UMANO È ESSERE TENTATI

Il racconto dei vangeli fa iniziare la vicenda pubblica di Gesù dall’incontro con un profeta strano, Giovanni, che pretende di fare da tramite tra il pentimento dell’uomo e il perdono da parte di Dio con il rito particolare del battesimo (al punto che tale personaggio sarà conosciuto semplicemente come il Battista, “il battezzatore”).

Gesù va a sentirlo, si fa battezzare, inizia addirittura ad imitarlo. Sente che è questo il modo giusto di impostare il rapporto con Dio: uno scambio personale fatto di fiducia e di intermediari di cui mi devo fidare, anziché secondo regole e in un luogo ufficiali. Non precetti ma spirito interiore. Non certezze rigide ma rischio e fiducia. E in quel luogo Gesù inizia probabilmente a intuire qualcosa di nuovo su di sé, comincia a cogliere di essere qualcosa di diverso dagli altri, di avere un rapporto con Dio unico.

Come per la maggior parte degli esseri umani, la sua intuizione di fondo su di sé nasce forse per una folgorazione (così i vangeli ce la presentano: «Si aprirono i cieli, e udì una voce»: Mc 1,10-11; Mt 3,17). Ma poi questa intuizione deve sopportare la verifica del quotidiano, i dubbi, le paure. Anche per Gesù è accaduto, e per i vangeli ciò è stato tanto importante che nessuno salta questo suo passaggio.

Uomo come noi

Marco è particolarmente asciutto nel raccontare le tentazioni di Gesù, solo due versetti (Mc 1,12-13) quasi favolistici: Gesù era tentato dal diavolo e stava con le bestie selvatiche mentre gli angeli lo servivano. Proveremo a tornarci alla fine.

Per adesso, comunque, possiamo già cogliere un paio di indicazioni anche da un resoconto così stringato, indicazioni che verranno peraltro confermate dalla lettura degli altri vangeli. Innanzi tutto, essere tentati non è eccezionale, ma è la norma dell’umanità. Tanto è vero che è capitato anche a Gesù. Ed essere tentati non ci allontana da Dio. Sentire il fascino del male, provare l’attrazione per ciò che non riteniamo essere giusto, non è un peccato, non ci pone lontani dall’amore divino. Rientra semplicemente nella nostra natura di esseri umani nella storia.

D’altra parte, è altrettanto vero che queste tentazioni vogliono esattamente dividerci, allontanarci da Dio (il significato della parola «diavolo», che in greco è un nome comune, è esattamente quello: il “divisore”). Ossia, sono naturali ma fanno il nostro male.

A leggere però anche gli altri due vangeli sinottici scopriamo di più e più profondo.

Dammi una prova!

Ci raccontano, ad esempio, che subito dopo il battesimo e quella straordinaria intuizione di essere il Figlio di Dio, Gesù viene portato nel deserto dallo Spirito, per essere tentato (Mt 4,1). Che strano tiro gli riserva lo Spirito! Anziché tenerlo lontano dal male, lo porta proprio verso la tentazione. Perché tanto sadismo?

Forse perché di sadismo non si tratta: Dio non ama mettere in difficoltà l’uomo (non succede mai nel Nuovo Testamento e anche nell’Antico succede di rado, in contesti che andrebbero spiegati). Il che significa che quella tentazione è qualcosa che rischia, sì, di allontanare Gesù (e noi!) dal Padre, ma in sé è necessaria, forse buona. In che senso? Conviene procedere nel leggere.

Gesù digiuna per quaranta giorni. In tutte le tradizioni religiose è previsto un tempo nel quale razionarsi anche ciò che è buono (mangiare non è cattivo in sé), per accorgerci di che cosa, pur giusto e legittimo, rischia di condizionarci, di dominarci, e per allenarci alla libertà da tutto e riscoprire di saper essere liberi da tutto.

Dopo quaranta giorni prova fame, come è normale e giusto, e pensa a quanto sarebbe bello che quelle pietre si trasformassero in pane. Quante volte anche a noi accade di sognare di essere liberati per magia da situazioni che ci affliggono!

Ma nella tentazione non c’è soltanto l’idea di quanto sarebbe bello poter mangiare. Non sarebbe un peccato, provare fame, non allontanerebbe da Dio! La tentazione è un’altra: «Se sei figlio di Dio…» (Mt 4,3; Lc 4,3). Eccolo, il punto! Gesù ha intuito di avere un rapporto unico con il Padre, ma adesso prova una fame tale da temere di morire. E si dice che, se davvero fosse come ha intuito, se non si sbaglia… Dio non può lasciare morire di fame suo figlio. Sarebbe un miracolo buono e giusto. Per altri, nella sua vicenda, Gesù farà miracoli del genere. Ma qui la condizione è diversa: «Se sei figlio di Dio…»!

L’essere umano è capace di grandi abissi, ma anche di straordinarie generosità ed eroismi. Sappiamo sacrificare la nostra vita per un altro in un momento, ma anche di fare di tutta la nostra vita un’offerta agli altri. Il problema, se ci pensiamo bene, è uno solo: non “quanto dovrò soffrire?”, ma “ne varrà la pena?”. Il dilemma è tutto qui. Se fossimo sicuri che la strada su cui ci siamo incamminati è davvero la nostra, non avremmo problemi a percorrerla fino in fondo. Se soltanto avessimo una prova… Anche a Gesù viene in mente che sarebbe il momento giusto per chiedere una prova. In fondo, se muore di fame sarà inutile che il Figlio si sia incarnato. Il Padre non dovrebbe permetterlo…

E così, a partire dalla (legittima!) fame Gesù si trova a sognare di avere una dimostrazione, una garanzia… Il che ci ricorda che anche lui, come ognuno di noi, ha dovuto interpretare la propria esistenza a partire da un’intuizione che non era però nulla di assolutamente sicuro. Ha intuito, non ha avuto certezze. E nel momento della difficoltà, gli è venuta la tentazione di chiedere una conferma. I vangeli ci dicono che quella conferma lo avrebbe allontanato dal Padre.

E ci dicono anche che non si è trattato di un momento, ma che la domanda gli deve essere tornata spesso alla mente. Anche la seconda volta, infatti (Mt 4,5-7; Luca la sposta al terzo posto: Lc 4,9-12), torna il ritornello «se tu sei figlio di Dio», peraltro accompagnato dalla citazione di un brano della Bibbia: la tentazione può anche rivestirsi di panni religiosi, ma restare un allontanamento da Dio.

Il comandamento della fiducia

A farci capire meglio il senso del discorso può essere la terza (o seconda, in Luca) tentazione, quella di utilizzare il potere del mondo, sicuramente per fare del bene (Mt 4,8-10; Lc 4,4-8). Non sarebbe più facile e veloce fare il bene, se potessimo imporlo per legge? (Quante volte noi sogniamo che Dio premi direttamente i buoni e soprattutto castighi i cattivi!) Ingenuamente, il diavolo fa notare che tutto il potere gli appartiene. Il potere divide, anche quando è fatto per il bene. Il bene che unisce (agli uomini, e quindi anche a Dio) non passa dal potere, ma dalla condivisione, dalla disponibilità, dalla pazienza e dal rispetto totale della libertà altrui. Dio vuole essere amato, non ubbidito, e l’amore può venire solo spontaneamente.

Ciò ci aiuta forse a capire meglio il motivo della prima tentazione. Se io ottenessi una dimostrazione assoluta, garantita, della mia chiamata, del mio ruolo, della mia natura, tutto sarebbe più facile. Ma disumano. Tipico dell’umanità autentica è il suo essere libera, il suo decidersi per ciò che ritiene valga la pena di essere vissuto, ma senza nessuna garanzia certa. Tutte le cose più importanti della nostra vita ci chiedono non di adeguarci, ma di fidarci. Della mia vocazione, del mio stile di vita, del mio modo di interpretare l’esistenza, non sono sicuro, ma sono chiamato a fidarmi: li sento come promettenti, affidabili, ma non sicuri al di sopra di ogni sospetto. Il dramma più profondo delle scelte umane è il tarlo che ci siamo sbagliati, che non servano. E anche Gesù ha conosciuto questo tarlo. Perché questo dubbio non ci rende persone più fragili, ma più autentiche. E la via d’uscita dal tarlo non è nelle garanzie che otteniamo, ma nella fiducia che rinnoviamo. “Non sono sicuro al cento per cento: per questo continuo a fidarmi!”.

È a questo punto che compaiono “gli angeli”, i messaggeri di Dio, a servire Gesù (Mt 4,11, ma anche il tanto sintetico Marco: Mc 1,13). Non a dargli da mangiare (non si dice che venga sfamato nel deserto), ma a rimetterlo in dialogo con il Padre. Il nostro desiderio di certezze, di sicurezze anche nel rapporto con Dio, che è umano, comprensibile e non ci allontana da Lui, è però una tentazione: come in tutti i rapporti personali davvero profondi, Dio ci invita a fidarci. E lo ha fatto anche con Gesù, uomo come noi. Anche Gesù ha dovuto imparare a fidarsi.

Angelo Fracchia

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