
È chiaro che non possiamo parlare di femminismo nella Bibbia, sia perché il termine e la realtà collegata sono molto più recenti, sia perché il mondo culturale che ha dato origine alla Bibbia era, semmai, decisamente maschilista.
Proprio però se teniamo in considerazione questa trasparente verità, possiamo apprezzare fino in fondo il fatto di trovare annotazioni decisamente controcorrente in alcuni passi non numerosi ma posti in ambiti cruciali. Basti pensare alle diverse figure di donne coraggiose, eroiche e apprezzate (Raab, Gs 2; 6; Debora e Giaele, Gdc 4-5; Rut, Giuditta ed Ester nei libri che portano il loro nome; e altre ancora nel Nuovo Testamento) o alla riflessione di Gen 1,27, in cui si precisa che a essere creati a immagine di Dio sono il maschio e la femmina.
Ci sono anche altri brani in cui emerge un ruolo della donna diverso dall’essere semplice strumento per avere dei figli. Tra gli altri ce n’è uno che interessa Abramo, il padre nella fede per ebrei, cristiani e musulmani.
Una promessa incompiuta
Conosciamo bene la figura di Abramo, colui che ha creduto alla promessa divina di una discendenza «come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare» (Gen 22,17; 26,4). Quella promessa, in realtà, si era fatta via via più ampia e dettagliata: dapprima era stata solo la promessa di una terra e «un nome» (Gen 12,1-2), poi erano diventati, più precisamente, una discendenza e «questa terra che tu vedi» (Gen 12,7-8), quindi «tutta la terra che vedi, la darò a te e alla tua discendenza per sempre», con la precisazione che la discendenza sarebbe stata numerosa come la polvere della terra (Gen 13,14-17). Infine, in Gen 15, si chiarisce ancora che la discendenza sarà numerosa anche come le stelle del cielo, e si fissano i confini (amplissimi) della terra promessa. Solo che…
Solo che, mentre la promessa si etende e precisa, all’atto pratico Abramo è, sì, pieno di pecore e servi, ma continua a essere nomade e senza figli. Sembra di vedere quelle famiglie in cui, a ogni rimprovero, il figlio promette sempre di più, e la madre continua a ribattere che si accontenterebbe di molto di meno, ma fatto davvero.
A differenza della nostra ipotetica madre, Abramo continua a fidarsi, e addirittura, a un certo punto, anziché mettere Dio di fronte alle proprie responsabilità e inadempienze, sceglie di aiutarlo a compiere la promessa, come si fa tra amici autentici. Anzi, a dire il vero, è la moglie Sara a offrirgli una via d’uscita, per aiutare Dio a realizzare il suo impegno.
Un figlio “di recupero”
Il ragionamento di Sara è razionale e generoso: Dio ha promesso ad Abramo, benché vecchio, un figlio. Ma un uomo può generare anche da vecchio, mentre a sua moglie «era già cessato ciò che avviene regolarmente alle donne» (Gen 18,11). Certo, Abramo avrebbe potuto prendersi un’altra, seconda, moglie, come era ammesso in quel mondo (suo nipote Giacobbe ne avrebbe avuto due), ma chi avrebbe dato una moglie a un vecchio senza fissa dimora, pur pieno di pecore e schiavi? Si poteva immaginare, a proposito di schiavi, che Abramo sfruttasse una di loro per avere il figlio, che però in questo modo sarebbe stato a sua volta servo (era la condizione della donna a determinare quella del bambino), e il problema non sarebbe stato risolto. Ma a questo punto a Sara viene un’idea fantastica: esisteva un antico rito, importato dagli ittiti, secondo cui una donna poteva adottare il figlio di un’altra se se lo faceva partorire sulle ginocchia. Bastava trovare una schiava che fosse docile e non si montasse poi la testa. Ad esempio, poteva offrire ad Abramo Agar, la propria schiava egizia: apparteneva a Sara, le sarebbe rimasta comunque fedele.
Le cose, peraltro, non andranno proprio così: Abramo acconsente al progetto della moglie, la schiava resta incinta, ma subito dopo «la sua padrona non contò più nulla per lei» (Gen 16,4), e da lì in poi i rapporti tra Agar e Sara non si rinsaldarono più, finché, anni dopo, Sara non ottenne che Agar e il figlio fossero scacciati nel deserto (Gen 21).
Ma le cose, curiosamente, non vanno così neppure con Dio.

Dimenticare l’ovvio
Nella storia di Abramo accade periodicamente che Dio appaia e gli parli. Succede anche dopo la nascita del figlio di Agar, che si chiama Ismaele.
Dio ricomincia a promettere ad Abramo mirabolanti successi (Gen 17): diventerà padre di una moltitudine di popoli (tanto che gli cambia il nome da Abram, “padre solenne”, in Abraham, “padre di una folla”), gli promette che tra la sua discendenza ci saranno dei re, che tutta la terra di Canaan sarà data in possesso al popolo che discenderà da lui, e di cui resterà per sempre il Dio. Anche Sara si vede cambiato il nome in Sarai (che forse voleva significare “mia principessa”).
A questo punto però Abramo, mentre pensa che a novant’anni Sara difficilmente riuscirà a diventare madre, prova ad azzardare timidamente una frase che a noi potrebbe non risultare del tutto chiara: «Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!» (Gen 17,18).
“Vivere davanti a” qualcuno significava, in ebraico, non solo restare sempre alla presenza, ma essere accolti, privilegiati, custoditi e apprezzati. È come se Abramo chiedesse a Dio: “Il figlio che tu stai promettendo, è Ismaele, no? Vero che abbiamo capito bene e ti abbiamo aiutato come volevi? Ti sei accorto che un figlio è arrivato? È lui quello di cui parlavi?”.
E Dio, improvvisamente, quasi sorpreso, risponde di no (17,19-21). Ma certo, benedirà anche Ismaele, che diventerà a sua volta fecondo e dalla cui discendenza nasceranno dodici re. Dio non lo dimenticherà, senza dubbio. Ma non è lui il figlio che aveva promesso. È vero, aveva finora parlato solo con Abramo, ma questo significa che, ovviamente, stava parlando anche di Sara.
Parlerà anche con lei, più tardi, annunciando che il figlio tanto atteso sarebbe nato entro un anno. In quella occasione, addirittura, Sara riderà in faccia a Dio, per una cosa detta da lui (Gen 18,11-15: c’è chi fa notare che non succede mai altrove, nella Bibbia). Ma questo sarà dopo. Già in partenza, se Dio aveva promesso una discendenza ad Abramo, dava per scontato che fosse discendenza anche di Sara.

Due insegnamenti
Questo brano ci istruisce forse su due fronti.
Il primo, il più chiaro e scontato, ha a che vedere con il percorso di crescita ed esempio nella fede che Abramo costruisce lungo tutta la sua esistenza. Fin dall’inizio (Gen 12,1-3) si è fidato di Dio, della sua promessa e della sua presenza. Abramo non ha mai propriamente ubbidito a dei comandamenti divini, che sono più precisi e magari esigenti ma ci possono anche dare l’impressione di “guadagnarci dei diritti” davanti a Dio. Abramo si è fidato, semplicemente e senza avere tra mano nulla. Si è fidato di una promessa (una discendenza e una terra) che continuava a precisarsi, ad ampliarsi, senza che se ne vedessero neppure gli inizi di compimento.
E, come nelle dimensioni più importanti della nostra esistenza (le amicizie, i legami coniugali, le promesse di consacrazione, uno stile di vita, a volte la professione…), ha dovuto continuare a fidarsi fino alla fine. Due sposi che festeggiano il cinquantesimo anniversario di matrimonio hanno una vita costellata di esempi che confermano che hanno fatto bene a fidarsi, ma non raggiungono mai delle “certezze”. Anche a novant’anni, saranno sempre chiamati a dare fiducia all’altro, a credere a una promessa. Così anche Abramo. Continua a camminare fidandosi. Anche quando morirà, la discendenza “numerosa come le stelle del cielo e la sabbia del mare” sarà in realtà un solo figlio, e di tutta la terra promessa possiederà una tomba (Gen 23). Anche in punto di morte, di Dio dovrà fidarsi, come in tutte le relazioni più fondamentali della nostra esistenza.
Ma probabilmente, sottovoce e in disparte, senza averne l’aria, questa vicenda ci insegna anche altro. Benché sia stata composta in una cultura androcentrica e maschilista, Genesi presenta un Dio che, quando promette a un uomo qualcosa che lo coinvolge nella sua dimensione coniugale (perché questo è un figlio), promette anche a sua moglie. Perché per Dio la donna non è un essere inferiore, non è un’appendice, non è uno strumento chiamato soltanto a partorire. La donna è voluta, conosciuta e amata da lui allo stesso modo dell’uomo. Tanto che Dio sembra stupirsi un po’ quando Abramo (su istigazione di Sara) trova un modo per dare un figlio all’uomo che non coinvolge la donna se non legalmente, formalmente. La moglie di Abramo, invece, è colei che ne ha condiviso i passi e le sofferenze, e ne condividerà anche la gioia che la farà ridere. Per Dio tutto ciò era scontato: è talmente lontano da ogni scelta maschilista, che non si era neppure accorto che la sua promessa poteva essere letta in modo ambiguo.
Angelo Fracchia