più grande per ora è senza dubbio la lingua. Tre volte a settimana ci rechiamo all’università per il corso di russo e usiamo gli autobus pubblici: è un’occasione che ci permette di incontrare molta gente e ci obbliga a comunicare, o almeno a provarci! Tutti parlano kirghiso e cercano di farsi capire con ogni mezzo. In questi tentativi si cela una benedizione per noi e sento che il Signore ci sta aprendo la strada, gesto dopo gesto. Il rispetto e la solidarietà sono valori praticati diffusamente nelle occasioni quotidiane, come nella consuetudine di cedere il posto alle persone anziane, azione naturale e immediata. Anch’io mi sono ‘inculturata’ e quando sul bus sale qualcuno di una certa età mi alzo subito per lasciare che si sieda!

Il nostro vivere qui rinsalda la validità e la forza del nostro carisma ad gentes tra i non cristiani e lo costato nella mia esperienza personale. Qualche volta mi trovo a chiedermi: “Ma tu, Gesù, sei presente anche qui, tra coloro che non ti conoscono, dove il tuo nome non è pronunciato?”. La risposta la scopro nella preghiera: Tu sei qui e proprio qui ci hai voluto. Dio ci accompagna attraverso tutte quelle persone che incontriamo, che intuiscono quando siamo in difficoltà e si rendono disponibili. In queste mediazioni sperimentiamo di non essere sole.  

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