Esseri umani o merce?

Parlare di schiavi fa pensare al passato, ma è purtroppo una realtà attuale

Anche se può sembrare paradossale parlare oggi di schiavitù, a quasi settant’anni dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, essa coinvolge a vario titolo oltre 40 milioni di esseri umani, di cui tre quinti sono donne. Sul totale, circa un quarto sarebbero minori, cioè quasi dieci milioni di bambini nel mondo sarebbero costretti a disumani lavori forzati, oggetto di traffici a sfondo sessuale o utilizzati come sguatteri: in pratica, se tutti gli schiavi del mondo si riunissero in un solo Paese, costituirebbero il 27° Stato più popoloso del mondo…

A sentire le stime dell’International Labour Organization, il giro d’affari che ruota intorno alla voce tratta degli esseri umani sarebbe la seconda fonte di profitto della criminalità organizzata, dopo il traffico internazionale di stupefacenti: una cifra iperbolica di non meno di 150 miliardi di dollari l’anno. Esistono molti tipi di schiavitù: lavori forzati, tratta di minori e di donne, prostituzione, matrimoni forzati, vendita delle mogli, caporalato nei campi e via proseguendo in una litania di morte.

La “Walk Free Foundation”, fondazione internazionale che vede fra i suoi sostenitori personaggi come il fondatore di Microsoft Bill Gates, Richard Branson della Virgin e il leader degli U2 Bono Vox, ogni anno stila la terribile classifica che va sotto il nome di Global Slavery Index. In cima a questa poco invidiabile graduatoria ci sono India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan che insieme hanno circa il 60% delle persone schiave al mondo. In questa classifica c’è anche l’Italia, al 141° posto, perché nel nostro Paese vi sarebbero 130.000 persone in stato di schiavitù, mentre in tutta Europa sarebbero 1,2 milioni le persone che possono considerarsi schiave, con un picco in Turchia (0,6% della popolazione)…

Ma quanto vale la vita di un uomo? Se sei un centrafricano giovane, in salute e adatto al lavoro nei campi e sei in Libia in mano agli scafisti locali, anche meno di 800 euro. È quanto è stato recentemente ricostruito da un documentario della CNN, che, con telecamere nascoste, ha testimoniato il mercimonio che quotidianamente si svolge in un Paese totalmente privo di certezze ed ancora spaccato da una guerra civile strisciante che non accenna a risolversi.

I continenti più problematici rimangono Asia e Africa. Ci sono sacche di schiavitù in Sudamerica, nei Balcani e nell’Est europeo: i conflitti in Iraq, Afghanistan, Siria, Yemen e Libia esacerbano il problema, con un crescente flusso di migranti e di rifugiati che si affacciano, in particolare, sulle sponde del Mediterraneo.

Ma come contrastare il fenomeno a livello legislativo? In India, il governo sta sviluppando misure speciali per contrastare le diverse forme di schiavitù: ha recentemente rivisto il codice penale e ha rinforzato le unità di polizia contro il traffico di uomini. Paesi Bassi e Gran Bretagna hanno messo a punto una vera e propria strategia volta a debellare la piaga della schiavitù: nel 2015, il Modern Slavery Act britannico combatte la schiavitù coinvolgendo anche il settore privato. In Italia, grazie alla riforma degli articoli del Codice penale sui reati di riduzione in schiavitù (articoli 600, 601, 602) introdotta dalla Legge 228/2003, questo concetto è stato precisato e include anche la costrizione a prestazioni lavorative e sessuali, l’accattonaggio e altre forme di sfruttamento. La pena prevista va da otto a vent’anni di reclusione, ma spesso la sua applicazione è assai complessa.

LA SCHIAVITÙ SESSUALE E QUELLA DEI CAMPI

Discorso a parte merita il fronte della schiavitù sessuale. Oltre 12 milioni di donne e ragazze ogni giorno sarebbero vendute, esportate, barattate, umiliate, violentate. Come i negrieri dell’antichità, le organizzazioni criminali internazionali reclutano e catturano le donne con la forza, la minaccia o l’inganno, ma anche con mezzi più subdoli, approfittando della condizione di povertà in cui si trovano loro o le loro famiglie. Così le vittime finiscono nelle mani dei loro sfruttatori finali. Se è vero che, purtroppo, in certi ambienti sociali la linea di demarcazione tra prostituzione forzata e volontaria è molto labile, la tratta a sfondo sessuale implica l’induzione di migranti in atti sessuali come condizione stretta e necessaria per effettuare il viaggio, sfruttando la coercizione, la minaccia e l’usura intervenuta mediante i debiti contratti da famiglie e clan.

Solo nel nostro Paese, la prostituzione ha un giro d’affari di circa 90 milioni di euro al mese e vede lo sfruttamento di non meno di 100.000 donne: la gran parte di loro proviene da Nigeria (36%), Romania (22%), Albania (10,5%), le restanti da Bulgaria, Moldavia, Ucraina, Cina e altri Paesi dell’Est. La Caritas valuta che fra loro il 65% sia in strada ed il 37% sia minorenne…

Non meno drammatico è il coinvolgimento di veri e propri schiavi nel settore dell’agricoltura. Se è vero che nel mondo sono oltre 1,3 miliardi le persone impiegate in campo agricolo, forestale e ittico, c’è chi stima che siano quasi 3,5 milioni le persone che lavorano in condizioni di schiavitù in questo ambito, generando circa 9 miliardi di dollari di proventi annui per gli sfruttatori.

Come non ricordare il clamore del caso “Rosarno”, esploso nel 2010 a seguito delle proteste di centinaia di lavoratori, per lo più di origine africana, sfruttati da caporali per pochi euro a fronte di 12 ore di lavoro al giorno nei campi, a raccogliere arance e limoni, sotto il sole, fuori da ogni regola e da ogni dignità umana, e costretti ad abitare in capanne e casolari degradati, senza alcuna misura igienica.

Ragionare su quanto sudore e, spesso, sangue ci sia dietro molti dei prodotti che giungono sulle nostre tavole è un obbligo per tutti.

Fabrizio Gaudio

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