Tante volte leggiamo i vangeli affrontando un brano in particolare. La liturgia stessa, che solitamente ce ne propone al massimo mezza pagina, ci aiuta ad andare in quella direzione, che è direzione utile perché ci stimola ad andare in profondità, ma che rischia di non farci più cogliere l’insieme, come quando studiamo le diverse opere d’arte di una città ma solo nel visitarla ci accorgiamo che questo monumento è vicino a quella chiesa, e che l’accostamento è significativo.
Leggendo, ad esempio, il vangelo di Marco, il primo ad essere stato scritto, ci accorgiamo che è come diviso in due grandi parti: i primi otto capitoli (o poco di meno) sembrano riassunti dal titolo “Cristo”, che apre (Mc 1,1) e chiude (Mc 8,29) la prima metà, mentre gli altri capitoli sembrano avere come titolo “Figlio di Dio” (Mc 1,1; 15,39).
Un Dio per l’uomo
“Cristo” è la traduzione greca della parola “Messia”, che significa “unto” ma che richiamava l’antica speranza, nutrita dai profeti, che Dio avrebbe un giorno deciso di prendersi cura direttamente del proprio popolo, o davvero in prima persona (Ger 31,31-34), oppure mandando un suo rappresentante assolutamente affidabile (Is 7,10-14; 11,1-9; Mi 5,1-5).
In qualche modo, quindi, “Cristo” dice la risposta di Dio all’attesa umana (la seconda metà del vangelo segnerà in modo più chiaro la proposta divina diretta all’uomo). È il Dio invocato che si fa presente. Sì, ma come? È questo che il “primo quarto” del vangelo di Marco ci svela: è un Dio che elimina tutto ciò che impedisce agli uomini di entrare in relazione con gli altri uomini, che si tratti di malattie (Mc 1), di leggi religiose (Mc 2), persino della famiglia (Mc 3,20-25) o del desiderio che tutto funzioni al meglio con piena efficacia (Mc 4). Il Dio che viene nel mondo, insomma, non si mette a insegnare, non si fa venerare, non rimprovera e giudica, ma si preoccupa che riusciamo a vivere bene, dove “vivere bene” significa soprattutto entrare in relazione con gli altri.
Libertà del cuore
Se però alcune schiavitù sono più immediate, e quindi forse anche più “semplici” da eliminare, altri limiti sono più subdoli, nascosti, eppure altrettanto incisivi, e anche su questi Gesù interviene.
Nella guarigione di un indemoniato in Mc 5,1-20, sembrerebbe quasi che l’evangelista cominci a ripetersi, ma qui l’attenzione è molto più concentrata sulla reazione dei compaesani del guarito, che fino all’incontro con Gesù rompeva i ceppi a cui lo legavano, viveva nei sepolcri e si colpiva con pietre. Dopo lo trovano seduto, vestito e capace di parlare con senno, ossia di comportarsi da essere umano. Eppure, troveranno da lamentarsi con Gesù del fatto che i loro preziosi maiali si sono gettati nel lago… come se il danno economico non valesse il recupero di una vita umana: anche questa “malattia”, molto più nascosta, ci impedisce di essere liberi.
Nel meraviglioso, doppio, episodio di Giairo e dell’emorroissa (Mc 5,21-43), poi, incontriamo altri condizionamenti psicologici. Nel mondo di Gesù i bambini e ragazzi non erano considerati importanti. Affliggersi per la salute di un piccolo era probabilmente considerato un po’ bizzarro. Quando poi lo si faceva per una femmina, ancora di più. Se in più a farlo era un uomo, la cui felicita e realizzazione non dovevano dipendere dalle figlie, peggio ancora. Quando inoltre quell’uomo era un capo di sinagoga, ossia un personaggio importante nel paese, colto, capace di cogliere la verità di Dio e quindi di muoversi con saggezza, la sua preoccupazione doveva di certo sembrare disonorevole. Eppure non solo Giairo si affligge per la sorte della propria figlia dodicenne (mettendo al centro della sua valutazione non la convenienza sociale o l’utilità economica, ma il rapporto personale), ma per salvarla va a parlare a un predicatore itinerante malvisto dal sinedrio, lui che del sinedrio è anche, in qualche modo, il rappresentante nel paese. E dopo tutto questo mortificarsi (liberandosi, in realtà, dai condizionamenti sociali), Gesù lo fa aspettare, perché deve prima chiarire con una donna impura che cosa le sia successo. La donna che Gesù guarisce dalle perdite di sangue, infatti, è impura proprio perché perde sangue, e contamina tutto ciò che tocca… Ecco perché lei si vergogna così tanto e si nasconde, quando Gesù la cerca. Eppure Gesù, quando lei finalmente si denuncia, la chiama come non fa con nessun altro nel vangelo: “Figlia” (Mc 5,34). E poi consola e incoraggia Giairo, appena raggiunto dalla notizia della morte della propria figlia.
Dai condizionamenti psicologici anche Gesù deve guardarsi: che cosa deve aver pensato davanti al rifiuto da parte dei suoi compaesani (Mc 6,1-6), o quando manda i dodici in missione, restando da solo (6,7-13), o alla notizia che quel Battista che aveva in parte imitato e che lo aveva ispirato era stato ucciso dal re (6,14-29)? Non riesce neppure a riposarsi (Mc 6,30-34).
I condizionamenti, le paure, sono altrettanti possibili attentati alla libertà autentica della persona. Anche su questi il Dio che entra nel mondo interviene, e ce ne libera.
Solo per gli ebrei?
A questo punto il volto del Dio di Gesù dovrebbe essere chiaro. Ma c’è probabilmente ancora un problema, serio, che potrebbe condizionare i suoi lettori. Se Gesù si presenta come messia che risponde alle attese degli uomini, non si dovrebbe dire che quelle attese erano riservate soprattutto o esclusivamente a coloro che erano in attesa del messia? Il messaggio di Gesù poteva essere limitato agli ebrei? In fondo, Gesù quasi mai si allontana dalla sua terra…
Qui Marco mette in piedi un’entusiasmante costruzione che dovrebbe convincere tutti del contrario, anche se lo fa in un modo “narrativo” che potrebbe sfuggirci, soprattutto se leggiamo i brani evangelici uno staccato dagli altri. Racconta infatti la moltiplicazione dei pani: Gesù che si incarica di rispondere ai bisogni dell’uomo dà anche, ai suoi discepoli, fisicamente da mangiare. Salvo che Marco racconta la moltiplicazione dei pani due volte (Mc 6,34-44; 8,2-12). Se proviamo a leggerle in parallelo, ci è più chiaro perché lo faccia.
La prima moltiplicazione arriva dopo il discorso su Erode e sul Battista, due personaggi che non possono che essere situati in un contesto ebraico (6,14-29), mentre la seconda segue due miracoli nella regione di Tiro e Sidone, ossia fuori dalla terra d’Israele, in uno dei quali miracoli Gesù si trova a discutere se sia giusto o no fare miracoli per dei pagani, e pare che la donna che gli chiede di guarirle la figlia gli insegni che fino ad allora Gesù si era sbagliato (7,24-37).
Da una parte troviamo Gesù che si commuove della folla, che sono come «pecore senza pastore» (6,34), immagine che richiama tanti testi profetici (Sal 23; Is 40,11; 44,28; Ger 38,10). Dall’altra ci si dice che ha pietà della folla, perché già da tre giorni è con lui. I “tre giorni” non possono che ricordarci la risurrezione, che è probabilmente il motivo per cui i non ebrei restano attratti e affascinati da Gesù, non certo perché è in sintonia con i testi dell’Antico Testamento.
Nella prima moltiplicazione gli portano cinque pani (Mc 6,38), “cinque” come i libri della Torà, mentre nella seconda gliene portano sette (8,5), dove “sette” nella tradizione ebraica rimanda sempre, come “settanta”, ai pagani (secondo Gen 10 le nazioni non ebree sono 70, o 72; Settanta sono infatti anche i traduttori che hanno reso in greco la Bibbia ebraica).
Nel primo brano distribuisce i pani dopo averli “benedetti” (tipica preghiera ebraica sul cibo), nel secondo dopo aver “reso grazie” (il verbo è quello dell’eucaristia, è caratteristico dei cristiani non ebrei). Da una parte si avanzano dodici panieri di cibo. Dodici, come i patriarchi e le tribù, e “panieri”, parola che indicava un contenitore fatto di vimini intrecciati senza alcun altro materiale, dunque puro, adatto a portare alimenti puri e per questo motivo utilizzato soprattutto dagli ebrei. Dall’altra parte, i cesti (parola più generica) raccolti sono sette, di cui abbiamo già visto il senso.
Ci sarebbero ancora altri elementi in parallelo, nei due brani, ma possono bastare a rendere l’idea, anche perché, poco più tardi, Gesù li metterà insieme, chiedendo quanti panieri e cesti di avanzi erano stati portati via nelle due moltiplicazioni, per poi chiudere solo con «non capite ancora?» (Mc 8,14-21). Sembra che Gesù ci inviti a mettere le due moltiplicazioni insieme, a trattarle come una cosa sola. La salvezza che viene a portare è per entrambi i gruppi di persone.
Dio viene nel mondo perché viviamo bene, per farci incontrare con gli altri, per nutrirci. E questo vale per tutti, ebrei e non ebrei. Dio non fa preferenze o distinzioni.
Angelo Fracchia