Vita di novizie in corsa… ma con un po’ di tempo per raccontarsi
Forse non lo sapete, ma a Caprie, un piccolo paesino della valle di Susa, in via Giardini 26, ai piedi di una grande roccia, c’è un posto molto speciale. È il Noviziato internazionale delle suore Missionarie della Consolata. Dal Kenya, dal Mozambico, dal Tanzania, dall’Etiopia, dall’Uganda, dal Congo, dal Portogallo e dall’Italia ci siamo riunite tutte qui. Perché fare un viaggio così lungo per venire fino a Caprie? E che cosa è un noviziato?
Il noviziato è un luogo, ma anche un tempo speciale di due anni; possiamo dire che è un tempo di grande allenamento prima di correre per il mondo portando la consolazione. Chi ha fatto sport certo saprà che per gareggiare ci vuole una grande e paziente preparazione guidata dal coach. L’atleta, ovvero la novizia, deve avere certe caratteristiche: forza, coraggio per affrontare le paure e per guardarsi con verità, un cuore grande e sano, sensibilità, pazienza e perseveranza, spirito di sacrificio, energia e spirito di squadra (per noi la comunità). È necessario un grande impegno ogni giorno. Ci vanno poi: allenamento dei muscoli dello Spirito, capacità di rialzarsi dopo le cadute e attenzione.
Ora parliamo del coach del noviziato che non lavora mai da solo, ma ha una serie di stretti collaboratori. Per noi il mister è Gesù, ma è aiutato dalla nostra maestra e dalle altre sorelle della comunità di base. Le nostre allenatrici (anche loro vengono da diverse parti del mondo) devono essere preparate, devono saper accompagnare ogni atleta incrementando le sue potenzialità, correggendolo e aiutandolo a sviluppare un programma di vita che gli consenta di avere un buon allenamento per migliorare sempre.

Ogni giocatore, verso chi lo segue, deve avere: fiducia, obbedienza, responsabilità, deve sapere abbandonarsi nelle sue mani. Se tutto questo però non è fatto con un grande amore, né l’atleta né il coach potranno camminare. La nostra squadra di 12 membri è interculturale, ha la ricchezza e la forza di due continenti. Ma dobbiamo dirvi che, più che una squadra, la nostra è una famiglia che condivide la vita quotidiana: preghiamo insieme e da sole (la corsa mattutina dell’atleta), facciamo tutti i lavori di casa, la spesa, la cucina, l’orto, studiamo, giochiamo e facciamo apostolato.
Fuori di metafora, il noviziato è il tempo del fidanzamento e di costruzione della casa degli sposi in un particolare Istituto con il suo carisma specifico. Per noi missionarie la casa da abitare è la consolazione di Dio. Più che una casa, è una tenda che montiamo in mezzo al popolo a cui siamo inviate e che siamo pronte a smontare e a rimontare ovunque ci manderanno. Il Signore è lo Sposo, l’amato del nostro cuore che abbiamo (in)seguito fino a qui. In questi due anni ci prepariamo a consacrare la nostra vita a Lui e alla missione ad gentes (ai non cristiani) e, al termine di questo tempo pronunciamo i voti di obbedienza, castità e povertà.
Con san Paolo possiamo dire: «Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3, 12-14).
Argentina, Belarmina, Francesca e Lwizapiera
Evviva la comunità del Noviziato!