L’AMICO DEI PECCATORI

Foto di Fr. Lawrence Lew O.P da Flickr

Non tutte le parole o gli avvenimenti che gli evangelisti riportano nei loro testi riflettono delle situazioni storiche. A volte c’è il sospetto, o quasi la certezza, che abbiano voluto abbellire i loro racconti, magari con informazioni che sarebbero state accessibili soltanto dopo la rivelazione del mistero pasquale. Ma quando leggiamo in Luca 7,34 questa definizione di Gesù: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”, non abbiamo motivo di dubitare che questa fosse effettivamente l’opinione che molti avevano di lui. E neppure abbiamo ragione di pensare che l’accusa fosse destituita di fondamento. Il punto non è sapere se Gesù frequentasse i peccatori, ma perché lo facesse. Ai benpensanti di allora – e forse anche a quelli di oggi – può apparire una scelta anticonformista o poco più. Eppure c’è una traiettoria abbastanza coerente che parte dal suo ministero tra i rifiutati e la morte sulla croce. Certo, questo legame non è subito apparente, perché le accuse che le autorità religiose gli muovono davanti al procuratore Pilato sono di altro genere: è un sobillatore, che vieta di pagare il tributo a Roma e vanta prerogative regali. Nessun magistrato civile avrebbe preso sul serio le sue cattive frequentazioni. Ciò non toglie che Luca ci presenti come un filo rosso la compagnia poco ragguardevole che circonda Gesù fino alla fine dei suoi giorni terreni e infatti è l’unico evangelista ad attribuire al Maestro la profezia tratta da Isaia: “Fu annoverato tra gli empi” (Lc 22,37) che si realizza sulla croce, dove divide il suo destino con due malfattori. E ancora Luca è solitario nel riferire che uno di questi malfattori coglie l’occasione che gli viene offerta per accedere al Regno. Ecco allora che il mistero comincia a rischiararsi un po’: se vuoi portare alla salvezza i peccatori devi portare la salvezza in mezzo a loro e quindi frequentarli, nelle piazze, nei banchetti, sulla croce.

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Naturalmente Gesù non si è limitato a bazzicarli, ma crea comunione con loro: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro” (Lc 15,2), mormorano alcuni farisei e scribi inorriditi. I banchetti che egli celebra con queste persone sono stati variamente intesi: per alcuni sarebbero una sorta di anticipazione della gioia escatologica, cioè degli ultimi tempi. La cosa, però, non appare molto verosimile. Se stiamo alle parabole che seguono questa critica, la gioia e i festini sono una celebrazione “necessaria” che rende visibile la soddisfazione per qualcosa che era perduto ed è stato ritrovato. Se applichiamo questa dinamica al ministero di Gesù, la sua missione verso i lontani diventa l’occasione per costoro di essere recuperati alla gioia della comunione col Padre.

Christ healing the blind man – Foto di Fr. Lawrence Lew OP da Flickr

Ciò che a volte ci sfugge è che Gesù “sa” che il Padre la pensa in questo modo, quindi il suo stare con gli emarginati non è una iniziativa estemporanea di carattere personale ma è la sua piena collaborazione alla volontà di Dio (“Non sia fatta la mia, ma la tua volontà” Lc 22,42). Nel corso del tempo, si diffonderà l’idea che la scelta degli emarginati sia stata un ripiego, dovuto al rifiuto da parte delle persone più ragguardevoli. Già nel II secolo un filosofo pagano di nome Celso derideva la setta cristiana, capace a suo dire di attirare soltanto ignoranti e sprovveduti. Una lettura ingenua della parabola del banchetto (Lc 14,16-24) potrebbe confermare questa opinione: i primi invitati sono gente con qualcosa da fare nel mondo e rifiutano l’invito, mentre gli sfaccendati, che non hanno nulla da perdere, accettano volentieri! Il racconto, ad ogni modo, non intende giustificare la sociologia delle comunità cristiane e le persone emarginate non sono la ruota di scorta di Gesù. Il senso della sua missione è compendiato bene nella conclusione dell’episodio di Zaccheo: “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). Dunque l’orizzonte della sua azione e predicazione ha di mira soprattutto chi si sente marginalizzato, per quanto la proposta di Gesù non discrimini nessuno a priori. Il fatto che Gesù parli di norma in luoghi pubblici accessibili a chiunque crea un seguito di folla che per sua natura è estremamente variegato. Del resto, quando Gesù parla delle folle che si recavano da Giovanni Battista dice: “Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto” (Lc 7,29). Il concetto potrebbe essere reso così: tutta la gente che si è fatta battezzare ha riconosciuto il proprio peccato, non soltanto quelli che erano pubblicamente dei peccatori. Il riconoscimento della propria colpevolezza è il primo passo verso la salvezza, ma ancora non basta. Per essere davvero riconciliati con Dio occorre avere fede in Gesù come suo legittimo inviato. Questo sembra essere il senso della scena curiosa della vocazione di Pietro, esclusiva di Luca. Dopo la pesca miracolosa, Pietro si rende conto che Gesù possiede un potere straordinario, che non può derivargli che da un rapporto speciale con Dio. Al suo cospetto percepisce la propria indegnità, perciò si getta alle sue ginocchia confessando: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” (Lc 5,8). La reazione di Gesù è consolante: “Non temere”. Il peccato non è qualcosa che lo esclude dal rapporto col divino. Anzi, in un certo senso è soltanto il riconoscimento del peccato che mette nella giusta relazione con Dio, presupponendo che lui è giusto e noi no. Pietro si consegna a Gesù perché accetta che il suo amore sia più grande del suo peccato. Nel rapportarsi con Gesù, alcuni hanno rifiutato la sua diagnosi – perché non si sono riconosciuti peccatori, come le autorità religiose – mentre altri hanno rifiutato la cura – ad esempio le città di Corazin e Betsaida che lo ascoltano ma non si convertono (Lc 10,13). Ma cosa chiede, di fatto, Gesù a questi emarginati con cui solidarizza? La conversione non comporta necessariamente un cambiamento radicale di abitudini. Nel caso dei pubblicani è piuttosto evidente che Gesù non impone a nessuno di cambiare mestiere come condizione per essere accolto. L’adultera che viene congedata in Gv 8,11 con la richiesta di non peccare più non è una peccatrice seriale né una prostituta. Gesù chiede a ciascuno quello che Papa Francesco definisce “il bene possibile”, cioè quel bene che può (e deve) essere realizzato nella propria vita, anche se lo standard raggiunto non sarà uguale per tutti: Zaccheo continuerà a fare l’esattore delle tasse, Levi mollerà tutto per seguirlo.

di don GIAN LUCA CARREGA, Biblista

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