Suor Ruby Idaly Sánchez, missionaria colombiana, ha lavorato per vari anni nelle missioni del Mozambico e della Colombia. Attualmente svolge il suo apostolato in Argentina.
Sono grata al Signore e al mio Istituto per tutto quello che nel corso dei miei 29 anni di consacrazione religiosa ho ricevuto e continuo a ricevere; in particolare sento una immensa riconoscenza per aver reso possibile la realizzazione di un grande sogno della mia vita. Nel mio cuore, infatti, ho sempre custodito un grande sogno: quello di poter andare in Terra Santa. In realtà mi sembrava un’utopia, ma arrivò il giorno desiderato e insieme al salmista esclamai: “Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore…” (Sl 121). Per me poter andare in Terra Santa racchiudeva un significato molto grande: sentivo che era proprio Gesù che mi faceva questo invito: “Vieni nella mia terra, nel Paese dove sono nato, cresciuto, dove ho appreso molte cose dai miei genitori e familiari, dove sono stato battezzato, dove ho scelto alcune persone con le quali ho dato inizio alla mia Chiesa e, infine, dove ho sofferto, sono morto e risuscitato per te e dove continuo a camminare ancora oggi, talvolta visto come uno straniero”.
È difficile per me dire quale sia stato il luogo più significativo tra quelli che abbiamo visitato, perché tutti lo sono stati. Quando atterrammo all’aeroporto di Tel Aviv-Giaffa, ho provato una grande emozione ed è risuonata nei miei orecchi la parola “qui”: qui è vissuto Gesù. Questa parola ha accompagnato me e le sorelle lungo tutto il nostro pellegrinaggio.
Nazareth mi è rimasta nel cuore, con la vista della grande basilica dove si è realizzato un grande e umile mistero: l’Incarnazione del Figlio di Dio; il primo luogo che ci testimonia Cristo, un luogo dove ho sperimentato tanta gioia e che mi ha spinto a rinnovare il mio sì, insieme a quello di Maria. Non si trattava di un sì poetico, era un sì misto a sentimenti di incertezza e di timore, tuttavia è stato un Fiat incondizionato.
È difficile descrivere le varie esperienze che ci hanno toccato il cuore. Tali sono state la contemplazione del Dio Bambino a Betlemme, il rinnovare le nostre promesse battesimali nel fiume Giordano e il salire sopra una barca, attraversando il lago di Tiberiade. Qui ci è sembrato di udire la voce di Gesù che diceva: “Non abbiate paura…”. Abbiamo sentito nuovamente la chiamata di Gesù a seguirlo, a passare all’altra riva… Che esperienza forte!
Un luogo che mi ha portata alla riflessione ed anche alla contemplazione è stato “la casa dell’amicizia”, quella degli amici di Gesù: Lazzaro, Marta e Maria, dove Egli era solito recarsi per trovare pace, amicizia, consolazione e riposo: Betania. Qui ho pregato intensamente per la mia famiglia, la mia comunità, l’Istituto e per ciascuna persona a me cara. Così dovrebbe essere la nostra vita: un’altra Betania, una casa aperta, dove tutti possano trovare un luogo di tranquillità e di riposo.
Un’altra esperienza che mi ha toccata molto è stata la visita all’orto degli ulivi, dove abbiamo avuto l’opportunità di passare un momento abbastanza lungo in silenzio e nella contemplazione delle sofferenze di Gesù. Appoggiando il capo sulla pietra dove Gesù aveva pregato, mi è sembrato di udire la sua richiesta di vegliare un’ora con Lui e ho provato molta angoscia.
Credo, come dice S. Giovanni, che non basterebbero dei libri per descrivere l’esperienza vissuta nel tempo del nostro pellegrinaggio. I giorni trascorsi a Gerusalemme mi hanno lasciato una mescolanza di sentimenti: da una parte quell’essere “lì” è stata un’emozione molto grande; tuttavia quando abbiamo iniziato a percorrere le “via dolorosa”, pregando le stazioni della “via crucis” in mezzo alla gente, il chiasso, il commercio, la via molto stretta ci causarono un certo sgomento. Rivolgendosi a noi, il sacerdote che ci accompagnava ci disse: “Non vi impressionate: la stessa cosa è successa a Gesù. La Sua via verso il Calvario fu in mezzo a tanta gente e a tanto chiasso”. Queste parole mi toccarono profondamente: veramente non c’era nulla di buono e di facile nella “via dolorosa”.
Infine abbiamo visitato il Calvario e il Santo Sepolcro. Qui sono risuonate alle mie orecchie le parole di Gesù: “Si divisero le mie vesti”. Sì, in quella grande basilica, divisa tra le varie confessioni cristiane, non c’è libertà di andare in certi luoghi e qui c’è il sepolcro vuoto
Suor Ruby I. Sanchez, mc
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