A nord di Ulaan Baatar, capitale della Mongolia, c’è Chingeltei, una delle quattro montagne sacre che attorniano la città. Andando in quella direzione, arrivati a Dambiin Buudal e girando a sinistra, si entra in una valletta dove i missionari e le missionarie della Consolata hanno comprato un terreno.
Qui vivono immigrati dalla campagna che si sono installati su terreni lasciati dal governo, perlopiù senza costruire propriamente una casa ma continuando a vivere nelle gher, le loro tende mobili tradizionali. È per questo motivo che la zona viene chiamata il “Gher District”.
Pochi anni fa, subito dopo l’acquisto, la proprietà non era altro che un terreno in collina, brullo, in salita, circondato da una palizzata di assi come tutti gli altri nella zona. La prima cosa che facemmo fu di metterci una gher. A questo seguì una piccola casetta in muratura e il pozzo dell’acqua. Cominciammo un semplice doposcuola per i bambini della zona che vanno a scuola in tre turni giornalieri. Poiché ormai avevamo un gruppetto fisso di piccolini, tra i 15 e i 30, decidemmo di terrazzare il terreno e adesso ne è venuto fuori un campetto da calcio e basket, un parchetto giochi, un orticello, una serra e altro spazio da definire. Suor Sandra Garay mi spiega gli ultimi sviluppi: “Abbiamo una maestra mongola che viene tutti i giorni, insegna ai bambini, li fa giocare e prepara un po’ di cibo caldo, aiutata da suor Esperanza”. “Quest’anno – interviene suor Esperanza con passione – comincerò a insegnare musica, abbiamo degli ukelele e dei morin khuur, tipici strumenti mongoli. Sono più libera da altre attività e verrò qui da lunedì a venerdì”. Continua suor Sandra: “Abbiamo cominciato un orto e una serra, così adesso abbiamo sempre abbondanza di verdura fresca che prima non era così facile trovare. Questo però non è solo un’attività per noi, ma vorremmo che diventasse un esempio per le famiglie qui intorno. È vero che i Mongoli mangiano soprattutto carne ma usano anche varie verdure. Se potessero produrle direttamente sarebbe un grosso vantaggio per loro. Per questo stiamo pensando anche a un impianto semplice, facilmente replicabile, per la raccolta dell’acqua piovana che possiamo mostrare come esempio alla gente. Qui il clima è molto arido e la gente l’acqua da bere deve andarla a comprare”.
“Quindi lavorate soprattutto coi bambini!”, dico io. “Per adesso sì – risponde suor Sandra – ma stiamo già pensando a fare qualcosa per le mamme, come piccoli corsi di igiene o economia domestica. E poi vorremmo invitare dei medici a fare delle visite regolari. E poi sogniamo una presenza qui più stabile con una casetta dove poter stare di notte e d’inverno. E poi…” “E poi?”, dico io. Lo sguardo va a uno spazio vuoto, in alto, ai limiti del terreno. “E poi… vedi quel punto laggiù? Là ci piacerebbe mettere la chiesa! Alcune persone ci hanno già chiesto quando possono venire a pregare o a fare il catecumenato. Sappiamo però che ci sono persone molto ostili. La ragione sembra essere la presenza di qualche setta protestante che costringe gli adepti a rigettare tutti gli elementi culturali mongoli. Noi invece vogliamo prima conquistare la fiducia della gente, farle capire che siamo qui per voler loro bene”.
“Ti dico una cosa bella – interviene suor Esperanza –. Quest’estate abbiamo fatto un ‘campo’ per i bambini. Vari ragazzi non cristiani dell’Università sono venuti e ci hanno aiutato a organizzare alcune giornate con i ragazzini. Sono studenti di pedagogia che vengono dai quartieri ‘buoni’ della città e non conoscono per niente questa realtà. Oltre a giochi e scuola hanno fatto fare ai bambini delle dinamiche con disegni e altro, per aiutarli a esprimere com’è la loro vita in famiglia”. Qui la suora non mi racconta dettagli ma mi dice che vari dei volontari si sono messi a piangere quando hanno sentito le esperienze dei bambini del “Gher District”. Eh sì, ci sono delle povertà che non sono solo economiche! Quando il ‘campo’ è terminato – continua suor Esperanza – questi giovani ci hanno detto: ma come, voi siete stranieri e fate questo per i bambini mongoli? Vogliamo aiutarvi! E così vari di loro si sono presi l’impegno di venire qui almeno un paio di ore ogni fine settimana”.
Questi sono non cristiani e già hanno imparato uno dei fondamenti del Vangelo: l’amore gratuito per i bisognosi che neanche conoscono. Ditemi voi se questo non è già l’inizio dell’evangelizzazione!
Chiedo a suor Sandra: “Ma come fate a portare avanti tutto questo, voglio dire economicamente, in fondo i cattolici mongoli sono solo 1.200 e non possono aiutarvi”. “Grazie a Dio – mi risponde – “la Provvidenza non manca. Tanti ci hanno aiutato dall’estero per i vari lavori. Il capo della ditta che ha fatto il terrazzamento è un cattolico coreano e ci ha regalato due grossi containers che adesso usiamo come magazzino per la legna e il carbone e nel più grande abbiamo ricavato due aule scolastiche. La cosa che ci preoccupa un po’ sono le spese correnti, come lo stipendio della maestra, il carbone, l’elettricità”.
Vedete quante forme prende l’amore. Una preghiera, un pomodoro, un pezzo di carbone, un campo di calcio, una tazza di brodo di carne, una nota musicale per dire a un piccolino: “Lo sai che anche tu puoi fare qualcosa di bello?”
Una volta ero passato di qua e avevo visto solo un terreno in discesa su una collina brulla e un gran punto interrogativo. Quattro anni dopo sono ripassato e mi pare che un bocciolo stia per fiorire. Sono contento, il cuore mi batte un po’ più forte e sembra voler dire ai nostri missionari: “Dai, dai, dai! C’è speranza. Il bene si fa sentire. Andate avanti!”. Pregate anche voi con me perché l’amore del Signore si manifesti al più presto agli abitanti di Chingeltei in tutte le sue sfaccettature!
Padre Giampaolo Lamberto, imc
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