Giovani per il Vangelo

Uno sguardo sulla realtà giovanile e, di riflesso, sul mondo adulto. 

Quando penso ad una visione globale dell’attuale realtà giovanile mi torna in mente lo slogan della Giornata Missionaria Mondiale 2018: “Giovani per il Vangelo”. Queste parole esprimevano due significati. Da una parte, una valenza fortemente vocazionale, in riferimento alla necessità impellente di giovani disposti a dare la vita per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo; dall’altra, il richiamo alla freschezza dell’impegno ad gentes che riguarda le comunità cristiane nel loro complesso, indipendentemente dall’età anagrafica.

In quanto missionari, annunciatori della Buona Notizia, siamo chiamati ad avere uno sguardo profetico, sulla nostra Chiesa e sul mondo. Dunque cosa potremmo dire su questo tempo?

Certamente possiamo affermare che c’è una malattia che affligge la società contemporanea. Un male, che cresce e si diffonde anche nei nostri ambienti ecclesiali ed ecclesiastici, nelle nostre comunità, piccole o grandi che siano. Un male che si è manifestato dapprima come una voce velata, sottile ma che oggi grida e tenta di coprire la voce del bene.

Questa voce guarda alla realtà, guarda alle ingiustizie, alla disfatta, alle diseguaglianze, all’impoverimento che ci circondano e di fronte a questo dice: “è andata com’è andata”, “non si può più fare nulla”, “non vale la pena tentare”, “si è sempre fatto così” anche se questo ci sta portando alla rovina. Ed è proprio in questo contesto che si collocava la prima lettura dello slogan “Giovani per il Vangelo”.

Come reagiscono le nuove generazioni al mutismo della nostra Chiesa? E alle parole spesso usate per esprimere giudizi affrettati? Da un recente sondaggio che abbiamo svolto tra le Comunità che inviano giovani in terra di missione è emerso che centinaia di ragazze e ragazzi italiani, ogni anno, trovano la forza di partire. Si recano nei posti più remoti della terra solo per poter trascorrere qualche settimana o pochi giorni insieme ai missionari sul campo.

Si dicono affascinati da questo mondo. A parole anche loro vorrebbero dedicare parte del loro tempo alla prossimità agli ultimi e agli emarginati. Ma quello che non leggiamo tra le risposte al questionario, l’unica risposta che non abbiamo trovato, è la scelta di qualche giovane a dedicare, non una parte del proprio tempo, ma la vita, alla missione. Dobbiamo interrogarci su questo.

La Chiesa e, più in generale, una società che non si aprono al cambiamento, inevitabilmente, finiscono per rigettare e respingere le nuove generazioni.

Nonostante questo, ancora oggi possiamo dire che ci sono giovani per il Vangelo? Senza alcun dubbio, sì, possiamo affermare che è così.

Ma i pochi superstiti e coloro che vorrebbero avvicinarsi e non limitarsi a guardare da lontano, hanno bisogno del nostro sostegno. Tanto quanto questa Chiesa ha bisogno di forze giovani, anche anagraficamente giovani, per rinnovarsi e poter raggiungere le periferie più estreme. Pensiamo alla forza e all’enorme contributo che le nuove generazioni potrebbero portare nel campo della comunicazione. Ma c’è qualcos’altro che il tema della Giornata Missionaria Mondiale ci ha ricordato: tutti noi possiamo essere, indipendentemente dall’età, giovani a causa del Vangelo. Ringiovaniti, rinvigoriti, dalla Buona Novella di Gesù di Nazareth.

Anche il Papa ce lo ricorda spesso. Per essere missionari e missionarie bisogna sempre e comunque avere un cuore giovane.

E se fosse proprio il Vangelo a tenere in forma il nostro cuore? Se ci lasciassimo scolpire dall’Annuncio per perdere le scorie che l’abitudine e la prassi ci hanno lasciato addosso? Ci riscopriremmo creature nuove, giovani, agli occhi di Dio e dei fratelli. Solo così potremmo realmente comprendere le nuove generazioni.

Sì, perché l’unica cosa di cui le giovani donne e i giovani uomini di oggi hanno bisogno è di essere compresi, opera che risulta particolarmente difficile se non impossibile a chi sembra parlare una lingua completamente diversa.

Come colmare questo vuoto? Come venire incontro? Probabilmente c’è una sola strada da intraprendere: la comunione, invocata da Dio, cercata e insegnata.

A tale principio dovremmo formarci e formare le nuove generazioni. Portare nell’educazione familiare, nella preparazione ai sacramenti e nella catechesi buoni esempi di comunione fraterna, viverla da adulti per insegnarla ai piccoli.

E quando siamo in comunione con Dio e con i fratelli le differenze crollano. L’età, il colore della pelle, la condizione sociale, il genere, la religione, la cultura, non dividono ma uniscono.

E di fronte al Padre ci ritroviamo rinnovati, ringiovaniti, pronti per portare fino agli estremi confini della terra la meraviglia che Dio ha compiuto nelle nostre vite. Questo è il Vangelo: la grande novità che abbiamo scoperto e continuiamo a scoprire giorno dopo giorno. Nient’altro dovremmo dire ai giovani.

Se oggi le chiese si riempiono soprattutto di chiome argentate, se la nostra fede fatica a camminare, è perché la priorità negli ultimi anni non è stata quella di trovare gambe giovani e menti fresche, capaci di percorrere chilometri e rinnovare la nostra Chiesa.

Papa Francesco ha avuto lo sguardo più giovane nella storia della Chiesa moderna: la preoccupazione di assicurare un futuro alla missione di Gesù di Nazareth. Un domani che può esistere solo se oggi tale missione viene affidata ai giovani.

Fiducia, sostegno, accompagnamento, libertà di espressione, accoglienza, stima: questo chiedono i giovani.

Quando ciò sarà presente e lo si potrà dare per scontato, allora parlare con i giovani e comprendersi vicendevolmente non sarà più un problema.

Giovanni Rocca, Segretario Nazionale Missio Giovani

questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Andare alle Genti

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