Quattro chiacchiere con… suor Maresa

Le migrazioni possono essere considerate un segno dei tempi, nonché estreme periferie bisognose dell’annuncio del Vangelo. La Chiesa opera con sollecitudine verso i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le vittime della tratta. Nella maggioranza delle grandi città esiste un Ufficio Pastorale Migranti (UPM), che cerca di aiutare ed accompagnare i migranti che arrivano in questa nuova realtà. Suor Maresa Sabena, Missionaria della Consolata che lavora nell’UPM di Torino da circa 24 anni, ci racconta in quest’intervista la sua ricca esperienza.

 

Suor Maresa, puoi illustrarci sinteticamente i servizi offerti dall’Ufficio Pastorale Migranti di Torino?

I servizi offerti dall’UPM nella sede di via Cottolengo 22 sono principalmente: accoglienza, ascolto, sostegno e informazioni di orientamento ai servizi della città, formazione e accompagnamento delle donne al lavoro; scuola di lingua italiana in collegamento con la scuola pubblica, area documenti per informazioni e aiuto nella compilazione dei moduli relativi ai permessi di soggiorno e cittadinanza, consulenze specialistiche; casa – consulenze legali – e rapporti di lavoro.

L’UPM si occupa inoltre di accoglienze residenziali rivolte in particolare a studenti, rifugiati e richiedenti asilo.

Infine esercita azione di coordinamento all’interno delle comunità etniche nate per favorire la vita religiosa dei migranti cristiani; stimola percorsi di evangelizzazione e catechesi nel rispetto delle diverse tradizioni per un graduale inserimento dei cattolici nelle comunità parrocchiali.

Inoltre l’UPM, per mezzo di questi servizi, cerca di realizzare quelli che ritiene i suoi obiettivi principali: l’attenzione alla tutela e alla difesa dei diritti di ogni persona e famiglia migrante, nonché la promozione della loro cittadinanza responsabile ed è favorito in questo, dalla presenza del suo Direttore nella consulta nazionale Migrantes e nella segreteria del Coordinamento delle Diocesi a livello europeo.

 

Nell’ambito dei servizi dell’UPM qual è il tuo ruolo specifico?

Direi che è soprattutto un impegno di “ascolto” perché lì confluiscono i problemi, le angosce e le attese di tante famiglie migranti di recente arrivate in Italia o residenti da anni sul nostro territorio, con il timore spesso di perdere il permesso di soggiorno per la mancanza di lavoro; nonché di persone singole, richiedenti asilo, rifugiati e donne vittime di tratta, delle quali mi occupo in modo particolare.

 

Ci daresti un quadro delle situazioni più frequenti in cui si trovano le ragazze vittime della tratta?

In questi ultimi anni è cambiato molto il fenomeno della “tratta”. Sono cambiate soprattutto le modalità d’ingresso. Oggi la maggioranza delle donne giunge in Italia dalla Libia ed è costretta dalle maman a chiedere l’asilo politico. Spesso le motivazioni per le quali lo chiedono non rientrano nei criteri richiesti per ottenere la protezione internazionale, quindi la maggioranza di loro riceve il diniego. Altre donne vengono prelevate direttamente allo sbarco dalle maman e poi portate nelle città dove si dovranno prostituire. Altre ancora sono costrette dalle stesse sfruttatrici ad uscire dai CAS (Centri di accoglienza straordinaria) dove sono state inserite a seguito della richiesta di asilo politico, con lo scopo di costringerle a lavorare sulla strada. A questo punto, le donne perdono ogni diritto all’assistenza ed entrano in una via senza possibilità di ritorno.

La vita di ogni giorno presenta loro difficoltà di ogni genere: dall’accesso alla Questura per la richiesta di asilo politico, dove, dopo mesi e tante ore di attesa, vengono respinte; all’audizione della Commissione Territoriale che deciderà l’esito della loro richiesta di asilo politico, con un’attesa di circa due anni.

 

In base alla tua lunga esperienza nel settore, quali possibilità concrete ritieni che vi siano di combattere il dramma della tratta e di portare aiuto alle vittime?

Dobbiamo sempre ricordare che il fenomeno della tratta nasce da un progetto criminale che utilizza tutti i mezzi per soddisfare il mercato del sesso. La tratta è intimamente connessa ai fenomeni migratori, ma ne è solo un aspetto. Le cause sono comunque comuni: conseguenza di molti sistemi ingiusti (come tanto denuncia Papa Francesco nella Laudato Sii n.48-53), le guerre, le persecuzioni; ma per la “tratta” resta la grande responsabilità del cliente che alimenta il mercato del sesso. Solo incidendo sulle cause a monte e cambiando il nostro stile di vita si può limitare il fenomeno.

Da parte nostra, le uniche possibilità a disposizione sono: l’ascolto, la spiegazione della legge, il sostegno a ricuperare la loro vera storia d’ingresso in Italia, l’aiuto a metterla per iscritto e l’incoraggiamento a ripresentare la domanda di asilo. Nel contempo, quando è ancora possibile, si cerca l’accoglienza in una comunità e l’inserimento nei progetti per le donne vittime di tratta.

Il primo passo è sempre l’ascolto, un ascolto libero da pregiudizi, fatto soprattutto con pazienza e attenzione, senza proporre subito soluzioni, perché queste potrebbero non corrispondere alle loro esigenze ed aspettative. Molto importanti sono i primi incontri, dall’empatia che si riesce ad instaurare dipende l’esito positivo dei passi successivi.

Per l’Ufficio Pastorale Migranti il permesso di soggiorno non è mai stato un traguardo finale ma un obiettivo preliminare. Per le donne inserite nei progetti per le vittime di tratta, sono previsti incontri individuali e di gruppo, nei quali insistiamo molto sul valore del proprio corpo e della salute, sulla formazione umana, civile, professionale e spirituale tenendo conto della loro religiosità e cultura, per evitare possibili errori di valutazione e soprattutto perché la donna possa ricuperare fiducia in se stessa, riscoprire la sua dignità e vocazione.

 

Come stai vivendo e come valuti la particolare missione che ti è stata affidata?

Come Missionaria della Consolata ritengo particolarmente importante la mia, la nostra presenza in UPM; principalmente in questo momento storico nel quale i diritti umani dei migranti sono molto a rischio è importante condividere e sostenere l’obiettivo principale dell’Ufficio: “attenzione alla tutela e alla difesa dei diritti di ogni persona e famiglia migrante”.

In UPM sento di vivere un aspetto della missione ad gentes in Europa soprattutto quando analizzo i dati delle persone che si rivolgono al Servizio e rifletto sul nostro carisma: portare l’annuncio del Vangelo ai non cristiani, un messaggio di consolazione ai popoli, la promozione della donna. L’80% degli uomini e delle donne che si rivolgono a noi non sono cristiani – solo nella scuola di lingua italiana ci sono persone che provengono da 66 nazioni diverse, con religioni diverse – e nel 2017 nell’ufficio dove opero sono venute 185 donne nigeriane tutte molto giovani e vittime di tratta; mi convinco sempre di più della validità della mia presenza in UPM come missionaria della Consolata.

Inoltre, i migranti che varcano la soglia dell’UPM provengono dal mondo africano, latino- americano ed asiatico dove tante mie Sorelle e Confratelli svolgono il loro servizio. Non sono forse le stesse persone che vorrebbero essere accolte da noi, come loro ci accolgono nei loro Paesi? Sento tutta la responsabilità del mio impegno quotidiano: accoglienza, ascolto, nel rispetto delle loro culture e religioni, per non deludere le loro attese.

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