Un virus, una lezione, una scelta

Suor Alessandra ci accompagna in una riflessione sulla situazione di pandemia attuale

La parola su cui vorrei soffermarmi di più tra le tre, in questa breve riflessione con voi, non è e non sarà  Covid 19 – se n’è già detto troppo, tutto, anzi di più – e nemmeno lezione, perché suppongo che questa, a ben guardare, è dentro ciascuno e ciascuna di noi. Sono convinta che sceltasia ora la parola più interessante da considerare e esplorare, e senz’altro anche la più promettente. Non però la più easy.

E’ la legge dell’evoluzione: una specie sopravvive se è capace di adattarsi, di cambiare, cioè se è capace, in una certa situazione e in un preciso momento, di fare una scelta. Ed è nello stesso tempo vera anche quella nota legge psicologica che insegna che il cambiamento non è affatto qualcosa che accade in automatico, al contrario, richiede parecchio lavoro per imporsi sulle molteplici ed energiche resistenze dello status quo.

La realtà non è un dato inevitabile, preordinato (almeno non esclusivamente) ma un compito o, se si vuole, un’occasione di trasformazione. Sarebbe certamente più semplice e comodo per noi se tutto fosse predisposto! E invece ognuna/o è chiamata/o a decidere la rotta da seguire, e bisogna sottolineare bene che anche chi non decide per nessuna rotta fa una scelta chiara: quella di lasciarsi trasportare dalla corrente!

Possiamo preferire la sicurezza della routine, la nostalgia del noto, il comfort del abbiam sempre fatto così, l’agio del solito egocentrismo, oppure… possiamo ascoltare, lasciarci turbare da ciò che stiamo vivendo, accogliere la crisi e non bypassarla, riconoscere che non siamo autosufficienti, affidarci al mistero della vita e del dolore, al Mistero di Dio, distinguere il fare dall’essere, separare ciò che è necessario da ciò che non lo è, discernere tra ciò che conta e ciò che passa, tra escludere e accogliere, tra consumo e sobrietà.

Scelta, infatti, si declina innanzitutto in stile di vita. Il virus è stato la ribellione della grande casa comune che abitiamo ¾ la madre terra, la pacha mama ¾ al nostro stile di vita. Tutti responsabili, non solo i governanti e i leaders delle nazioni: educatori, operai, economisti, contabili, casalinghe, ogni uomo, ogni donna, ogni bambino. Non ci sono maestri per la prima volta nella storia ma tutti ci ritroviamo alunni, alle prese con tentativi ed errori. Nessuno può sottrarsi al cambiamento. Il corona virus ci ha ricordato in modo spietato che siamo tutti sulla stessa barca: o ci si salva tutti o non si salva nessuno; che il nemico non è altrove ma ci è vicinissimo: è il nostro stile di vita. Ricominciare non significa allora ritornare al ‘prima dell’epidemia’, ma tralasciare stili e comportamenti, inaugurarne di nuovi, non più nocivi per la nostra convivenza. “La pandemia da coronavirus e il riscaldamento globale sono due facce di un pianeta iperconnesso e profondamente diseguale per condizioni socio-economiche” (S. Adorno).

E qui abbiamo tanto da riscoprire, tantissimo da imparare dalla sapienza dei popoli originari e dalle culture ‘collettiviste’, che all’arte della convivenza umana, dove ciascuno è responsabile del bene e del male di tutti, abbinano da sempre la cura del creato, l’attenzione alle risorse naturali, la considerazione per l’equilibrio e l’armonia dell’ecosistema. E di ogni forma di vita in esso.

Ecco allora che scelta si declina anche con ambiente.

“Non si può pensare di vivere sani in un mondo malato”, dice Papa Francesco. Dobbiamo guarire il nostro rapporto con il creato. Dobbiamo riscoprire la casa che ci accoglie e ci sostenta. Abbiamo capito che dietro lo sconvolgimento di tanti ecosistemi c’è una presenza umana sempre più pesante e incurante, che penetra in essi con politiche di mero sfruttamento. E inquinamento. Il quale, sembra verificato, ci rende più esposti all’impatto del virus e ne favorisce la stessa diffusione. Mentre noi soffriamo per la limitazione dei nostri spostamenti la nostra terra è migliorata! Il clima più salubre, le acque trasparenti, il cielo più terso, moltissime specie animali più a loro agio. E’ diminuita anche l’incidenza di malattie cardio-vascolari e psicosomatiche, ridotti i decessi legati a incidenti in mare e su strada. E allora, noi stiamo bene se sta male la terra? E viceversa? Non è proprio possibile che stiamo bene entrambi?

Non è preferibile che ripensiamo tutto partendo dal principio che il futuro degli umani è intimamente connesso con il futuro dell’ambiente?

Scelta, infine, si declina in relazione. E qui è ancora più evidente che dobbiamo tutti tornare sui banchi di scuola. Il rischio in agguato, molto più che probabile, è quello per cui, appena passata la tempesta, riprendiamo gli atteggiamenti di sempre, l’individualismo, le furbizie, le convenienze personali, la corruzione, l’egoismo, le inedie varie. Virus molto peggiori, insieme a quello dell’indifferenza, che pensa che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si parte da qui e si arriva a selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso. Dipende da noi. Da me. Da te. E dipendiamo sempre più gli uni dagli altri, quanto più ci illudiamo di essere completamente indipendenti. Le categorie noi-loro sono saltate, come quelle di pubblico-privato. E anche questa lezione ce la possono insegnare egregiamente e umilmente i popoli originari: riconoscere l’autorità che l’altro ha su di me, nel segno della reciprocità, camminare verso la maturità del senso di responsabilità che sempre accompagna ogni autentica libertà, apprendere la docilità dell’‘ubbidienza’ alla comunità umana e alle sue regole, cosa che mai come oggi sembra provocarci tanta allergia…  Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo è che nessuno si salva da solo. Le frontiere cadono, le distanze si annullano e appare manifesta la fragilità di cui siamo fatti, sono smascherate quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Qualcosa ci accomuna tutti, proprio tutti, nessuno escluso, come mai prima!

Ma il coronavirus ha portato anche alla luce quella che l’Arcivescovo di Palermo don Corrado Lorefice ha chiamato «santità laica», una forma di eroismo collettivo e non individuale, senza appartenenze, sulla base di un’unica fede: prendersi cura del fratello e della sorella. Come ha affermato la celebre antropologa Margareth Mead: ciò che ci fa umani è un femore curato e guarito, il prendersi cura, appunto. Rinunciare al respiratore in favore del giovane sconosciuto mio compagno di stanza. Astenermi dal contatto con la mia famiglia per poter continuare a servire l’umanità in corsia. Occuparmi dei bisogni dei miei figli, delle lezioni on-line dei miei studenti, della solitudine della mia anziana vicina, tutto nello stesso pomeriggio. Riconvertire la mia azienda con l’aiuto dei miei dipendenti. Consegnare pasti caldi e buste della spesa a file di persone in attesa di un gesto di solidarietà per continuare a sperare. Anche questo è il coronavirus. Lasciarsi toccare, sì contagiare! dallo sguardo e dall’anelito di chi mi è intorno. Questo vale ben più di mille abbracci di ieri, dati senza convinzione e senza cuore.

La globalizzazione dell’indifferenza continuerà a minacciare e a tentare il nostro cammino… che ci trovi preparati e rinnovati nel nostro stare-nel-mondo, così che questa occasione immensa e tragica non venga sprecata!

Covid19: lezione di umiltà. Umanità: esame di responsabilità.                                                                            

Suor Alessandra Pulina, mc

TESTI PER APPROFONDIRE:

  • La vita dopo la pandemia, PAPA FRANCESCO, LEV
  • Abitare i Corpi Abbracciare la Terra. Lo sguardo della gestalt nel tempo del coronavirus, a c. di G. SALONIA, GTK Instant

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