Kirghizistan, santuario alpino in… Asia

Otto Missionarie della Consolata, nel mese di Settembre hanno iniziato la loro preparazione per raggiungere nel 2020, due Paesi dell’Asia Centrale: Kirghizistan e Kazakistan. Per cogliere qualche particolare interessante su queste Nazioni, che poco appaiono sui web d’informazione internazionali e tanto meno nazionali, a meno che qualche catastrofe naturale o tensioni politiche appaiano all’orizzonte, ho cominciato a sfogliare libri, riviste, guide turistiche e… ho estratto alcuni frammenti riguardanti aspetti geografici, storici, culturali e mitici del Kirghizistan, che possono stuzzicare il desiderio di conoscere di più.

Di tutte le nazioni dell’Asia Centrale, che facevano parte dell’Unione Sovietica, il Kirghizistan è la più lontana e quasi sconosciuta. Il Paese, incastonato tra Cina, Uzbekistan, Kazakistan e Tagikistan, è montuoso: l’altitudine media è 2750 metri, con una fetta considerevole di territorio coperta da ghiacciai. La lunga catena del Tien Shan il cui nome deriva dal cinese tian shan, letteralmente montagne celesti è una sequenza di vette e valli che segna il confine tra la Cina e l’Asia centrale. La catena, curva verso sud-ovest lungo il Kirghizistan, dove si incontra con il Pamir e l’Himalaya, che sale fino a raggiungere il punto più alto del pianeta. Gli immensi altipiani ricordano le valli svizzere. L’antica Via della Seta correva proprio accanto al margine meridionale del Tien Shan.

Il Pik Pobedy (picco della vittoria) è la vetta più spettacolare, scalata per la prima volta negli anni ‘30. La gente del posto la chiama montagna color sangue, perché nel crepuscolo si tinge di rosso.

Quasi il 90 per cento del Paese è costituito da montagne. Le foreste coprono circa il 4 per cento del territorio, dove si trova una delle più estese foreste di noci del pianeta.

Il nome del popolo nomade Kirghisi, tra i più accoglienti del mondo, deriverebbe da kyrk kyz, ossia 40 ragazze, con l’allusione alla leggenda delle 40 madri dei clan originari. La loro identità è racchiusa e conservata in un vastissimo patrimonio di miti e racconti, tramandati oralmente e interpretati da cantastorie e menestrelli itineranti, detti akyn, considerati i depositari, biblioteche viventi della memoria storica; nomadi tra i nomadi si spostavano da un villaggio all’altro, celebrando con acclamatissime performance le battaglie e gli amori delle genti kirghise. L’eroe più celebre è Manas e il poema epico che lo vede protagonista, una sorta di Iliade delle steppe messo per iscritto solo nel XIX secolo, è composto da mezzo milione di versi. Solo un ristretto gruppo di akyn, detti manaschi, era in grado di cantare tutta l’epopea di Manas, incantando il pubblico con spettacoli che erano insieme teatro, cinema, poesia e musica.

Tra le varie leggende, la più conosciuta racconta come mai questa popolazione abiti in una zona montuosa, “santuario alpino nel cuore dell’Asia”. Si narra, che un giorno d’estate Dio chiamò a raccolta tutti i popoli, per assegnare a ciascuno una terra in cui stabilirsi e prosperare. Tutti si accalcarono al cospetto di Dio e cominciarono ad accapigliarsi per avere la terra migliore. Tutti, meno i Kirghisi. Essi, essendo un popolo nomade in quella stagione, come sempre, se ne stavano con i loro armenti nei pascoli d’alta quota, così non si accorsero della chiamata di Dio.

Quando arrivò l’inverno, finalmente anche i Kirghisi scesero a valle e trovarono tutti i terreni occupati da altri popoli. Pieni di sconforto si rivolsero a Dio per trovare una soluzione e lui rispose: Mentre assegnavo le terre del mondo, solo voi eravate intenti nel vostro faticoso lavoro, invece di litigare con gli altri, per avere il luogo migliore dove vivere. Per questo, io vi dono la mia dimora estiva.

Da allora in questa terra, “dono di Dio”, sorgono le suggestive Yurte, Case di legno, tonde, coperte di feltro che i Kirghisi si portano dietro ovunque vanno (Marco Polo). Abitazioni tradizionali dei nomadi che, ancora oggi, come grossi funghi bianchi, nella regione centrale del Paese costellano i pascoli verdeggianti. In queste abitazioni il cui cuore è il focolare, oltre a dormire e consumare i pasti, le famiglie si riuniscono per prendere decisioni che riguardano la comunità. Tutta la vita sociale dei kirghisi ruota intorno alle Yurte.

Un’altra leggenda merita di essere ricordata. C’è un’immensa valle a cavallo tra il Kirghizistan, il Kazakistan e la Cina, che costituisce l’accesso orientale al lago Issyk-kul. Se fosse vera la leggenda di Dio che dona la propria dimora estiva ai Kirghisi, probabilmente questo popolo sarebbe passato di qua per arrivare alla terra promessa. Così narra lo scrittore Čyngyz Ajtmatov nel suo libro: “Il giorno che durò più di un secolo”, dove descrive la discesa dei popoli kirghisi, provenienti dalla Siberia, lungo la valle di Karkara. I pochi viaggiatori che si spingono fin qui potrebbero notare, ad un certo punto, una collina di sassi dai vari colori. Chi avrà la fortuna di individuarlo sappia che si tratta di un luogo sacro. La leggenda vuole, che da queste parti fosse passato anche il condottiero Tamerlano, sovrano turco dell’Asia Centrale (1336 – 1405), col suo esercito, diretto a oriente, il quale ordinò ai suoi soldati di fare un cumulo di pietre prima di procedere oltre, depositando un sasso ciascuno. Anni dopo, tornando dalla spedizione, i reduci raccolsero una pietra per riportarla casa. Quelle che restano e rimangono lì, ancora oggi, ricordano i soldati morti e dispersi. Un memoriale che ogni caduto aveva innalzato, con malinconia, a se stesso, tra i monti del paradiso.

suor Maria Luisa Casiraghi

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