Trascriviamo qui di seguito alcuni stralci dell’articolo di p. Vladimir Pachkov S.I., pubblicato su “Civiltà Cattolica” n. 4043, p. 486 – 493.
Sebbene il cristianesimo vi sia nato e fino alle conquiste arabe del VII secolo vi abbia avuto il suo fulcro, generalmente l’Asia viene considerata un continente caratterizzato religiosamente dall’islam, dal buddismo e dall’induismo. Solo pochi sanno che, anche dopo che i musulmani ne ebbero conquistato i luoghi di origine, il cristianesimo si diffuse in tutto il territorio compreso tra la Mesopotamia e il Pacifico attraverso l’intero continente eurasiatico. Nonostante ci siano testimonianze dell’esistenza della Chiesa greco-ortodossa in Asia centrale già nei primi secoli dopo Cristo, il merito principale della diffusione del cristianesimo appartiene alla Chiesa a lungo nota come “nestoriana”, i cui adepti si definiscono “Chiesa apostolica d’Oriente” (o “Chiesa siriaca”).
La principale zona di missione di tale Chiesa fu l’Asia centrale, nei territori tra il Fiume Amu Darya e il lago d’Aral a ovest, la sponda cinese del Pacifico a est, le montagne dell’Himalaya a sud e la Siberia a nord. In questa immensa regione, con le sue montagne, i deserti, le steppe e le fertili valli dove un tempo i missionari annunciavano il Vangelo, ora ci sono la Cina, la Mongolia, il Kazakistan, l’Uzbekistan, il Kirghizistan e la regione siberiana della Russia. Il cristianesimo siriaco fece il suo ingresso in queste terre già prima del III secolo. (…).
Non potendo fare qui una descrizione generale del cristianesimo in tutti i Paesi dell’Asia centrale, ci concentreremo sul Kirghizistan. Questo è fino a oggi uno dei Paesi più liberi, e quindi più vari, dell’Asia centrale, anche per gli aspetti religiosi. Vi si possono trovare non soltanto musulmani, ma anche cristiani di diverse confessioni, baha’i, ebrei, e persino – cosa rara per l’attuale Asia centrale – buddisti di una scuola giapponese.
I primi cattolici – dopo quasi 6 secoli di assenza – arrivarono in Kirghizistan alla fine del XIX secolo; nella valle del Fergana, a Oš – una delle più grandi e antiche città, fondata 3.000 anni prima di Cristo –, i cattolici erano il 15% di tutti gli abitanti europei. Non avevano però una propria parrocchia, e il sacerdote doveva venire da Tashkent, a quel tempo la capitale dell’intero Turkestan russo. Nell’era sovietica il numero dei cattolici aumentò in seguito alla repressione dei tedeschi e dei polacchi del Volga. Ad essi si aggiunsero i cattolici provenienti dai Paesi baltici e i coreani dell’Estremo Oriente.
Fino alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, la vita religiosa dei cattolici in Kirghizistan si svolse clandestinamente e senza sacerdoti, perché in quel periodo questi erano relegati nei gulag.
Annuncio e dialogo: la Chiesa nell’odierno Kirghizistan
Nel 1997 il Kirghizistan divenne una missio sui iuris, dipendente direttamente dalla Santa Sede. Nel 2006 il Papa istituì l’Amministrazione apostolica in Kirghizistan, e il primo vescovo della Chiesa Cattolica fu mons. Nikolaus Messmer. Oggi l’Amministratore della Chiesa cattolica in Kirghizistan è l’ex superiore della regione gesuita russa, p. Anthony Corcoran. Nel Paese ci sono tre parrocchie: una a Bishkek; una a Talas, nell’ovest della regione, e una a Zalabad, nel sud. Sono presenti anche diverse comunità più piccole.
I cristiani giunti nella regione nel periodo successivo alla conquista del Kirghizistan da parte dell’Impero russo e nel periodo sovietico – compresi non soltanto i russi ortodossi e gli ucraini, ma anche i cattolici tedeschi e polacchi, i luterani tedeschi e piccoli gruppi di protestanti (battisti, mennoniti e altri) – cominciarono a lasciare il Paese dopo il crollo dell’Unione Sovietica, perché temevano una crescita del nazionalismo kirghiso e la successiva islamizzazione.
La Chiesa ortodossa anche nell’Asia centrale rimane principalmente limitata ai russi etnici, con alcune eccezioni.
Sono soprattutto i diversi gruppi di protestanti a recarsi nei Paesi musulmani. In alcune regioni essi possono diventare oggetto di persecuzioni, o di limitazioni da parte dello Stato, mentre in altre vengono accolti calorosamente: dipende molto dai singoli Paesi.
I musulmani che si sono convertiti al cristianesimo sono trattati come apostati. Anche se fino a oggi l’ostilità musulmana verso di loro non è giunta a forme di violenza, la loro vita comunque è molto difficile.
La sfida che i cristiani devono affrontare oggi è rappresentata non tanto dal fatto che i governi, nella loro lotta contro la radicalizzazione religiosa, tengano sotto controllo anche la religione cristiana e limitino le pratiche religiose, ma dal rischio che, soprattutto in uno Stato relativamente democratico come il Kirghizistan, l’islamizzazione incalzante porti gli islamisti al potere. Perciò è importante la semplice presenza dei cristiani accanto ai musulmani, soprattutto accanto ai giovani, che si rivelano molto aperti.
In Kirghizistan ci sono più opportunità che in altri Paesi per entrare in dialogo con i musulmani: anche con gli studenti turchi; con gli uiguri provenienti dal Turkestan orientale in Cina; con i kirghisi e con gli stessi uzbeki, molto più che in Russia, dove arrivano come lavoratori stranieri e vivono appartati nelle loro piccole comunità. Sono occasioni che non dovrebbero andare perdute.
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