IL POPOLO DELL’ AURORA

Il mese scorso, mi è capitato tra le mani, uno studio riguardante l’ecosistema del nostro pianeta, che sottolineava come l’acqua, in questo dinamismo della natura, abbia un posto preminente. L’acqua, da molti chiamata «oro blu» è indispensabile per la vita del nostro pianeta.

“Il rapporto delle persone con l’acqua – proseguiva lo studio – è scandito non soltanto dai bisogni inerenti al corpo e alla vita: bere, alimentarsi, lavarsi, ma è anche legato ai molteplici usi dell’acqua in attività collegate alla sfera dell’economia, della vita, della cultura…”.

Dopo avere terminato la lettura di questo studio sull’importanza dell’ «oro blu», non ho potuto fare a meno di ripercorrere e mettere a fuoco un’esperienza vissuta, molti anni fa, quando vivevo in Etiopia, durante una gita scolastica con un gruppo di alunni Etiopi, a cui facevo scuola. Con loro trascorsi alcuni giorni tra i  Borana.

Al gruppo dei Borana, conosciuto come: “il popolo dell’aurora” (boru è traducibile in italiano con aurora), appartengono circa 300 mila persone che vivono, parte nell’Etiopia meridionale (Oromia) e  parte nel Kenya settentrionale.

I Borana, seminomadi, costruiscono  piccole capanne di argilla e fango la cui intelaiatura di canne è facilmente smontabile, per essere trasportata durante i lunghi periodi di transumanza. Tradizionalmente allevano zebù, mucche, cammelli, capre e pecore ed estraggono il sale, essenziale per l’alimentazione dei loro bovini, da piccoli laghi vulcanici, ma i Borana sono, soprattutto, degli abili ingegneri idraulici. Questa abilità ha permesso loro di scavare a mano, nelle rocce delle aride distese dell’Oromia, pozzi a gradoni profondi fino a 30 metri, per raggiungere le sorgenti dell’acqua che consente la sopravvivenza delle persone e quella del bestiame, anche durante i lunghi periodi di siccità.

Tra i Borana, una regola non scritta, ma tramandata, di generazione in generazione, stabilisce che tutti, anche i nemici, in stato di necessità, possono attingere gratuitamente l’acqua dei pozzi.

I Borana, molti anni or sono, scavarono all’interno dei pozzi delle rampe, che digradano progressivamente, per consentire agli animali di scendere per alcuni metri fino agli abbeveratoi. Questi ultimi vengono riempiti d’acqua grazie ad un ingente sforzo umano. Infatti, il prezioso liquido viene trasportato passando di mano in mano secchi di plastica colmi d’acqua.

Il faticoso lavoro di “vasi comunicanti” umani è assolto dai giovani Borana: il primo della catena,  che si trova nel punto più basso del pozzo, raccoglie un secchio d’acqua, lo passa al compagno che gli è vicino e così via, uno dopo l’altro, fino all’ultimo giovane, che svuota il secchio nel serbatoio dal quale l’acqua fluisce negli abbeveratoi.

Per svolgere questo lavoro, che impiega dalle 5 alle 10 persone per pozzo, occorre una buona resistenza fisica e un ottimo coordinamento, che i Borana mantengono cantando in modo ritmico. Per questo motivo, le riserve d’acqua, scavate nella roccia nel sud dell’Etiopia, sono conosciute come: i “pozzi cantanti dei Borana”.

Mentre l’acqua passa nei secchi, di mano in mano, fino ad essere rovesciata nell’abbeveratoio, gli uomini (ma anche le donne) cantano una nenia ripetitiva, che gli animali sentono da lontano. Il suono di quel canto li calma perché sanno che presto potranno bere. La catena umana e solidale dei “pozzi cantanti”, dell’Etiopia stupisce, per la creatività e l’ingegnosità, ma soprattutto, perché sottolinea e rivendica il diritto universale all’acqua.

Spesso, noi occidentali consideriamo queste popolazioni sottosviluppate, ma vivendo a stretto contatto e osservando il loro sistema di vita, ci si accorge che siamo noi a dover imparare qualcosa. Noi, che rischiamo di privatizzare un bene comune, necessario: l’acqua.

I Borana meritano un particolare plauso, per la loro straordinaria capacità di garantire l’accesso ai loro pozzi, senza nessuno scambio di denaro, in una delle regioni più aride della terra.

Questi pozzi, specie in passato, sono stati centri di aggregamento delle popolazioni dei dintorni, luoghi di incontro e di scambio, non a caso, un antico detto Borana recita: non è la capanna il focolare…, ma il pozzo.

“Il popolo dell’aurora” ci ricorda che il cammino della semplicità, della collaborazione, della fatica condivisa, della gratuità e del perdono è indispensabile per illuminare l’orizzonte quotidiano della nostra esistenza e che, anche noi, dobbiamo ritrovare il canto e il ritmo giusto per costruire una società solidale.

 suor Maria Luisa Casiraghi

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