DALL’OSTILITÀ ALL’OSPITALITÀ

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Sono almeno tre i termini fondamentali della Bibbia ebraica per indicare lo “straniero” o “forestiero”. Tre termini che ci aiutano a capire la progressiva maturazione di Israele sul tema dell’accoglienza:

1. La parola ebraica zar indica lo straniero che abita fuori dei confini di Israele. Verso questa figura si verifica un senso di paura. C’è un gioco di parole nell’ebraico, che permette di confondere zar (“straniero”) con sar (il “nemico” da cui ci si deve difendere). La paura dello straniero ha quindi delle radici molto profonde nel cuore umano, e viene documentata dalla Scrittura. Questa considerazione negativa dei popoli stranieri si evolve verso toni più positivi specialmente dal momento dell’esilio in Babilonia (circa VI sec. a. C.), quando affiora la percezione che Dio affida ad Israele una missione di salvezza per tutte le genti (Is 42,6; 49,6).

2. Il secondo termine, nokri, è usato per lo straniero di passaggio, che si trova momentaneamente in mezzo al popolo per motivi di viaggio o di commercio (una sorta di “migrante economico”). Verso il nokri ci sono alcune distinzioni che denotano ancora una lontananza, ma non più una paura (Dt 14,21). Comunque la regola di base è l’ospitalità, tipica della tradizione dell’Oriente, ospitalità che comporta rispetto e buona accoglienza.

3. “Il terzo vocabolo è gher o toshav e viene impiegato per lo straniero che risiede in Israele. Questa figura gode protezione giuridica, come appare fin dai testi legislativi più antichi (Es 22,20)” (C. M. Martini).

PERCHÉ ACCOGLIERE LO STRANIERO?

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1. Il Signore ama il forestiero: il Dio della Bibbia ha una peculiarità: la predilezione per i poveri. E sicuramente lo straniero è un “povero”, in una terra non sua e senza tutela legale. Israele deve proteggere gli stranieri perché essi sono amati in maniera particolare da Dio: “Il Signore… ama il forestiero” (Dt 10,18).

2. Tutti siamo stranieri: Israele deve proteggere il forestiero, perché non deve mai dimenticarsi di essere vissuto come straniero in Egitto. Per questo Dio richiede che nessuna vessazione sia fatta allo straniero: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Es 22,20).

3. Tutti siamo ospiti di Dio: Israele sa di essere ospite anche nella Terra Promessa: “perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini” (Lv 25,23). Anche i cristiani sono “pàroikoi kaì parepìdemoi”, “stranieri e pellegrini” (1 Pt 2,11) che risiedono temporaneamente in questo mondo: “paroikìa” (1 Pt 1,17), da cui il nostro “Parrocchia”, è da “paràoikìa”, “presso le case”, nomade di passaggio.

4. Il motivo cristologico: l’esempio di Gesù, che si è fatto ospite degli uomini, e li invita ad essere ospiti nella casa del Padre, fa dell’ospitalità una delle virtù principali della vita cristiana. Il comando è preciso: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (Rm 15,7). Gesù, nella sua vita, fa esperienza di non accoglienza.

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“Maria… diede alla luce il suo figlio primogenito…, e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7); e deve fuggire profugo in Egitto perché perseguitato da Erode (Mt 2,13); anche nella sua missione spesso è respinto (Lc 9,53-56).

La grande novità è che addirittura Gesù si identifica con chiunque necessiti di essere ospitato: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40). “Ero forestiero e mi avete accolto” (Mt 25,35): per indicare l’ospitalità Gesù ricorre qui a un verbo (sunago) il cui significato base è raccogliere, riunire cose sparse. Di qui il senso di raccogliere chi è sperduto, ospitarlo nella stessa casa, unirlo ai gruppi dei fratelli. L’ospitalità è un dovere sacro per tutti i cristiani, e tutti gli scritti della prima Chiesa la raccomandano. Pietro nella sua prima lettera esorta alla philoxenìa, l’ospitalità, letteralmente “l’amore per gli stranieri” (1 Pt 4,9). Paolo invita ad essere “premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,13). La Lettera agli Ebrei ricorda che ospitare il fratello è ospitare Dio: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo” (Eb 13,2).

5. Il motivo escatologico: i poveri e gli stranieri saranno per noi i portinai del Paradiso, coloro che ci riceveranno o meno nelle dimore celesti: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9). “Negli ‘stranieri’ la Chiesa vede Cristo che mette ‘la sua tenda in mezzo a noi’ (Gv 1,14) e che bussa alla nostra porta (Ap 3,20). Questo incontro – fatto di attenzione, accoglienza, condivisione e solidarietà, di tutela dei diritti dei migranti e di impegno di evangelizzazione rivela la costante sollecitudine della Chiesa che scopre in loro autentici valori e li considera una grande risorsa umana” (Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti). Se non sapremo ospitare gli stranieri, non avremo saputo accogliere Gesù. Ed entreremo anche noi nel triste novero di coloro di cui parla il Prologo di Giovanni, quando afferma con amarezza: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).

di CARLO MIGLIETTA

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