Cambogia, un Paese asiatico lontano dalla nostra cultura e dai nostri interessi. Balza alla ribalta dei “media” mondiali durante il periodo più triste della sua storia: la “dittatura dei Khmer Rossi (1975-1979). In questi quattro anni circa 2 milioni di persone – un quarto dell’intera popolazione cambogiana – fu uccisa dai Khmer Rossi, o morì per le conseguenze del duro regime imposto su tutto il Paese. Il 90% degli artisti cambogiani fu ucciso.
La danza, espressione della cultura della Cambogia, fu quasi spazzata via dal regime guidato da Pol Pot. Poche ballerine sopravvissero nascondendo la loro identità e la loro arte riuscendo a trasmettere le loro conoscenze alle generazioni più giovani che, dopo quasi un decennio, diedero nuova vita all’Apsara, danza antica, che risale al 600 d.C..
La danza, nata come veicolo sacro e pratica necessaria per il mantenimento dell’equilibrio cosmico e del benessere sociale, era riservata quasi esclusivamente alle principesse e alle concubine ed ebbe, per secoli, funzione di rituale di Stato, segnando la vita religiosa in tutte le cerimonie della famiglia reale, nei riti propiziatori di prosperità per i raccolti dei campi, che la popolazione coltivava.
I tratti principali che caratterizzano l’Apsara sono: l’eleganza, la bellezza delle linee, la varietà dei ritmi e Il fluire ininterrotto dei movimenti, soprattutto, delle mani; ci vogliono molti anni per imparare i 1165 gesti che costituiscono l’alfabeto base della danza. Ogni movimento ha un significato: adorazione, timidezza, amore, dolore, ira, onestà, gioia…
Le apsaras, così si chiamano le ballerine che interpretano la danza, anticamente indossavano un elaborato costume, che comprendeva eleganti vestiti di seta, splendidi copricapo ingioiellati, preziose collane, orecchini, bracciali e cavigliere.
In uno spettacolo di danza, organizzato nel 1988, il primo, dopo il colpo di spugna del regime di Pol Pot. Ballerine e musicisti, provenienti da tutte le parti del Paese, sul palcoscenico, si abbracciavano, felici di ritrovarsi e piangevano nel ricordo delle compagne e dei compagni scomparsi. Non c’era nulla da cui ripartire, se non la grande voglia di ricominciare: senza testi scritti di musica o di coreografie delle danze, senza i ricchi costumi di sete, ori e broccati delle apsaras di corte, senza maschere e strumenti musicali tradizionali, tuttavia, quello allestito a Phnom Penh, la capitale cambogiana, fu uno spettacolo che attirò un grande pubblico.
Vestite di semplice tela di cotone prodotta nelle nuove fabbriche di stato e al suono di pochi tamburi orizzontali, le apsaras ballarono davanti ad un pubblico commosso, nel rivedere rappresentate sul palcoscenico, danze e tradizioni importanti, ritenute perdute per sempre.
La morbida lentezza dei movimenti amplificava l’effetto teatrale della scena, la fermava nel tempo e nello spazio riportando lo spettatore nei templi dell’antica città di Angkor, culla della cultura cambogiana, centro politico, religioso e sociale del Regno dei Khmer, fiorito dall’800 a metà del 1400, dove alcuni bassorilievi, che rappresentano la danza delle apsaras, sono scolpiti, incastonati nella pietra.
I templi di Angkor, “dimenticati” e avvolti nell’abbraccio delle gigantesche radici aeree dei banyan, ben rappresentano lo stretto legame dell’anima cambogiana con la natura e il profondo desiderio di pace e di armonia di questo popolo asiatico.
L’Apsara, diventata “icona della cultura cambogiana”, nel 2008, è stata inserita nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO.
suor Maria Luisa Casiraghi