
“Schiavitù” è una di quelle parole che appena la senti fa venire in mente un tabù, una cosa proibita, che va rigettata da tutti, come avviene per l’incesto, la tortura, il razzismo, l’apartheid. Ma è allo stesso tempo una parola che evoca qualcosa di antico, di anacronistico e obsoleto, che però permane ancora oggi, sebbene in forme nuove e quasi invisibili, in modi camuffati ma non meno impietosi e atroci rispetto a quelli del passato.
Potrà apparire scandaloso, ma la schiavitù persiste nel mondo contemporaneo in forme aggiornate e diverse, più subdole e nascoste ma sempre realissime, come dimostrano le tante forme di sfruttamento sistematico, di costrizione occulta, di mercificazione senza scrupoli, di uso strumentale dell’altro finalizzato al profitto.
Dobbiamo purtroppo riconoscere che l’umanità procede molto lentamente sulla strada della civilizzazione, per questo i comportamenti malvagi e violenti dell’uomo sull’uomo tardano ad essere eliminati e superati, perché tendono a trasformarsi e a sostituirsi ai precedenti, ma non scompaiono del tutto. Tale considerazione vale anche per l’immaginario che accompagna la schiavitù sia di ieri che di oggi. Ricordo infatti che quando ero piccolo non riuscivo a immaginare la schiavitù se non associandola alle catene ai polsi e alle caviglie, alla tratta degli schiavi sulle navi, alla compravendita tra proprietari di schiavi, proprio come avviene con gli animali o con le cose.
Certamente anche nei secoli passati non sono mancati individui coraggiosi che si sono ribellati eroicamente alle condizioni disumane e di brutale sottomissione. Basterebbe soltanto ricordare il nome di Spartaco nell’antica Roma, oppure l’opera di un religioso francese come Pietro Nolasco che nel Medioevo ha fondato l’Ordine dei Mercedari per il riscatto dei prigionieri cristiani fatti schiavi dai musulmani, o ancora all’ardore del missionario spagnolo Pedro Claver che, all’inizio del ‘600, si è battuto contro la tratta degli schiavi dall’Africa alle Americhe, o alla figura singolare di Giuseppina Bakhita, la schiava divenuta santa o, infine, alla lotta dura ma vittoriosa di Nelson Mandela contro l’apartheid nel Sud Africa contemporaneo.

Vediamo concretamente quali sono le nuove forme di schiavitù che ancora interessano nel mondo (senza escludere l’Italia) oltre 40 milioni di persone, tra cui bambini, donne, migranti, lavoratori. Per ragioni di spazio, ci limiteremo ad uno sguardo panoramico. Il fatto che la schiavitù sia stata apertamente contrastata, sia a livello internazionale che nazionale, e formalmente vietata e abolita già nell’’800 non è bastato a debellarla del tutto.
È noto, infatti, che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo all’art. 4 afferma: “nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma”.
Anche la legge italiana è molto netta nel condannare la schiavitù, poiché nessuna persona può essere dominata o utilizzata come strumento d’interesse altrui. Come si vede, siamo di fronte a fenomeni intollerabili che richiederebbero un’analisi sociale più dettagliata, ricca di documentazione, di cifre, di esempi concreti e di ipotesi di intervento per ridurne la consistenza e cercare di debellarli.
La schiavitù subentra quando un individuo rende sottomessa un’altra persona portandola alla dipendenza psico-fisica dettata dalla necessità di sopravvivere, ed utilizzandola come mezzo per i propri interessi. I signori del crimine ricavano lauti guadagni sulla pelle dei più deboli, poiché il più delle volte si tratta di bambini e di bambine, talora disabili, oppure di migranti costretti a lasciarsi sottomettere, a subire ogni tipo di sopruso e di angheria, svolgendo lavori senza alcun rispetto dei diritti e della dignità, pur di poter sopravvivere.

Si pensi ai bambini stranieri non accompagnati, oppure alle bambine costrette a sposare uomini adulti, o ancora ai bambini-soldato che combattono conflitti di cui non comprendono le ragioni, e inoltre ai ragazzi che vengono usati per lo spaccio di stupefacenti o per il commercio di organi umani, ai minori che vengono utilizzati per il furto, il borseggio o l’accattonaggio, e infine ai braccianti agricoli che vengono sfruttati dal caporalato attraverso il lavoro nero e orari di lavoro massacranti.
Da questo sommario elenco abbiamo escluso il fenomeno infernale della prostituzione forzata perché di esso si occuperà un apposito contributo.
Il fatto è che dietro ognuna di queste nuove forme di schiavitù si nasconde un’organizzazione criminale, tant’è che si parla di “nuove mafie”, poiché dove si manifestano fenomeni di schiavitù lì si concentrano anche occasioni di business, di facili profitti, proprio come avviene per gli appalti.
È vero che in tempi recenti l’Italia ha cercato di limitare la piaga del lavoro nero e dello sfruttamento dei braccianti agricoli, soprattutto stranieri. Ciò è avvenuto con la legge contro il caporalato (legge 199 del 2016) che reca il titolo: “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero, allo sfruttamento del lavoro in agricoltura, e di riallineamento retributivo nel lavoro agricolo”.

Ma neanche questo può bastare per sconfiggere la schiavitù. Accanto alla via della repressione dei comportamenti criminali e violenti che fa leva sulla forza della legge, occorre investire più risorse ed energie per rafforzare la via della prevenzione attraverso una più efficace educazione alla legalità e alla giustizia. Bisogna che tutte le forze positive della società si mettano in cammino sulla strada della civilizzazione e della umanizzazione, nella consapevolezza che le nuove schiavitù vanno debellate come le vecchie, essendo indegne dell’umanità in quanto incivili e disumane.
Sul tema di cui ci stiamo occupando è di nuovo intervenuto Papa Francesco, esattamente il giorno in cui ha compito 81 anni (il 17 dicembre 2017). Infatti, nel discorso pronunciato all’Angelus domenicale, ha affermato significativamente che la missione dei cristiani nel mondo è proprio quella di impegnarsi soprattutto per la liberazione di ogni schiavitù. Tale impegno rappresenta infatti la maniera più radicale per essere fedeli a Gesù di Nazareth, perché Lui si è fatto come noi essenzialmente per la “liberazione dal peccato e dalle schiavitù personali e sociali che esso produce. Egli è venuto sulla Terra – ha aggiunto il Papa – per ridare agli uomini la libertà e la dignità dei figli di Dio, che solo Lui può comunicare”.
di ANTONIO NANNI
questo articolo è stato pubblicato su Andare alle Genti
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