
Il dialogo interreligioso è stato ieri, ed è ancor più oggi, una delle vie maestre per realizzare la pace e la convivenza civile. Papa Francesco, nel suo discorso a Nairobi presso la Nunziatura Apostolica il 26 novembre 2015, ha affermato che “il dialogo ecumenico e interreligioso non è un lusso, non è qualcosa di aggiuntivo e di opzionale, ma è essenziale, è qualcosa di cui il nostro mondo, ferito da conflitti e divisioni, ha sempre più bisogno.”
Inoltre, nel suo discorso alla comunità ebraica presso la Sinagoga di Roma il 17 gennaio 2016, Papa Francesco ha affermato che “la violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche, perché la vita è sacra, quale dono di Dio.”
La ragione per cui, nel tempo presente, il dialogo tra le religioni è diventato più di prima urgente e necessario sta anche nel fatto che, al di là delle guerre, i flussi migratori stanno dando vita ad un diffuso processo di meticciamento delle città e delle nostre società sempre più plurali. A tal proposito è opportuno ricordare che secondo l’Istruzione del Pontificio consiglio della Pastorale per i migranti, pubblicata nel maggio 2004 e intitolata Erga migrantes Caritas Christi (verso i migranti la carità di Cristo), i flussi migratori “non sono soltanto un fatto sociologico, ma un vero kairòs, un tempo favorevole per chi legge la storia con gli occhi della fede”.
Una tappa storica e indimenticabile del dialogo tra le grandi religioni del mondo in una prospettiva di pace è stata il profetico incontro di Assisi, convocato da San Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986 e poi ripetuto, a 25 anni di distanza, da Benedetto XVI.
Non è tuttavia nostra intenzione cavalcare strumentalmente una prospettiva irenista perché sarebbe del tutto fuorviante, soprattutto se si considera il ritorno attuale dei fondamentalismi, in particolare quello di matrice islamista, che sta provocando da tempo un processo di involuzione della civiltà e di regressione etica dell’umanità. Basti pensare ai disumani attacchi terroristici compiuti dai seguaci dell’ISIS in tante città europee come Parigi, Nizza, Londra, Manchester, Bruxelles, Berlino, Istanbul…
Aprire un tavolo di dialogo con le diverse comunità musulmane è quanto mai indispensabile per garantire un futuro di pace e rassicurare tanti cittadini impauriti che vedono con sospetto e diffidenza ogni persona, simbolo o tradizione che faccia riferimento all’Islam. Il tema del dialogo con l’Islam è certamente da considerare come una delle sfide prioritarie del nostro tempo.
Si stima che la presenza dell’Islam in Europa sia di circa 20 milioni di fedeli, mentre in Italia sarebbe di oltre un milione e mezzo, cifra che conferma come quella musulmana sia da tempo la seconda religione nel nostro Paese, dopo il cattolicesimo. Bisogna tuttavia notare che in maggioranza i fedeli musulmani appartengono al cosiddetto “Islam moderato” (espressione che indica la diversità dall’Islam radicale o fondamentalista), ma tale presenza non è ancora uscita allo scoperto, assumendo per esempio iniziative pubbliche, visibili e inconfutabili agli occhi della popolazione italiana, a favore cioè di una scelta chiara per la democrazia, la laicità e il dialogo, e di netta opposizione al terrorismo jihadista e al fondamentalismo. Si è avuta invece impressione di una esagerata timidezza. I fedeli musulmani rimangono tuttavia una presenza minoritaria, dal momento che non superano il 2,5% della popolazione complessiva del nostro Paese.
A molta distanza dal numero dei fedeli musulmani seguono i buddisti (250 mila) gli induisti (170 mila), i Sikh (150 mila), gli appena 15 mila credenti nell’Ebraismo, cui bisogna aggiungere altre espressioni religiose ancor più minoritarie, senza dimenticare gli atei e gli agnostici.

A nostro avviso, il dialogo tra le religioni non deve restare un ambito circoscritto soltanto ai rappresentanti istituzionali di ciascuna religione e neanche ad un gruppo di specialisti della materia, ma dovrebbe diventare una realtà sempre più popolare e di base. È per questa ragione che riteniamo interessante e coinvolgente – sul piano dell’educazione, anche scolastica – la proposta di un’Etica mondiale per l’umanità elaborata da tempo dal teologo cattolico tedesco Hans Küng. Infatti, il progetto Weltethos (parola tedesca che significa, appunto, “etica mondiale”) è un riferimento importante per il dialogo tra le religioni in una prospettiva di pace. Il documento-base è la “Dichiarazione del Parlamento delle religioni mondiali” approvata a Chicago il 4 settembre 1993 da un’Assemblea composta da 6.500 uomini e donne in rappresentanza di 125 religioni e tradizioni religiose di tutto il mondo
È un testo che merita di essere fatto conoscere e discutere nelle nostre scuole, integrandolo anche con altri materiali cartacei e audiovisivi, in parte già predisposti.
L’idea di fondo è che tutte le religioni possono e dovrebbero riconoscere un insieme di regole comuni, ossia un quadro di principi, valori e norme unificanti, cioè un ethos globale condiviso, un’etica mondiale.
Uno dei principi fondamentali di questo quadro, per esempio, è la famosa “regola d’oro” che, con modalità e formulazioni diverse, è però presente e riscontrabile in tutte le religioni: “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”, oppure, in senso positivo, “fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te”.
Ecco, inoltre, come la Dichiarazione di Chicago riassume i quattro impegni essenziali che le religioni sono tenute responsabilmente a rispettare:
- Impegno per una cultura della nonviolenza e del rispetto per ogni forma di vita;
- Impegno per una cultura della solidarietà e per un giusto ordine economico;
- Impegno per una cultura della tolleranza e per una vita veritiera;
- Impegno per una cultura dell’uguaglianza e della partnership tra uomo e donna.
Infine sentiamo di condividere questo presupposto che è alla base dell’Etica mondiale: non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni; così come non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni. Tale dialogo può e deve favorire un comune ethos globale, per la sopravvivenza del nostro pianeta e una prospettiva di pace per l’umanità.
ANTONIO NANNI
questo articolo è stato pubblicato su Andare alle Genti
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