AMANTI COME DIO

I cristiani sanno che Gesù ha concentrato tutta la legge nel comandamento dell’amore: ama Dio e ama il prossimo (cfr. Mt 22,36-40; Mc 12,28-34; Lc 10,27). Non si tratta però di un comandamento, per così dire, esteriore. Per capirci, “se mi vuoi bene, imprestami dieci euro” è un appello esteriore: il voler bene non si identifica nel dare soldi, anche se si può esprimere pure così. “Se mi vuoi bene, restami accanto” o “Se ti piace lo sport, corri mezz’ora tutti i giorni” sono invece inviti “interiori”: il voler bene si esprime nel vivere con la persona amata, la passione per lo sport si concretizza facendolo…

Il volto di Dio

Dio nessuno lo ha mai visto (Gv 1,18), ma Gesù ce lo ha mostrato. Chi vede Gesù, vede il Padre, vede Dio (Gv 14,9). E in Gesù vediamo innanzi tutto uno che ama, che si muove a compassione di fronte alle persone (Mt 9,36; 14,14; Lc 7,13). Anche quando si adira, lo fa per amore, contro atteggiamenti che non fanno cogliere il volto buono di Dio o mortificano l’umanità che è negli altri (Mt 23,13-36, contro le guide religiose che non facevano il proprio dovere, di far conoscere Dio, e impedivano a chi cercava Dio di incontrarlo; Mt 21,12-13; Gv 2,14-15, contro i cambiamonete che truffavano i fedeli che cercavano autenticamente Dio). Gesù rende perfetta la legge dell’Antico Testamento (Mt 5,17-18), ma lo fa mettendo sempre al centro il bene della persona umana: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!» (Mc 2,27).

Dopo aver scoperto, in Gesù, il volto pieno, autentico e definitivo di Dio, non si può che coglierlo profondamente in sintonia con l’Antico Testamento e con l’intuizione, sintetica, che «Dio è amore» (1 Gv 4,8). Questo comporta che chiunque ami, è in Dio e Dio è in lui (1 Gv 4,16). Per quanto ciò ci possa stupire, Giovanni è chiarissimo: non dice che bisogna amare in un modo religioso o secondo determinati criteri o sapendo che l’amore viene da Dio. È ovvio che noi a volte chiamiamo “amore” ciò che è solo voglia di possesso o di soddisfazione personale. Ma il possesso o l’uso dell’altro non è amore. Non appena ci troviamo davanti all’amore autentico, che mette al centro l’altro, lì c’è Dio, anche se chi ama non ne fosse consapevole…

Il volto dei credenti

Ecco perché Gesù può dire che tutta la legge si riassume nel “comandamento” di amare Dio e amare gli esseri umani. Non si tratta di fare qualcosa per “passare l’esame” di Dio ed essere ammessi in paradiso. Non si tratta di una tassa da pagare per avere il diritto di fruire dei beni della sua cittadinanza. Molto più profondamente e seriamente, quando scopriamo qualcosa di tanto affascinante da essere promettente anche per la nostra vita, vogliamo immedesimarci, vogliamo diventare come quella cosa intuita, vogliamo viverne la stessa vita.

            È quello che ci dice Gesù: se Dio è amore, amate! Così vivremo allo stesso modo di Dio, seguiremo le sue impronte, ne percorreremo la strada e staremo con lui. Giovanni, allora, può aggiungere: «Chi rimane nell’amore rimane in Dio. […] Noi amiamo perché lui ci ha amati per primo. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo» (1 Gv 4,16-20), perché se amo qualcuno, amo anche tutti coloro che quel qualcuno ama. Chi è amico del mio amico, è come minimo una persona degna di stima. Dio mi ama di quello stesso amore con cui ama tutti gli esseri umani: se amo Dio non potrò che amarli. E se non li amo, suggerisce Giovanni, significa che sono un bugiardo e non amo neppure Dio.

Non è un caso che nel Nuovo Testamento solo una volta si offre un criterio per distinguere i cristiani. Nei secoli si svilupperanno le professioni di fede, le condizioni per restare inseriti nella Chiesa… Ma negli scritti del Nuovo Testamento non si parla mai di questioni del genere. Tranne, apparentemente, in un caso: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Come vediamo, non si tratta tanto di un criterio che garantisca che siamo “dentro la Chiesa”, quanto di un atteggiamento che ci fa riconoscere come discepoli di Gesù. L’unico criterio è l’amore (ecco perché in una parabola Gesù può lodare un samaritano, di per sé un “eretico” e sicuramente meno degno di rispetto di un sacerdote e un levita, ma capace di amare chi si trova davanti sulla strada, senza conoscerlo: Lc 10,30-36).

Il volto degli amanti

Ma se Dio è amore e chi lo segue ama, il discorso non finisce qui, e i vangeli ne sono consapevoli.

«Che tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi […] Siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come ami me» (Gv 17,21-23).

Dio è amore, e i discepoli del Dio-Gesù sono chiamati a vivere dello stesso amore, semplicemente per assomigliargli. Ma Dio è amore anche nelle sue relazioni interne. Si capisce il desiderio delle successive generazioni cristiane di fissare i rapporti tra il Padre e il Figlio nella formulazione molto complessa del “Credo”, ma il Nuovo Testamento è più generico ma anche più chiaro: a unire il Padre e il Figlio è l’amore. Il Padre ama il Figlio e il Figlio ama il Padre. È questo a rendere anche la croce un episodio lancinante ma non crudele, non freddo: il Figlio muore per amore degli esseri umani e fidandosi, come un amante, del Padre, e il Padre lascia che muoia per gli uomini colui che lui ama più di tutto…

            Ma nella sua preghiera nel cenacolo Gesù arriva alle conseguenze ultime. Se ciò che lega il Padre e il Figlio è l’amore, e i discepoli sono chiamati a vivere dello stesso amore, questo amore unirà allo stesso modo anche il Padre e i discepoli. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola non perché i loro rapporti siano opportunamente e dettagliatamente precisati dalla legge, ma perché si amano. Se i discepoli ameranno Dio (e il prossimo) entreranno semplicemente in questo amore. Saranno una cosa sola con il Figlio e il Padre.

In ciò la fede cristiana si mostra coraggiosissima e quasi blasfema. Se Dio è amore, gli uomini saranno chiamati a vivere di questo stesso amore, entrando in quel circolo d’amore che tiene unita la stessa Trinità. Gli uomini saranno chiamati a guardare in faccia il Padre, ad abbracciarsi con il Figlio, a danzare con lo Spirito Santo. Chiamati a essere come Dio: non per natura, quello è un privilegio di Gesù, ma per adozione (Rom 8,15-17). Ma una volta che saremo resi uguali a Gesù, inseriti appieno nel dialogo d’amore che unisce il Padre e il Figlio, anche noi saremo come loro, una cosa sola con loro.

Chi accusa i cristiani, teologicamente, di non mantenere le distanze tra Dio e l’essere umano… ha ragione. Ma la colpa non è dei cristiani: è Dio che non ha voluto considerare un tesoro geloso il suo essere diverso dagli uomini (Fil 2,6), ma ci ha donato di essere come lui. Perché ci ama, e chi ama non sopporta di essere superiore, e separato, dall’amato.

Angelo Fracchia

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