“… CON UN BICCHIERE DI WHISKY IN MANO”

È vero perché le piaghe fanno male, i poveri, i bisognosi, ma anche semplicemente i nostri vicini di casa, parenti, figli, genitori, confratelli, consorelle, ecc. sono a volte esigenti, ci complicano la vita, ci chiedono di occuparci di loro, di spendere il nostro tempo, i nostri soldi, le nostre energie.

“Non ci basterà più commentare i tragici fatti del mondo davanti alla televisione con un bicchiere di whisky in mano” è una delle frasi di Angelo Scola, l’arcivescovo uscente di Milano, che mi ha colpito di recente. Ancora più potente e vera è la constatazione di Papa Francesco quando dice che “a volte sentiamo la tentazione di mantenere una prudente distanza dalle piaghe del Signore”, dalla “carne sofferente degli altri”. È vero perché le piaghe fanno male, i poveri, i bisognosi, ma anche semplicemente i nostri vicini di casa, parenti, figli, genitori, confratelli, consorelle, ecc. sono a volte esigenti, ci complicano la vita, ci chiedono di occuparci di loro, di spendere il nostro tempo, i nostri soldi, le nostre energie. È più facile fare discussioni da salotto sui problemi del mondo; fare i cristiani “da divano” come denuncia Papa Francesco.

Due anni fa, ho seguito con molta attenzione le beatificazioni di due persone a me care: suor Irene Stefani, Missionaria della Consolata, e Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, che furono beatificati nello stesso giorno, sabato 23 maggio 2015. Nell’omelia della celebrazione di Oscar Romero, il card. Angelo Amato ha pronunciato parole bellissime e toccanti, citando sant’Agostino: ‘Il Vangelo mi spaventa. Nessuno più di me desidera una vita sicura e tranquilla. Nulla è più dolce per me che scrutare il tesoro divino. D’altra parte, predicare, ammonire, correggere, edificare è un grande peso, una grave responsabilità. È un compito difficile’. In effetti, per Agostino, come vescovo, la sua ragione di vita si trasforma in una passione per i suoi fedeli e i suoi sacerdoti. E chiede al Signore di dargli la forza di amare eroicamente, sia attraverso il martirio sia per affezione. Queste parole e queste sensazioni possono essere dette con la stessa intensità e sincerità dell’arcivescovo Romero, che amava i suoi fedeli e suoi sacerdoti con affetto, fino al martirio, dando la vita come un’offerta di riconciliazione e di pace”.

2….“il Vangelo mi spaventa”, diceva sant’Agostino. Gesù lo diceva al Getsemani con altre parole, in Matteo 26,39: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu”. Il Vangelo è esigente, ci fa paura perché Gesù chiede tutto, e non scherza.

Ecco il punto, “il Vangelo mi spaventa”, diceva sant’Agostino. Gesù lo diceva al Getsemani con altre parole, in Matteo 26,39: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu”. Il Vangelo è esigente, ci fa paura perché Gesù chiede tutto, e non scherza. “Chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce e mi segua”. Il beato Giuseppe Allamano indicava questo parlando di Giuseppe Cottolengo: “San Giuseppe Cottolengo avrebbe potuto starsene tranquillo. Era canonico al Corpus Domini e poteva condurre una vita non faticosa: dire il suo Breviario, passeggiare, leggere il giornale, andarsene a cena senza preoccupazioni… E invece sapete quello che ha fatto. Anch’io potrei starmene tranquillo: andrei in Coro, poi me ne andrei a pranzo, poi leggerei la gazzetta, poi mi metterei a riposo… e poi… e poi me ne morirei da folle! È questa la vita che si deve fare? Siamo destinati ad amare il Signore e dobbiamo fare il bene, il maggior bene possibile!”.

Gesù e gli apostoli sono sempre in movimento; l’episodio narrato in Marco lo dice abbastanza chiaro: “Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: ‘Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco’. Difatti, era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure il tempo di mangiare” (Mc 6,30-31).

Nel servizio del Signore, e dunque nel servizio ai fratelli e sorelle, anche se qualche volta è faticoso e ci chiede impegno, si trova la nostra identità di cristiani, la nostra vera gioia e pace.

Invece, Gesù ci dice che chi vorrà salvare la propria vita la perderà, e chi perderà la propria vita per causa sua la salverà. Papa Francesco ci parla della gioia del Vangelo, di donare se stessi annunciando un Vangelo della misericordia, portando addosso a noi la “puzza” del gregge. Nel servizio del Signore, e dunque nel servizio ai fratelli e sorelle, anche se qualche volta è faticoso e ci chiede impegno, si trova la nostra identità di cristiani, la nostra vera gioia e pace. Una delle frasi più significative di Papa Benedetto XVI penso possa ben concludere questa nostra breve riflessione: “Ciò che i padri hanno chiamato perseverantia, il resistere pazientemente nella comunione con il Signore attraverso le vicissitudini della vita… la costanza anche sulle monotone vie del deserto che occorre attraversare nella vita, nella pazienza di procedere sempre uguale quando il romanticismo della prima ora diminuisce e rimane soltanto il puro e profondo “sì” della fede. È proprio così che si forma il vino buono, è proprio così che si apprende l’amore per il Signore e l’immensa gioia dell’averlo trovato”.

NICHOLAS MUTHOKA, IMC

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