Tutte le tradizioni religiose, che parlano del rapporto dell’uomo con Dio, lo hanno sempre reso concreto anche in regole, in norme, in leggi, che inevitabilmente si sono moltiplicate per adattarsi ai diversi contesti di vita ma per le quali, insieme, si è sempre sentito il bisogno di raggiungere una sintesi che aiutasse, certo, anche a non dimenticarle ma soprattutto a far capire che cosa avevano di unitario.
L’unità nell’intenzione
Uno dei modi con cui si può raggiungere uno sguardo unitario sulle leggi religiose è quello che parte dall’interno, dall’intenzione che poniamo nel rispettarla.
Può essere interessante notare come nella tradizione ebraica si interpretino le loro molte norme come una “siepe intorno alla Torà”. È come se ci fosse stato donato un giardino magnifico, che è la comunione tra Dio e l’uomo, e che è il tesoro importante. Per difendere questo tesoro, questo giardino, può essere utile cingerlo con una siepe, che da una parte assomiglia al giardino, ma dall’altra le offre confine e protezione. Ossia: se riesco a mantenere intatta questa siepe, manterrò intatto il giardino. Possiamo pensare ad esempio ai dieci comandamenti: il giardino è la comunione con Dio, ma per custodirla posso rispettare il decalogo. Se lo rispetto, custodisco il tesoro che quello racchiude.
E si può proseguire, come se mettessi una seconda siepe a protezione della prima, per essere ancora più sicuro di salvaguardare il giardino. Se, ad esempio, mi do come regola di non alzare la mano a colpire un fratello, sono sicuro che non lo ucciderò, so che rispetterò il comandamento di non uccidere. A essere più importante, in sé, non è però il divieto di colpire un fratello, ma quel giardino (la comunione con Dio) che così facendo rispetto…
In questo modo si possono arrivare a contare i 613 precetti della tradizione ebraica, senza perdere né la loro importanza né il fatto che sono comunque subordinati ad altro, a salvaguardare la comunione con Dio, che è il tesoro prezioso.
Il primo dei comandamenti
L’ebraismo è sempre stata una religione di discussioni e di domande, per cogliere, grazie al confronto reciproco, in che modo seguire al meglio Dio e restare in relazione con lui. Lungo gran parte della storia del popolo ebraico la domanda sul che cosa fare e come farlo non dipendeva da un’autorità centrale, ma dal confronto tra i diversi esperti. Non è quindi per nulla strano che anche a Gesù sottopongano una domanda del genere (il racconto è riferito in Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28; come di consueto, i tre racconti si assomigliano ma non sono identici).
I vangeli precisano che il dottore della legge che interroga Gesù lo fa per metterlo alla prova (Mt 22,35; Lc 10,25). Si mette alla prova qualcosa per sperimentare se davvero è prezioso, se davvero vale. E però, nello stesso tempo, cogliamo che in questo “mettere alla prova” c’è anche un elemento negativo, di sfida, di inganno. Ci servirà, tra poco, ricordarcene.
Sarebbe bello dimenticarci, per un momento, della risposta di Gesù per provare a offrire la nostra. Dove porremmo il cuore del cristianesimo, in quale comandamento? Compito difficile, che però può aiutarci ad accorgerci che la risposta non è per nulla banale, anche se è ripresa anche dall’Antico Testamento. Già in Dt 6,4-5, infatti, si invitava ad «amare il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza».
Gesù non è originale? Non dobbiamo vergognarci di riprendere idee ed espressioni di chi già ha detto le cose bene. E, soprattutto, Gesù riconosce nell’Antico Testamento la fonte ideale per conoscere bene Dio e per esprimere come possiamo restare in relazione con lui. Tutt’altro che banale, comunque, è decidere di riprendere proprio quel passo. La Bibbia è grande, spesso contraddittoria, e la scelta di Gesù ci aiuta a cogliere a che cosa dare più importanza, come se fosse un setaccio che ci seleziona le pietre più grandi.
L’amore
Se siamo riusciti a fare l’esercizio di provare anche noi a rispondere alla domanda del dottore della legge, possiamo più facilmente apprezzare che la risposta di Gesù non è per niente scontata. Forse possiamo ritenere quasi ovvio che ci si concentri su Dio, sul nostro rapporto con lui. Ma avrebbe potuto dire che era centrale offrire sacrifici a Dio, oppure pronunciare l’atto di fede… “Amare” è parola bella ma enormemente generica. Che cosa devo fare, per far vedere che amo?
Eccola, la prima sorpresa. Non potrò mai dire che, per amare, occorra fare questo o quel gesto. “Amare” comporta di “inventarsi” il modo con cui rendere concreto il sentimento, creandolo a seconda della situazione in cui mi trovo, di chi ho davanti…
Inoltre, “amare” non mi permette mai di stare tranquillo. Se Gesù mi avesse chiesto di camminare tutti i giorni per cinque chilometri, magari avrei potuto ritenerlo troppo faticoso per me (mentre per un altro sarebbe stato un impegno leggero), ma, una volta finiti quei cinque chilometri, avrei potuto dire di averlo fatto, di essere a posto. Chi ama non si sente mai a posto, non pensa mai di aver finito di amare, di aver fatto il proprio dovere per oggi… Non potrò mai dire, con questo comandamento, “ho fatto quello che dovevo, posso rilassarmi”.
D’altra parte, ci sembra davvero di non poter comandare di amare. Ai sentimenti non si ordina. Come può quindi Gesù chiedermelo?
A questo riguardo, sono interessanti le precisazioni che ampliano il comandamento. “Con tutta la forza” (o “con tutta la mente”, o con entrambi, a seconda che seguiamo Marco, Matteo o Luca) indica l’intensità, ed è più chiaro. Ma poi il comando precisa che l’amore deve essere vissuto “con tutta l’anima” e “con tutto il cuore”. Nel mondo ebraico (ma in fondo anche per noi) con “anima” si intende la dimensione umana che più punta verso Dio, che più guarda al cielo.
Sul “cuore”, però, rischiamo di sbagliarci. Per noi, simbolicamente, è contrapposto al cervello. Con la mente abbiamo i pensieri razionali, con il cuore custodiamo i sentimenti irrazionali. Per il mondo ebraico, però, il simbolismo è un po’ più complicato e affascinante. Il luogo dei sentimenti irrazionali sono le “viscere”, la pancia. Il cuore è a metà tra il cervello e la pancia, è il luogo dove sentimenti e razionalità si incontrano, dialogano, e non a caso è il luogo delle decisioni, che, se sono serie, non possono essere solo frutto di istinto né solo di calcolo.
Gesù, e il Deuteronomio prima di lui, non ci chiedono di avere per Dio un trasporto entusiasta, immediato, istintivo. Questo non dipenderebbe da noi. Ci invitano, invece, a deciderci per Dio, a voler stare dalla sua parte. In fondo, anche nelle relazioni umane io non posso promettere di avere sempre lo stesso trasporto, ma posso promettere di decidere di stare sempre a fianco.
Il secondo comandamento
A Gesù hanno chiesto di indicare il comandamento più grande, ma lui ne dà due, come se uno non bastasse. Infatti precisa che «il secondo è simile a questo» (Mt 22,39), come se fossero due lati di una stessa medaglia. «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,39; Mc 12,31; Lc 10,27). Anche questo comandamento era già presente nell’Antico Testamento (Lv 19,18), ma non era legato all’amore di Dio.
Sono almeno due gli aspetti che possiamo notare. Il primo è che si mettono insieme due tipi di amore, come se fossero indistinguibili. Chi ama Dio, come potrebbe non amare il prossimo, l’immagine di Dio, il capolavoro della creazione divina (Gen 1,26)? E «chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20).
E l’altro è che qui c’è un termine di paragone, un limite: «come te stesso». Vuol dire che se voglio capire come amare un altro essere umano, posso guardare a che cosa farei per me (Mt 7,12). Ma vuole anche dire che devo amarmi. Gesù non chiede di annullarsi, dimenticarsi di sé, ma di far crescere l’amore.
Amore in pratica
Può essere una semplice curiosità, ma è interessante che cosa accade secondo il vangelo di Marco (il primo a essere scritto…). Lo scriba, infatti, loda Gesù, il quale, a sua volta, nota la risposta saggia dello scriba e lo valuta con generosità: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12,32-34).
Non importa se quello scriba aveva voluto mettere alla prova Gesù: se c’è la disponibilità a lasciarsi incontrare e provocare, Gesù risponde, lui per primo, amando.
Angelo Fracchia