SULLA TUA PAROLA GETTERÒ LE RETI

Quando mi è stato proposto di presentare una riflessione sulla vocazione di Pietro ho accettato subito con divertito entusiasmo pensando allo sconforto in cui avrei gettato i lettori: di quale vocazione avremmo parlato?! Perché se c’è uno che nella vita ha avuto diverse chiamate, beh, quello è proprio Simone di Giovanni, detto Cefa, cioè Pietro. Mettiamo che si voglia seguire un ordine cronologico e che si parta dalla prima chiamata, quando comincia a seguire Gesù di Nazaret. E già qui cominciano i problemi perché se è vero che tutti e quattro gli evangelisti riportano la sua vocazione, abbiamo tre versioni differenti dello stesso episodio. La versione più antica è probabilmente quella riferita da Marco (1,16-18) e da Matteo (4,18-20). Il racconto è davvero minimale e presenta Gesù di passaggio lungo il lago di Galilea che adocchia Simone e il fratello Andrea intenti a gettare le reti in mare per la pesca. La chiamata è di natura carismatica e Gesù li annovera nel suo seguito con la semplice promessa di renderli pescatori di uomini. Sembra irrealistico che qualcuno possa accettare così su due piedi una proposta del genere, eppure lo schema viene ripetuto subito dopo per un’altra coppia di fratelli, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo.

È possibile che Luca ritenesse poco plausibile questo scenario e che per questo abbia cercato di renderlo più concreto. La trama del terzo vangelo presenta alcuni spostamenti rispetto al modello costituito da Marco e uno di questi riguarda appunto i primi momenti della predicazione di Gesù, che qui inaugura il suo ministero con una burrascosa predica nella sinagoga di Nazaret. A questo esordio contestato fa seguito un esorcismo nella sinagoga di Cafarnao e la guarigione della suocera di Pietro. Solo a questo punto viene presentata la scena di vocazione che avviene anche qui sul lago, ma in circostanze differenti. Dopo avere predicato alla folla dalla barca di Pietro, Gesù lo invita a prendere il largo e a gettare le reti per la pesca, comando a cui egli obbedisce non senza esporre la ragionevole obiezione che la nottata di pesca era stata infruttuosa e lasciando intendere che questa iniziativa estemporanea non avrebbe prodotto nulla. E invece le reti si riempiono e lo stupore di Pietro è tale che non può trattenersi dal gettarsi ai piedi di Gesù professandosi un indegno peccatore. Il resto è simile al racconto dei colleghi evangelisti (Lc 5,1-11). C’è da dire che Luca ha offerto una cornice differente a questa chiamata, non solo perché isola il personaggio di Pietro rispetto agli altri, ma anche perché fornisce delle motivazioni più razionali alla sua sequela. Pietro è stato testimone di tre miracoli compiuti da Gesù, dei quali uno lo ha coinvolto direttamente. A questo punto Pietro ha delle ottime motivazioni per seguire Gesù.

Del tutto differente è invece il quadro presentato da Giovanni. Se nei vangeli sinottici è regola fissa che la chiamata dei Dodici sia iniziativa promossa da Gesù e non si accettano autocandidature, nel Quarto vangelo sono testimoniate entrambe le forme: Filippo viene chiamato nella maniera tradizionale, mentre alcuni si presentano da Gesù di loro iniziativa perché indirizzati o addirittura trascinati da qualcun altro. I primi discepoli di Gesù sono due ex seguaci di Giovanni Battista, uno anonimo e l’altro Andrea. Poiché Andrea è fratello di Simone, non trova di meglio che portarlo da Gesù con l’allettante notizia di avere trovato il Messia (Gv 1,41-42). Il risultato è quantomeno curioso, perché la vocazione di Pietro finisce per essere il frutto indiretto di un’altra sequela. Ma questo rientra in una prospettiva più ampia adottata da questo evangelista, il presentare dei personaggi che introducono qualcuno alla presenza di Gesù perché possa farne esperienza diretta. Così avviene anche per la Samaritana che spinge i suoi compaesani ad intrattenersi con un possibile Messia (Gv 4,29). E poiché alla fine i Samaritani giungeranno a delle conclusioni su Gesù superiori a quelle formulate dalla donna, la lezione che se ne ricava è interessante: la fede è un’esperienza che spinge a coinvolgere altri, ma non perché facciano il nostro stesso cammino, quanto invece perché trovino la loro strada personale nel rapporto con Gesù.

Successivamente Pietro sarà chiamato a confermare il suo itinerario di sequela quando, a seguito di una crisi nel gruppo dei discepoli, a nome di tutto il gruppo manifesterà la sua devozione a Gesù: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Questo episodio giovanneo tiene il posto che nei Sinottici è occupato dalla celebre scena di Cesarea di Filippo dove Gesù interroga i discepoli circa la sua identità e Pietro risponde felicemente che Gesù è il Messia (Mc 8,29). Ma il momento di gloria di Pietro è assai effimero perché, forse imbaldanzito dalla risposta esatta, cerca di dissuadere Gesù dal progetto di viaggio fatale a Gerusalemme che ha appena illustrato loro. Gesù replica con una frase che la traduzione CEI del 2008 ha reso in maniera più felice rispetto alla versione precedente: “Và dietro a me, Satana!” (8,33). Distratti dall’epiteto che gli viene affibbiato, rischiamo di non accorgerci che le parole usate prima da Gesù sono le stesse che aveva impiegato il giorno in cui lo chiamò a seguirlo (“Venite dietro a me” Mc 1,17). Di conseguenza, Gesù non sta mandando a stendere il buon Pietro ma gli sta ricordando il suo vero ruolo, che è quello del discepolo che segue, non del maestro che decide la strada.

Pietro avrà ancora bisogno di correzioni nel suo cammino e la sbandata più grossa è evidentemente il triplice rinnegamento nel cortile del sommo sacerdote che egli aveva presuntuosamente escluso nonostante la predizione di Gesù. Ancora una volta è Giovanni a descrivere più chiaramente il reintegro del capo dei discepoli, che si configura a tutti gli effetti come una nuova vocazione. Sulle sponde del lago di Galilea (al destino non si sfugge) Gesù interroga tre volte Pietro sull’amore che ha per lui. Poiché l’esame orale viene superato, Pietro viene confermato nel suo ruolo di guida dei discepoli e una nuova predizione annuncia che la pratica sarà ancora più esigente, perché richiederà l’offerta della sua vita. Ma l’esperienza insegna pure qualcosa e questa volta Pietro si guarda bene dal fare proclami, per il bene suo e anche nostro.

di don GIAN LUCA CARREGA

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