Introduzione: Discepoli si diventa: Gv 13,21-29
Nel Vangelo di Giovanni il rapporto di Gesù con i suoi discepoli è molto particolare e diverso da quello che viene raccontato negli altri tre Evangeli.
Ci sono persone che ci attraggono la prima volta che le incontriamo, perché ci colpiscono lo sguardo dei loro occhi, o un gesto, o anche la loro voce. Può capitare che, invece, una persona diventi importante e inizi a suscitare in noi un’emozione particolare solo dopo qualche tempo da che l’abbiamo conosciuta; a sorpresa viene il giorno in cui qualcosa di lei o di lui ci lascia un segno, un sapore, un sussulto speciale, destinato a imprimersi nella nostra sensibilità e nella nostra mente: è come se solo allora ci accorgessimo davvero di quel micro-cosmo infinito e meraviglioso che sono il suo viso o il suo sorriso. L’effetto è quello della nascita del desiderio di approfondirne la conoscenza, di risentirci, di frequentarci; ne restiamo, insomma, “sedotti”. Spesso tutto ciò è la culla di una storia più o meno duratura, ma che sempre ha un suo sviluppo e che può anche diventare determinante per noi, se non, addirittura, cambiare per sempre la nostra vita.
Una persona che amiamo può farci diventare un’altra persona; se in lei troviamo affinità, empatia, simpatia, corrispondenza, tale rapporto diventa essenziale e fonte di felicità. Se il rapporto penetra nelle pieghe della nostra intimità, se la sua parola è quella che stavamo aspettando, se crediamo negli stessi valori, se la sua presenza è provvidenziale nei momenti più duri e pericolosi che mi trovo ad affrontare, allora quella persona diventa parte della mia vita.
- Depose le vesti
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto (Gv13,2-5).
La scena descritta in questi versetti è quella della sera in cui Gesù consumò la sua ultima cena con i suoi apostoli. Come è evidente, essa è descritta in modo originale, rispetto agli altri evangelisti: solo nel quarto Vangelo, Gesù, quella sera, lava i piedi agli apostoli. Giovanni inizia notando che era vicina la Pasqua e si avvicinava, quindi, anche il momento in cui il Maestro sarebbe «passato da questo mondo al Padre» (Gv13,1). L’urgenza che colpisce il cuore di Gesù, in queste ultime ore della sua vita terrena, non è, però, la paura, come sarebbe normale per ogni comune mortale, al contrario, è l’abbraccio del suo Amore verso i discepoli: «Avendo amato i suoi li amò fino alla fine» (ibidem). Gesù amava così tanto i discepoli che li chiamava «i suoi amici» che li sentiva parte di sé! È talmente forte l’affetto incredibile di Gesù per quelle persone, che capendo che gli restava ancora poco tempo, voleva usarlo per dir loro tutto il suo amore; voleva immergerli nella sua tenerezza e lo fece con un gesto davvero toccante che rendeva evidente la forza di tale Amore, molto più di quanto non avrebbero potuto fare le parole. Gesù «depose» le sue vesti, e le depone a terra, resta solo con la tonaca dinanzi a coloro che ama… poi prende un asciugatoio e se lo cinge ai fianchi: con quella originale cintura, Gesù asciugherà i piedi degli apostoli, dopo averli lavati, perché anch’essi possano entrare in quel suo grande gesto. Gesù lava i piedi ai suoi apostoli per renderli capaci di amare, a loro volta, ora che sono stati resi “puri” dal suo amore. Questa è la vera purezza: consegnarsi alla pienezza dell’amore! Gesù avrebbe voluto che il profumo, (…il profumo di nardo cosparso da Maria sul suo corpo Gv.12,1-9) e impresso nell’asciugatoio, potesse giungere dai loro piedi fino al loro capo e al loro cuore.
Reclinato sul cuore
Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”.
Nonostante l’amore immenso di Gesù, non tutti gli apostoli si lasciano contagiare da esso; uno di loro lo tradisce, si allontana dal Maestro e risponde a quel suo amore con il disprezzo, la menzogna e la violenza: si tratta di Giuda! La comunità per cui Gesù aveva dato tutto sé stesso era spezzata, lacerata, divisa. Il “bagno” d’Amore che Gesù aveva operato con loro non era riuscito con tutti; anzi, forse era riuscito fino in fondo soltanto con uno di loro: il «discepolo amato». Lui era l’unico che aveva la testa sul seno di Gesù. La scena è di una dolcezza infinita e disegna la potenza dell’amicizia profonda, della lealtà, della sintonia, della comunione tra due persone. Chissà quanto bene avrà fatto a Gesù sentire la testa di quel discepolo “piegata” sul suo petto, chissà quanta tenerezza! Abbiamo bisogno di amicizia vera, di fedeltà, di tenerezza; tutti, anche Gesù! In quella sera, che sarebbe stata l’ultima per lui sulla terra, ciò di cui Gesù aveva bisogno era di qualcuno che lo amasse, che gli fosse accanto, che gli desse calore e compagnia.
Ma perché a tutti gli altri fu impossibile fare altrettanto? Sentire e mostrare a Gesù lo stesso affetto? Perché neppure Pietro, che poi diventerà il “pastore” della Chiesa (Gv21,15), dovette chiedere ad un altro di intervenire per conoscere il nome di colui che stava per tradirlo?
Quando il cuore va da un’altra parte o si ritira nelle sue solitudini, il filo rosso dell’intesa, della complicità, dell’amicizia, si rompe. Gesù soffrirà molto dell’abbandono dei suoi amici. Ma neppure il Figlio di Dio può costringerci ad amare: l’amore è un atto di libertà, che si rende in maniera gratuita, ed anche Gesù, il Figlio di Dio, non può oltrepassare questo confine. Ma beato quel discepolo che disse «sì» all’amore di Gesù; che liberamente si legò al Maestro e restò con lui sino alla fine fino ai piedi della Croce.
Il discepolo amato da Gesù è l’unico che può avere un contatto diretto con lui, perché soltanto lui ha un posto nel cuore del Signore conquistato con la fedeltà, con l’amore senza ritorni, senza mezze misure. Per conoscere i segreti dell’anima dell’altro occorre custodirne il mistero, legarsi alle sue istanze più remote. Solo così si diventa amici e tutto diventa condiviso. Non c’è una ricchezza che si possa acquistare nella vita più grande di un legame d’amore: l’unico che, da un lato, può rompere la solitudine.
- Ecco tua madre: Gv19,25-27
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleope e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Tre donne, tutte e tre si chiamano «Maria»; sono la famiglia di Gesù. Nessun uomo di casa sua! Tutta la “parentela” che affronta il ‘disonore di quella crocifissione’, è fatta di donne che stanno ai piedi del corpo crocifisso; un corteo minuto, muto e misterioso. Si sono viste così poco le donne di Gesù nel racconto evangelico; di loro non sappiamo quasi nulla. La madre l’abbiamo lasciata a Cana, alla festa di quel matrimonio in cui Gesù trasformò l’acqua in vino, poi è sparita dalla scena eccetto una volta costretta dai parenti a chiedergli di tornare a casa; la sorella di sua madre la incontriamo qui, per la prima volta e, ugualmente, la Maddalena. Il Vangelo di Giovanni è l’unico che ritrae questa scena che gli altri Vangeli non riescono a fotografare. Gesù! Un figlio che muore crocifisso e non c’è nessuno a gridarne la denuncia, a rivendicarne la giustizia, custodirne l’ignobile destino; nessun uomo, nessun goel (‘il vendicatore del sangue’) per quel figlio… solo un fragile corteo di donne, impedite di parola, capaci però di stare inchiodate alla vergogna di un morto senza diritto di lutto.
Gesù muore per la madre, con lo stesso mistero con cui era arrivato nel suo ventre; Maria non ha potuto trattenere nulla di lui, neppure una lacrima.
Nella cultura del tempo le donne avevano il ruolo delle lamentazioni funebre. Le donne coprono col loro pianto l’oscenità di ogni morte, esprimono il rigetto della fine e la brama dell’esistere, rivendicano la vita che è sorta nel loro ventre (cfr. il lamento su Gerusalemme in Ger 9). Allo stesso tempo quel loro pianto rituale ha una funzione di riparazione: vuole cicatrizzare la ferita che si è aperta; permettere alla famiglia di ritrovare quell’equilibrio che la venuta meno di un suo membro ha rotto. Tutti gli atti del lutto servono a riconciliarsi con la vita, per tenere la morte sotto controllo e far sì che non sia essa ad avere l’ultima parola.
Ma le donne di Gesù non piangono, non gridano, non fiatano. Non c’è rito per lui, non è ammesso per un condannato alla morte di croce, un impuro, perché vittima della maledizione a cui lo hanno esposto: si è fatto Figlio di Dio, «Ha bestemmiato», hanno detto i Giudei; per questo non meriterà un funerale: quel corpo è da gettare via. Ma quel gruppetto di donne sfida l’assurda pretesa dei Giudei per seguire il corpo del loro amato. Anche il loro è un gesto illegittimo: il crocifisso, infatti, non merita neppure la pietà dei parenti.
«Ecco tuo figlio»: figli si diventa
Le parole di Gesù suonano serene, non appare nessuna angoscia da ciò che esce dalla bocca del Figlio di Dio: Gesù si sente vicino alla Gloria del Padre. Ma sua madre resterà sola di lui: Gesù si preoccupa per lei. Chi lo farebbe, in una simile situazione? L’ultimo pensiero di Gesù è per sua madre. Lui che si era commosso il giorno che, a Nain, si era imbattuto nella madre, vedova, di un ragazzo morto, al seguito della sua bara (cfr. Lc 7,11-17); non aveva resistito dinanzi alle lacrime di quella vedova… non aveva potuto sopportare il deserto che si era aperto sul cuore di quella povera donna. Un morso alle viscere, aveva sentito Gesù, di fronte al dolore di una madre; e aveva richiamato il ragazzo alla vita per restituirglielo. Ora deve consolare sua madre. Ma come? Gesù non scende dalla Croce per risparmiare lo strazio a sua madre; e lei deve bere quel calice sino in fondo.
In che modo si potrebbe riparare al danno della perdita di un figlio? Col dono di un altro figlio. Non per sostituire: nessuno è sostituibile! Ma perché il filo della presenza non si spezzi. Gesù aveva un «discepolo amato», non per caso anonimo: è lui che dona a sua madre: un pezzo del suo cuore, una parte di sé stesso. Quel discepolo siamo tutti noi, ha i nomi di noi tutti. In lui la nostra vita prende senso. Nel diventare «figli» di una madre che ci accoglie per amore e nell’Amore di suo Figlio genera anche noi discepoli.
Il discepolo amato diventa, dunque, figlio di Maria; mentre Gesù, piano piano ritorna al Padre. C’è una responsabilità anche nell’essere figli, non solo nell’essere madri. «Figlio, ecco tua madre», dice Gesù al discepolo: non è una sorta di ripetizione del concetto già espresso con Maria, ma la precisa volontà di rendere consapevole il nuovo «figlio» di ciò che significa prendere con sé una madre. La figura di Maria è davvero madre del discepolo di Gesù, ma anche madre accolta da lui… Quanta sapienza e quanta emozione in questa scena, negli ultimi momenti della vita di Gesù. Gesù dà un compito sia a sua madre che al suo discepolo più caro: a lei di farsi madre e a lui di farsi figlio di ogni madre abbandonata e sola. Un’arte di reciproca tenerezza che abbiamo bisogno di imparare anche noi.
- La gioia di essere Discepoli e Testimoni: Gv 20,1-5
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Che Maria Maddalena arrivasse per prima al sepolcro del Signore era perfino scontato. La gioia per vedere il primo segno della Risurrezione (= la tomba vuota) l’ha vinta Maria, ancorché nello sgomento per l’assenza del suo corpo. Un fatto che ha un valore anche simbolico e nasconde un messaggio preciso: chi sarà testimone della Resurrezione? Chi è già stato “risorto” da e con lui. Lei era già stata liberata da ogni male, dal Signore; il calore delle sue parole, cariche di compassione e di comprensione, di condivisione avevano fecondato e convertito il cuore di lei, facendola entrare in una vita nuova. Maddalena è il primo tralcio sbocciato da quella Vite che è il Signore Risorto (cfr. Gv 15,1-8).
Adesso occorre svegliare gli altri discepoli perché partecipino anch’essi alla gioia… ed ecco che Maria “corre” per andare a chiamarli! Ne chiama due che erano i più forti: Pietro e il discepolo amato. «Correvano insieme tutti e due», ma per primo arrivò il secondo: non solo perché doveva essere più giovane e veloce, ma soprattutto perché fu capace di stare ai piedi della croce. Un’energia d’amore indefettibile che il discepolo amato aveva imparato dal Maestro lo spinge fino al luogo della Vita e della Risurrezione… In questa corsa siamo coinvolti tutti/e noi..
Riflessione e preghiera:
- Mi lascio coinvolgere dal gesto di Gesù…. Tu lavi i piedi ame?…
- Mi consegno alla pienezza del suo amore?
- So, come le donne, sfidare l’assurda pretesa della società di oggi per seguire il corpo dei crocifissi della nostra storia?
- Figli si diventa: Maria Madre tenerissima ci sono anch’io accanto a te…
- Anch’io come il discepolo amato sento la forza che mi spinge fino al luogo della Vita….?
sr. Renata Conti MC