AZIENDE “A MISURA DI DONNA”

Un giorno di ventisette ore, invece di ventiquattro. Dieci anni fa ha fatto scalpore una ricerca della Camera di Commercio di Milano, la quale rivelava, che, tra le qualità che distinguono la donna dall’altro sesso, c’è anche quella di riuscire a dilatare a ventisette ore la propria giornata. Come? Facendo mille cose insieme. Con questa iperattività, diceva la ricerca, le donne riuscirebbero a mettere da parte tre ore in più al giorno, ben un’ora in più rispetto agli uomini.

Preparate (in tutta Europa le laureate superano di numero i laureati) e talentuose, appassionate, multitasking, le donne lavorano molto di più degli uomini, anche se questi ultimi passano più tempo in ufficio.

Ma, nonostante tutte queste doti riconosciute da ricerche e studi internazionali, anche in Italia l’occupazione femminile e l’esigua presenza di donne alle posizioni apicali sia nelle imprese che in politica restano questioni aperte.

Per quanto formate (con laurea e master), le donne si scontrano con il “soffitto di cristallo”. Ovvero, non riescono neppure ad avvicinarsi ai livelli di carriera, di guadagno, ma, in generale, di occupazione e tipologia di contratto riservati agli uomini.

In Italia, quindi, nascere maschio o femmina condiziona ancora le opportunità economiche e di carriera. L’organizzazione troppo rigida del lavoro penalizza in primo luogo le donne con carichi familiari. E, con l’avanzare dell’età, il “gender gap” aumenta. Considerando le lavoratrici dai 50 anni in su, appare evidente il fenomeno della “generazione sandwich”. Le cinquantenni sono “schiacciate” tra figli non ancora indipendenti, nipoti che sopraggiungono e genitori che necessitano di assistenza sempre più a lungo. In questo quadro, sono inevitabili problemi di conciliazione famiglia-lavoro. E le donne sono sotto doppio attacco, perché vivono, come raccontato dal rapporto Talenti senza età, donne e uomini over 50 e il lavoro, discriminazioni di genere e di età.

Eppure, dice una recente ricerca della Fondazione Marisa Bellisario e Intesa Sanpaolo, che un aumento del 5 per cento dell’occupazione femminile in Italia (ovvero dal 55 al 60 per cento) farebbe salire, quasi “meccanicamente”, il pil nazionale fino al 7 per cento. Perché quindi non provare a invertire questa rotta?

Ci stanno provando, con la loro opera di sensibilizzazione, diverse organizzazioni e associazioni d’imprese al femminile. Per esempio “Aidda”, l’associazione di imprenditrici e donne dirigenti di azienda o “Gammadonna”, che sostiene l’imprenditoria femminile. E, ancora, “Valore D”, organizzazione di 180 imprese che promuove l’equilibrio di genere. Nel novembre scorso, il “Winning Women Institute”, società impegnata nella diffusione del principio della gender equality (uguaglianza di genere) all’interno del mondo del lavoro, ha premiato le prime imprese italiane certificate con bollino rosa: Cameo, Grenke Locazione Italia, Ales Groupe (brand Lierac, Phyto e Jowaé) e Biogen. I pilastri della certificazione sono proprio il rispetto dell’equità remunerativa, un’equilibrata percentuale di donne dirigenti in azienda, pratiche aziendali per la gestione della differenza di genere e per la tutela della maternità. “Spero solo sia l’inizio di un percorso innovativo – ha commentato in proposito Maria Claudia Torlasco, presidente nazionale di “Aidda” –. Siamo convinte che una maggiore attenzione verso la parità di genere nelle imprese e nel lavoro debba diventare centrale nelle politiche pubbliche, anche solo per il fatto che tutte le recenti ricerche dimostrano come le aziende guidate da donne siano più competitive. Oggi meno della metà delle donne sono impegnate in attività lavorative e professionali. Un gap ancora troppo vasto rispetto alla media europea del 62%. Sono pertanto urgenti iniziative legislative in tal senso e un forte piano di investimenti che possano aiutare tutte quelle imprese che vogliono crescere al femminile”.

Tra i talenti delle donne spicca la creatività, la capacità di rinnovare mondi che possono apparire “ingessati”. Basta pensare alla storia di Silvia Bolzoni, fondatrice della “Zeta Service” di Milano, impresa da 15 milioni di euro di fatturato.

All’inizio della sua carriera, anche lei ha vissuto le rinunce che spesso le donne lavoratrici si trovano ad affrontare. E allora ha creato un’azienda “a misura di donna”, con tanti vantaggi mirati proprio alla conciliazione fra vita privata e professionale. Come si lavora alla “Zeta Service”? Prima di tutto, non si timbra. “Conta il risultato, l’orario è flessibile”. E poi, se i bimbi sono a casa malati, i genitori in quei giorni possono lavorare da casa. “Una nostra dipendente ha dovuto trasferirsi per mesi in Puglia, per stare accanto alla madre in ospedale. Voleva continuare a lavorare e lo ha fatto in remoto” racconta Silvia con orgoglio.

In ufficio, inoltre, c’è il “maggiordomo aziendale”, che porta i panni dei dipendenti in tintoria o le auto dal gommista. I corsi di yoga e la manicure si fanno in azienda, così come i workshop sulla felicità, mentre alcuni controlli medici, come ad esempio quello per la prevenzione del tumore al seno, vengono periodicamente offerti dall’azienda. “La maternità, poi, è un momento bellissimo e in cui si allenano competenze utili anche sul lavoro come leadership, ascolto, cura, attenzione”, dice. E allora i neogenitori ricevono in regalo un bonus e un master in genitorialità da seguire online. E nei mesi di assenza, se lo desidera, la neomamma viene tenuta al corrente delle novità aziendali con telefonate e newsletter. E chi di figli non ne vuole? “Io sono per la libertà assoluta di scelta – risponde –. Purché sia la donna a scegliere”.

di GIOVANNA MARIA FAGNANI

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