IL DISCEPOLO AMATO

Abbiamo la testimonianza nel Vangelo di una speciale predilezione da parte di Gesù per uno dei suoi discepoli, quello che lo stesso Vangelo chiama più volte «il discepolo che Gesù amava».

A questo riguardo occorre dire alcune cose:»»

Innanzitutto il «discepolo amato» rimane anonimo lungo tutto il racconto. La sua identificazione con l’Apostolo Giovanni è sicuramente la più probabile e accreditata, ma è interessante che il Quarto Evangelo lo lasci nell’anonimato.

Inoltre per il Vangelo di Giovanni la vicenda di questo speciale discepolo è racchiusa negli eventi della passione, morte e risurrezione di Gesù. Durante l’ultima cena egli è appoggiato al petto di Gesù (13,23-26), in una posizione di intima familiarità – simile a quella di Gesù col Padre che è detto essere «nel seno del Padre» all’inizio dello stesso vangelo 1,18 – ed è a lui che Gesù rivela l’identità di colui che lo avrebbe presto tradito.

Lo ritroviamo con lo stesso appellativo ai piedi della croce al momento della morte di Gesù – e si suppone l’unico dei discepoli dato che tutti gli altri «lo abbandonarono e fuggirono» (Mt 26,56; Mc 14,50). A lui Gesù affida la Madre e al contempo viene lui stesso affidato alla Madre (19,26-27). In seguito, al mattino di Pasqua assieme a Pietro il «discepolo che Gesù amava» corre al sepolcro a verificare l’annuncio ricevuto da Maria Maddalena, e entrato «vide e credette» (20,2-8). E ancora, sul lago di Tiberiade, quando Gesù appare nel primo mattino sulla riva ai discepoli che erano usciti in barca a pescare è il «discepolo che Gesù amava» che si accorge per primo che quell’uomo sulla riva «è il Signore» indicandolo a tutti gli altri (21,7).

L’ultima menzione del discepolo amato è curiosa: Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?» (21,20-23). Pietro aveva appena ricevuto solennemente l’incarico di pascere il gregge di Gesù (Gv 21,15.16.17) ma sembra preoccupato della sorte del discepolo amato. Gesù usa parole misteriose per indicare il tipo di rapporto di quel discepolo con Lui e il suo destino, invitando Pietro semplicemente a «seguire».

Cosa significa tutto ciò? Cos’è questa predilezione? E chi è il Discepolo Amato? È colui che ha ricevuto da Gesù una predilezione particolare per poter entrare nel Suo mistero di morte e risurrezione. È una indicazione importante: solo l’amore comprende, solo l’amore riconosce, solo l’amore rimane a dispetto di tutto. Il Discepolo Amato è dunque colui che si lascia amare da Gesù e in questo modo gli è permesso di penetrare il mistero d’amore del Padre in Gesù, di coglierlo, di farlo suo e di testimoniarlo.

Questa fondamentale caratteristica di conoscenza per amore è necessaria a tutta la Chiesa e ad ogni discepolo, tanto che anche Pietro ha in qualche modo dovuto viverla a pieno (Gv21,15-18): «Pietro mi ami? Tu sai tutto, Signore, tu sai che io ti amo!»). L’anonimato del Discepolo Amato in questo senso è geniale da parte dell’evangelista Giovanni: non si tratta di qualcuno di identificabile, ma di qualcuno in cui identificarsi! Ogni discepolo di Gesù è un Discepolo Amato, proprio perché è l’unico modo per entrare e rimanere nel suo mistero, per conoscerlo, per riconoscerlo, per testimoniarlo. Possiamo ora capire meglio anche la strana affermazione di Gesù fatta a Pietro quando egli domanda «che ne sarà di lui?» (21,21). Gesù risponde: «Se voglio che egli rimanga finché io venga a te che importa? Tu seguimi!» (21,22). È necessario quindi che fino alla fine il discepolo rimanga, ovvero che rimanga la familiarità d’amore con Gesù. Senza questo la Chiesa sarebbe solo una istituzione umana con grande dottrina, opere, socialità, ma arida, perché senza amore. E questo ovviamente non è di uno solo, ma di tutti quelli che raccolgono la sfida di amore di Gesù.

È in questo modo che si comprende allora anche il particolare ruolo di Pietro nella compagine ecclesiale, che non è alternativo a quello del Discepolo Amato. Anche per Pietro nel suo rapporto con Gesù e per ciò che riguarda il suo ministero la questione fondamentale è quella dell’amore: mi ami Simone? Si, Signore, tu sai che io ti amo! Pasci le mie pecore (21,15-18).

Pietro riceve un ministero proprio e unico per l’utilità di tutta la Chiesa, perché sia garanzia di unità nella fede e nella carità (tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa: Mt 16,18; Conferma i miei fratelli: Lc 22,32; pasci le mie pecore Gv 21,15.16.17) attraverso il governo universale, la predicazione e la santificazione. La sua validità però non dipende dalle capacità umane ma dalla indefettibile fedeltà di Dio. Certo, ai nostri occhi è quasi scandaloso che abbia scelto non il migliore, ma perfino colui che lo ha rinnegato. Ma proprio questo ci deve far pensare che il vero Pastore, al di là di tutti i limiti e tradimenti umani, è sempre Gesù, e che solo la sua presenza e azione amorosa garantiscono la solidità della Chiesa. Come? Con l’invito a diventare tutti dei Discepoli Amati, gente che si lascia amare da Gesù, infatti il vero cuore pulsante della vicenda cristiana nella storia è la predilezione amorosa del Signore Gesù che fa diventare i suoi discepoli che l’accolgono, ognuno e tutti possibilmente, Discepoli Amati.

Chiediamoci:

Siamo Discepoli amati, ne siamo convinti? Ci lasciamo amare da Gesù?

Posiamo il nostro capo sul cuore di Cristo per trovare conforto e vita nuova?

Essere discepoli amati significa stare accanto a Gesù fin sotto la croce…

sr. Renata Conti MC

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *