UN SINODO CHE CI RIGUARDA TUTTI

Il Sinodo panamazzonico sarà una tappa importante nel cammino della Chiesa, impegnata in difesa dell’Amazzonia e dei popoli che la abitano. Questo impegno non è certo recente o improvvisato: a confermarlo basterebbe il lungo elenco di missionari uccisi perché, nel loro servizio di evangelizzazione, hanno lottato a fianco degli Indios, come illustra la serie di documentari pubblicati a cura della Rete Ecclesiale Panamazzonica (Repam) intitolata La vita per l’Amazzonia.

Papa Francesco, nel discorso tenuto ai Vescovi brasiliani il 27 luglio 2013, durante il Viaggio apostolico in occasione della GMG di Rio de Janeiro, ha ricordato, non senza una punta polemica, che “la Chiesa è in Amazzonia non come chi ha le valigie in mano per partire dopo aver sfruttato tutto ciò che ha potuto”, ma con una presenza di servizio ininterrotta, fin dai tempi della colonizzazione europea, e “determinante per il futuro dell’area”.

Questa presenza ecclesiale si caratterizza per l’attenzione alla questione socio-ambientale: nel discorso succitato, il Papa ha richiamato quanto la Conferenza di Aparecida (la V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano, cui Bergoglio partecipò come Vescovo di Buenos Aires) ha detto sull’Amazzonia, in particolare il forte appello “al rispetto e alla custodia dell’intera creazione che Dio ha affidato all’uomo, non perché lo sfrutti selvaggiamente, ma perché lo renda un giardino”.

In effetti, i numeri 83-87 del Documento conclusivo di Aparecida prendono in esame i temi della biodiversità e dell’ecologia, con uno specifico riferimento all’Amazzonia e all’Antartide, e denunciano con coraggio profetico la depredazione delle risorse di quei territori e la crescente oppressione di cui sono vittime i popoli che li abitano.

I numeri 83-84, in particolare, evidenziano una connessione tra la minaccia alla biodiversità degli ecosistemi e quella alla socio-diversità dei popoli e sottolineano come la depredazione ambientale vada di pari passo con quella culturale: “Il continente dell’America Latina possiede una delle maggiori biodiversità del pianeta e, insieme, una ricca socio-diversità, rappresentata dai suoi popoli e dalle sue culture. Questi popoli possiedono una grande quantità di conoscenze tradizionali sull’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, così come sull’uso dei medicinali estratti dalle piante e da altri organismi viventi. Molte di queste conoscenze, che costituiscono la base della loro economia, sono attualmente oggetto di un’appropriazione intellettuale illecita, poiché vengono brevettate dalle industrie farmaceutiche e di biogenetica, finendo con l’indurre una situazione di vulnerabilità per gli agricoltori e le loro famiglie, che dipendono da queste risorse per la loro sopravvivenza” (n. 83). E ancora: “Le popolazioni tradizionali sono state praticamente escluse dalle istanze di decisione sull’uso delle ricchezze della biodiversità e della natura. La natura è stata e continua a essere aggredita. La terra è stata depredata. Le acque vengono considerate dalle imprese una merce negoziabile, oltre a essere diventate un bene disputato dalle grandi potenze. Un esempio molto importante di questa situazione è l’Amazzonia” (n. 84).

Segue, in nota, un quadro sintetico delle ricchezze del territorio amazzonico: in un’area di 7,01 kmq, corrispondente al 5% della superficie terrestre, sono contenuti il 20% della disponibilità mondiale di acqua dolce non congelata, il 34 % delle riserve boschive mondiali, una gigantesca riserva di minerali e una biodiversità di ecosistemi che è la più ricca del pianeta (in questa regione si trova circa il 30% di tutte le specie floreali e faunistiche del mondo).

La cura per l’ambiente che la Conferenza di Aparecida ha proposto ai nn. 470-475 presuppone la ricerca di “un modello di sviluppo alternativo – e qui il richiamo è al concetto di sviluppo proposto dalla Populorum Progressio di Paolo VI – integrale e solidale, fondato su un’etica attenta alla responsabilità per un’autentica ecologia naturale e umana, che sia radicata nel Vangelo della giustizia, nella solidarietà e nella destinazione universale dei beni”.

L’approccio al problema ambientale delineato dalla Conferenza di Aparecida è dunque quello che il Papa ha ripreso e ampiamente sviluppato soprattutto nell’enciclica Laudato sì, in particolare nel IV capitolo intitolato Un’ecologia integrale. Sulla scia del Magistero precedente, soprattutto di Benedetto XVI, Papa Francesco ha proposto un’ecologia “che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda” (cfr. n. 15), presentando una visione capace di cogliere le connessioni presenti tra i vari aspetti dell’attuale crisi mondiale; ha quindi proposto “un approccio integrale per combattere la povertà”, che coniughi la responsabilità verso l’ambiente e l’inclusione sociale dei poveri, la valorizzazione delle culture e l’impegno per uno sviluppo equo.

Papa Francesco, nell’incontro con i circa quattromila rappresentanti dei popoli amazzonici, a Puerto Maldonado, è ritornato su questo tema, mettendo in guardia da “politiche perverse” che promuovono la cura della natura senza tener conto dell’uomo, come pure da ideologie che fraintendono le culture indigene facendone “una idealizzazione di uno stato naturale” o riducendole ad “una specie di museo di uno stile di vita di un tempo”. È invece “urgente – ha affermato il Pontefice – accogliere l’apporto essenziale” che queste popolazioni possono offrire a tutta l’umanità, attraverso la loro visione del mondo e il loro modello di sviluppo integrale.

I temi che il Sinodo Panamazzonico dovrà affrontare, i dibattiti e le proposte che ne scaturiranno riguarderanno, dunque, non solo gli abitanti di quei territori bensì tutti noi e, attraverso questo Sinodo, la Chiesa rivolgerà un appello non solo ai suoi fedeli ma a tutta la famiglia umana.

Paola Malfa

Questo articolo è stato pubblicato su Andare alle Genti

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