Ricordi da Wamba

Foto di Nick115 da Pixabay

Suor Nunzialba ha aperto il cassetto dei ricordi e ce ne regala uno molto significativo sulla sua vita missionaria in Kenya

Anche quella notte è stata una notte molto impegnata. Gli arrivi in ospedale, nella tarda notte, erano sempre di persone in stato grave, assalite dal bufalo o da altri animali feroci.

Era quasi mezzanotte quando vennero a chiamarmi perché c’era una persona grave, trovata mezza morta nel deserto, assalita da un bufalo. Il dottore era già stato avvertito dal guardiano. Scesi in ospedale e il dottore era già li che tentava di organizzare il lavoro, da che parte cominciare …

Il ferito era un Morani alto più di due metri che aveva addirittura il torace aperto. Nel mediastino si vedevano gli organi ancora pulsare. Il cuore e i polmoni erano pieni di erba e sangue; aveva anche una gamba rotta e traumatizzata con ferite estese. Come fare? La prima cosa, dopo aver organizzato un po’ il lavoro, è invocare l’aiuto del Signore e poi? “Tentiamo, dice il dottore, con acqua salata e betadine di lavare il torace, togliendo prima, con le mani tutta l’erba che invade lo spazio e gli organi del mediastino”. Vi abbiamo impiegato quasi due ore! Il dottore cominciò poi ad aggiustare le costole rotte con un filo finissimo di metallo, lavoro che durò quasi cinque ore! Alla fine si ispezionarono gli organi. Certamente non è stato possibile pulire tutto, gli organi sono talmente delicati che  bisogna continuare il lavoro con molta cautela. Vengono allora posizionati  alcuni grossi drenaggi nelle varie cavità più sporche, poi dopo aver irrorato il campo con antibiotici si chiude il torace. Le fratture della gamba le abbiamo lasciate a parte, si è cercato di chiudere soltanto le ferite. Il lavoro in sala operatoria lo terminiamo verso le 9.30 del mattino, dopo aver collegato i grossi tubi di drenaggio ai vari rubinetti… Lasciammo il ferito nelle mani del Buon Dio, mentre ci chiedevamo come avesse potuto resistere quella persona così tante ore con dei traumi simili.

Foto di Alex Strachan da Pixabay

Ogni tanto, durante i vari interventi, ci si fermava perché sembrava che il polso non ci fosse più. Siamo andati avanti  tante ore così, solo con anestesia locale ogni tanto e alcuni cc di Ketalar. Il malato certamente era diventato quasi insensibile al dolore e noi non avevamo nessuna speranza se non quella di credere che Dio agisce anche con i miracoli.

Ho sofferto molto per quel malato, tutte le mattine prima di andare in sala operatoria passavo da lui. Era in una cameretta dove mettevamo i più gravi. Guardavo sempre con tanta fiducia a quel viso quasi spento dalla sofferenza. Lo chiamavo per nome “Katapan” e lui apriva un po’ gli occhi per rinchiuderli stanchi. Io guardavo quei bottiglioni dove i drenaggi versavano il contenuto, quanto pus, sempre… Andavo in sala quasi scoraggiata, ma continuavo a sperare ancora. Abbiamo somministrato tanti antibiotici ma…

Un mattino come al solito passai accanto al suo letto, lo chiamai ed egli aperse gli occhi, mi guardò e mi chiamò “Mamma”! Non potei trattenere le lacrime e le stampai un bacio sulla fronte e uscendo, per andare in sala operatoria ho sentito una grande emozione, ero ancora in lacrime. Il dottore mi chiese cosa fosse successo e gli dissi: “Katapan non muore, mi ha chiamato mamma”. Il dottore non credeva … quale cambiamento! Ringraziammo insieme il Signore e andammo a renderci conto; era vero, Katapan stava riprendendosi. Ci si organizzò per far fare gli altri interventi, sulla gamba, non bastava uno, ma diversi!…

Quando Katapan cominciò a camminare continuavamo a chiederci come fosse stato possibile tutto ciò che è avvenuto. Eravamo certi che Dio guardava con occhio di predilezione questo suo amato figlio. Io l’aiutavo a camminare, gli arrivavo al gomito; io così piccola mi confrontavo con un Morani così alto! Dopo alcuni mesi Katapan fu dimesso dall’ospedale e fu proprio nel frattempo che io ebbi una reazione al chinino  con un ARDS, che mi portò al reparto di cura intensiva dell’Aga Kan, un ospedale di Nairobi.

Era una situazione grave anche la mia, ma anch’io fui salva!

Cosa successe poi, quando Katapan tornò all’ospedale per i controlli, me lo disse Sr. Micaelita Merlino: “Voglio vedere mia madre” chiese subito. La Sorella gli spiegò che ero in ospedale grave, allora quel pezzo d’uomo si sedette per terra con il viso tra le mani e pianse. “Mi fece tanta tenerezza”- disse Sr. Micaelita.

Non ho più saputo nulla di lui, guarii, fui dimessa dall’ospedale e tornai in Italia, ma Katapan è sempre nella mia mente e nel mio cuore. O Dio quanto sei grande nel tuo Mistero d’Amore! Tu solo sai fare l’impossibile, quello che agli occhi dell’uomo non si può neppur pensare che possa succedere. Quante volte ho provato queste emozioni  e continuo a dire: Grazie, Padre mio,. Tu solo sei Dio e sei Padre e Madre di tutti noi!

                                                                                                                      Sr. Nunzialba Ghezzi, mc

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